Clicca qui per tornare alla Home Page

luglio - agosto 2007

  
      
  

 

Diario di un'avventura - Mongol Rally 2007

 

 

ULTIMA POSIZIONE COMUNICATA: 23 agosto - Ulaan Bator, Mongolia

 

23 agosto

Ore 2.30 locali, Ulaan Bator, pioggia battente, 15 gradi. Team Orca taglia il traguardo sulle sue ruote.

 

21 agosto

Guadato fiumi. Salvati dalle acque. Cerchiamo meccanico: abbiamo solo la terza marcia.

 

 

19 agosto – da Olghy a Khovd

Sono le 15.00 quando partiamo da Olghy. Per arrivare a Khovd dobbiamo percorrere circa 210 km.

Una volta partiti non ci vuole molto per capire di che morte dovremo morire: le piste ondulate.

Avete mai provato a guidare sulle onduline? Quelle che si mettono sotto le tegole? Uguale!

Un incubo! Avevamo già sperimentato questo tipo di terreno in Kazakistan, quando per prendere una scorciatoia ci eravamo infilati in un percorso minato di piste sterrate.

Ed ecco di nuovo questo assurdo terreno impraticabile: infinite ondine parallele, così regolari che sembrano create artificialmente. E per alcuni giorni abbiamo proprio creduto che fossero prodotte dai cingoli dei trattori impiegati nella creazione della pista. Procedendo su questo terreno la Panda trema come se fosse sottoposta all'azione di un martello pneumatico. I cervelli nelle scatole craniche ballano la tarantella. Ogni tanto dalla pista principale se ne dipartono altre parallele create da fuoristrada che cercando di evitare i punti più fastidiosi. Proviamo a seguirle ma non sempre è una buona idea.

Il paesaggio cambia velocemente, il terreno è sempre più brullo, più pietroso e polveroso. Costeggiamo anche un bellissimo lago che ci sembra lunghissimo, il Talboo: sembra impossibile che ci sia così tanta acqua in un ambiente all'apparenza così arido.

Eppure di acqua ce n'è.. e ce ne accorgeremo presto.

Incontriamo mandrie di cavalli bradi, yak, … moltissimi yak. A perdita d'occhio il territorio è punteggiato di bianche gher abbarbicate sui fianchi delle colline.

Ecco un piccolo corso d'acqua da guadare. Scendo dall'auto per poter controllare da fuori e avvisare Francesco se il livello dell'acqua sale troppo durante l'attraversamento. E quando lui si trova sano e salvo dall'altra parte.. io come passo? C'è una moto ferma, due motociclisti mi guardano e mi indicano come superare il guado a piedi: poco lontano c'è uno pneumatico in acqua che affiora, saltandoci sopra si può passare senza bagnarsi troppo.

Continuiamo per la nostra strada cercando di non sbagliare pista, di non sbattere contro qualche sasso e rompere qualcosa, di seguire correttamente le indicazioni che ci facciamo dare dalle poche persone che incontriamo lungo il percorso.

Sta diventando buio, vorremmo raggiungere Khovd prima di notte: mancano solo una quarantina di km, poco più di un'ora di strada.

Veniamo fermati da uno strano segnale: 4 o 5 grossi sassi attraversano la pista come a sbarramento della strada.Perplessi li aggiriamo e procediamo pian piano. Troviamo un ponte su un grosso torrente, il ponte è chiuso. Assolutamente chiuso.

Torniamo indietro di qualche metro e costeggiamo il torrente per vedere se c'è un guado. Lo troviamo: si vedono chiaramente i segni dei pneumatici di altri mezzi, camion e fuoristrada.

Che fare? Usciamo per controllare. Quanto è alto il torrente? Potremmo farcela? Andremo a fondo?

L'unica è provare… e proviamo. Francesco mette la prima e parte con convinzione. Pochi metri e la Panda è piantata in mezzo al torrente. Immobilizzata. Proviamo la retro: niente. Riproviamo la prima: niente.

Bastano pochi minuti e la macchina comincia a imbarcare acqua. Abbiamo i piedi a mollo. Francesco scende a spingere e io mi metto al volante. Proviamo ancora in retro e in prima, ma non c'è niente da fare. Francesco cerca di togliere da sotto le ruote i massi che ci hanno bloccato, ma non c'è verso, ormai le ruote si stanno insabbiando. Non bisogna far spegnere il motore e lo tengo accelerato. L'acqua sale inesorabilmente all'interno dell'abitacolo. Accelero, accelero ma non c'è niente da fare, la Panda si spegne con un lamento! NOOOO!!!

Lo spettro della Panda trasportata a Ulan Batoor da un camion galleggia davanti a me. Provo a riaccenderla ma senza successo. Il quadro funziona ancora, le parti elettriche sono salve.

Vediamo arrivare dalla parte opposta del torrente alcune luci di macchine o camion. Francesco si precipita verso di loro. Poco dopo un fuoristrada Uaz si avvicina velocemente alla Panda. Dentro ci sono due ragazzi mongoli che passandomi accanto guardano dentro e mi sorridono. Sorrido anche io, con convinzione: adesso ci salveranno dalle acque!

La Uaz procede fino dalla parte opposta del torrente, fa inversione e torna indietro posizionandosi davanti alla Panda. Nel frattempo Francesco ha preso dalla cassa che abbiamo sul tetto il cavo da traino e insieme ai ragazzi cerca il punto giusto per agganciare la Panda. Lo sento ‘spazientirsi' quando scopre che la Panda non ha il gancio traino. Ma in qualche modo fanno, perché poco dopo i ragazzi saltano sulla Uaz e cominciano a tirare. Provano una volta, due… la Panda sussulta, poi comincia a muoversi. Si sente che le ruote superano grossi sassi e dopo la prima resistenza la Uaz la traina fuori dal torrente, fuori dalla traiettoria degli altri mezzi che nel frattempo attendevano che si liberasse la via.

Appena apro le portiere l'acqua esce dalla macchina come una cascata. I due ragazzi si avvicinano per vedere se va tutto bene e hanno già in mano una bottiglia di vodka e un bicchierino pieno che offrono a Francesco – per 2 rallisti intirizziti e la miglior cosa. Francesco beve ed entra in macchina per la prova del fuoco: la messa in moto. Basta girare la chiave e la Panda romba allegramente! Salto di gioia!! A quel punto c'è anche per me il bicchierino di vodka, da bere tutto d'un fiato! Non posso tirarmi indietro e poco dopo il mondo mi gira intorno.

I due ragazzi, un biologo e un geologo, sono molto contenti di averci aiutati. Ci fanno i complimenti per la Panda, che si è comportata benissimo e ripartono.

Anche noi ripartiamo, ancora tutti bagnati e sempre impolverati.

Arriviamo a Khovd e cerchiamo un albergo. Di trovarne uno con la doccia non se ne parla, anche se quello che ci ospita si picca di chiamarsi Grand Hotel. Però la camera è dotata di bagno: lavandino e wc. Il bagno è separato dal resto dell'ambiente da una simpatica struttura in legno che lo copre solo per mezzo metro. Curioso..

Nonostante l'ora tarda, è mezzanotte, ci danno da mangiare, e questo va ascritto a loro grande merito.

Però quando torniamo in camera non c'è più acqua, neanche per sciacquarci un po'.

Pazienza, domani andiamo ai bagni pubblici e darci una bella strigliata.


 

  

17-18 agosto - da Tashanta a Olghy - Mongolia

Tashanta è un gruppetto di yurte (che in Mongolia diventeranno gher) e di casupole di legno a ridosso della frontiera con la Mongolia. C'è anche una casermetta con alcuni soldati russi a guardia del confine, che rimarrà
chiuso fino all'indomani alle 9.00. Bambini giocano inseguendosi in bicicletta e ci salutano. Troviamo anche
un negozietto aperto dove comprare qualche cosa e cerchiamo un posto adatto per campeggiare. Risaliamo un poco il pendio che digrada verso la strada e ci avviciniamo all'ultima yurta del villaggio chiedendo il permesso di montare non lontano la tenda.

Non ci sono problemi, anzi, i locali ci invitano a pernottare nella loro yurta. Decliniamo l'inviato ma chiediamo di poter utilizzare il ‘gabinetto' che si trova all'esterno.

Trascorriamo una serata tranquilla finalmente. Attrezziamo il campo, stendiamo in macchina alcune cose rimaste
umide dal lavaggio della sera precedente, cuciniamo, ci facciamo qualche foto, ci rilassiamo un po'. Non fa caldo
per niente! Dobbiamo coprirci per bene.

 

Considerazioni sotto la tenda.
Francesco sostiene che forse abbiamo portato troppa
roba. Dice che quando incontriamo altri team noi siamo sempre i ‘fighetti' della situazione.
Gli altri sono sempre conciati da sbatter via, noi in
confronto sembriamo sempre appena usciti dalla lavatrice. Non che dispiaccia essere in ordine – dice – però siamo sempre ridotti molto meglio.
Il fatto è che gli altri raggiungono degli stati per noi davvero improbabili! Una doccia ogni tanto non fa male a nessuno!

 

Mattina del 17 agosto: oggi entriamo in Mongolia!!

Ci prepariamo alla partenza. Mentre smontiamo il campo vediamo che oltre ai soliti camion anche alcune auto del MongolRally attraversano il paese per raggiungere il confine. Partiamo anche noi verso le 10.00 e troviamo il confine aperto. Siamo soli, le altre macchine e i camion
sono già dall'altra parte. Ci sono 2 ragazzi russi che cercano un passaggio: tra la frontiera russa e quella mongola ci sono 23km di terra di nessuno che possono essere attraversati solo in macchina o su un camion, è stranamente vietato l'attraversamento a piedi. Purtroppo non possiamo caricarli, non c'è posto sulla Panda.

Il primo soldato di guardia controlla i nostri passaporti e
ci fa passare per raggiungere il posto di controllo.

Le procedure non sono lunghe, passiamo in qualche
ufficio, collezioniamo i soliti timbri.

Incontriamo un ragazzo e una ragazza russi che parlano inglese. Si informano sulla nostra avventura, loro conoscono bene la Mongolia, sono viaggiatori, e ci sconsigliano assolutamente la rotta nord. Sembra la più breve ma è impraticabile. La rotta sud è difficile ma
fattibile. Fanno una previsione: per arrivare a Ulan Batoor se tutto va bene ci metterete 5/6 giorni.

Dopo circa mezz'ora o poco più lasciamo la ‘grande madre Russia'.

Ci lasciamo alle spalle i 23 km che ci separano dalla frontiera con la Mongolia e con stupore troviamo davanti al cancello chiuso tutte le auto che avevamo visto passare qualche ora prima in compagnia di qualche camion… attendono.

Sono tutte auto inglesi e troviamo anche il team che avevamo incontrato e poi perso di vista il giorno prima: ci raccontano di essere rimasti indietro a causa della rottura di una molla.

Sono arrivati molto presto. Mentre noi facevamo colazione hanno fatto la coda al confine russo e dalle 10.30 circa sono in attesa che riaprano i cancelli, non prima delle 14.00.

I tempi-orca non tradiscono mai: sembra sempre che siamo in ritardo sulla programmazione, ma chi ci conosce lo sa, è tutto sotto controllo!!

I camionisti preparano il pranzo su fornelli improvvisati (usano i cannelli da saldatore), i team mangiano panini e bevono l'immancabile birra, noi apriamo tonno e insalatissime.

A proposito delle nostre considerazioni della sera prima … gli inglesi, ragazzi e ragazze, sono inavvicinabili! Forse non vedono una doccia dalla partenza.

Abbiamo ancora del tempo e cerchiamo di impiegarlo al meglio. Prendiamo la mappa della Mongolia e la apriamo sul cofano della Panda per farci un'idea del percorso che ci aspetta.

I camionisti russi incuriositi si avvicinano. Conoscono le strade della Mongolia come le loro tasche e si dimostrano subito desiderosi di darci tutte le informazioni che possono esserci utili.

Uno di loro prende una penna e ci indica come evitare la prima cittadina segnata sulla mappa, Tsagannuur, risparmiandoci alcuni chilometri e una salita molto ripida: prima di raggiungere Tsagannuur dobbiamo prendere una pista (in Mongolia NON CI SONO STRADE) che gira sulla destra e procedere verso Olghy.

Sono quasi le 15.00 quando le guardie di frontiera si fanno vive. Aprono il cancello e se lo richiudono alle spalle. Prima di farci passare pretendono di vedere due file ordinate di auto e non quell'affollamento disordinato.

Quando le file sono pronte fanno passare 3 o 4 macchine alla volta, aprono il cancello ogni 10 o 15 minuti. Noi entriamo con il terzo gruppo.

Gli uffici di frontiera mongoli ci fanno un'ottima impressione. Sono tutti nuovi, organizzati e puliti.

Dopo le prime formalità veniamo indirizzati verso una signora giovane e affabile che parla inglese abbastanza bene e che lavora per la gestione delle pratiche relative all'ingresso delle auto del MongolRally. Ha una lista di tutti i partecipanti e ci individua subito. Segna il nostro ingresso e ci mette un timbro sul libretto di circolazione. Ci cambia anche la valuta. In realtà non comprendiamo con esattezza se è un obbligo cambiare in Tugrig la valuta che abbiamo: le consegniamo i rubli e ci chiede se abbiamo anche dollari. Non ci va di lasciarle tutti i nostri dollari, che ci danno molta più sicurezza dei Tugrig… comprensibilmente. Tiriamo fuori 100$, è un po' dubbiosa, ci chiede se ne abbiamo altri.. rispondiamo di no e non ci chiede altro.

Dopo una breve ispezione al contenuto della Panda e il pagamento dell'assicurazione siamo liberi di entrare nel paese.

Tutti gli altri team inglesi sono ancora fermi. Una delle auto non può procedere, il motore è danneggiato e non è riparabile senza pezzo di ricambio. Pare che stiamo cercando di venderla a qualcuno in frontiera.

Appena superata la frontiera troviamo un gruppo di gher e immediatamente veniamo circondati da bambini e ragazzi curiosi. Facciamo qualche fotografia e ci accorgiamo di un'usanza locale che sperimenteremo ovunque: cercare di entrare nella macchina dei turisti senza preoccuparsi di chiedere il permesso è normale e la sensazione per noi non è piacevole.

Bene, partiamo!! Questa sera vogliamo raggiungere Olghy e sulla guida c'è scritto che si trova a più di 200 km dalla frontiera.

Ed eccoci alle prese con le famigerate piste della Mongolia e di fronte ad una natura spettacolare incontaminata: spazi immensi, montagne innevate in lontananza… siamo contenti di aver scelto la via per la Mongolia.

Procediamo lentamente, la strada non permette andature superiori ai 40-50 kmh. Inoltre ci fermiamo spesso a consultare la cartina, il GPS, a chiedere informazioni. Non siamo abituati a questo tipo di ‘navigazione a vista': la pista che percorriamo non è l'unica, ce ne sono parecchie che corrono parallele, che si intersecano, che divergono per poi magari ricongiungersi.

Siamo anche preoccupati per il portapacchi: dobbiamo assolutamente trovare un meccanico che ce lo sistemi imbullonandolo alla carrozzeria.

Troviamo il ‘bivio' indicato dal camionista alla frontiera. Dopo un piccolo guado la Panda si ferma. Qualche tentativo di rimessa in moto e riparte, si era ingolfata. Che spavento!

Ci piacerebbe sentire gli amici per dire loro: ‘Abbiamo visto cose che voi umani non potreste neanche immaginare ' .

Per esempio lo Yak! Non avevamo mai visto uno yak dal vivo, neanche in uno zoo.

Quando ero ragazzina negli scout c'era una squadriglia che si chiamava ‘yak'. Mi avevano spiegato vagamente cosa fosse uno yak, un animale simile a una mucca (!?) che vive in Asia. Non ricordavo neanche più della sua esistenza. Ed eccolo lì.. che mi guarda incuriosito.. lui!

Procediamo e la gente delle gher, quando ci fermiamo a chiedere, ci dice che siamo sulla strada giusta, Olghy è da quella parte!

Dopo tre ore abbiamo percorso circa 100 km. Stiamo andando davvero piano ma non possiamo fare altrimenti. La strada non lo permette. Dobbiamo stare molto attenti, in alcuni tratti procediamo con le ruote sui cordoli di terra formati dal passaggio di altri mezzi per evitare che il fondo dell'auto li urti e qualcosa si rompa. La nostra non è una Panda 4x4, non è stata rialzata e non abbiamo messo piastre di protezione.

A un certo punto vediamo apparire, dopo una curva, una città. E' un centro abbastanza grosso, si intravede un'antenna e i cellulari cominciano a prendere.

Guardiamo sulla mappa, non ci sono altri centri tra Tashanta ed Olghy. Non può che essere Olghy!

Con piacere scopriamo che sulla guida la distanza tra la frontiera e Olghy era segnata in modo scorretto: non ci sono più di 200 km ma solo 100.

Sono circa le 20.00, c'è ancora luce e non siamo neanche distrutti come è capitato altre volte.

Appena saliamo con le ruote sulla strada asfaltata che entra in Olghy ci accorgiamo di un rumore proveniente dal cambio. Facciamo qualche prova ma le marce entrano correttamente, ma sembra sin sia allentato qualcosa. Preoccupante. Facciamo benzina e cerchiamo un meccanico che ci viene indicato da alcuni signori che fermiamo per strada. Quando entriamo nel cortile dell'officina ci viene incontro un uomo dall'aria simpatica. Parla inglese. Non è stupito dal nostro arrivo perché ci racconta di essere già intervenuto su altre auto del MongolRally nei giorni scorsi. Controlla il danno e non pare preoccupato. Gli spieghiamo anche il problema del portapacchi. Ci dà appuntamento per il giorno dopo alle 9.00: sistemeranno tutto.

Si prende anche il disturbo di indicarci con precisione su un foglio le prossime tappe del nostro viaggio segnalandoci chilometraggio e situazione delle strade. I suoi consigli si dimostreranno validissimi!

La successiva tappa ad Olghy sono i bagni pubblici. In tutte questa cittadine si trova il complesso dei bagni pubblici con docce calde. Molte famiglie abitano nelle gher anche in città e non hanno l'acqua corrente in casa: si recano con regolarità ai bagni pubblici per usufruire delle docce.
Lo facciamo anche noi!

Per la notte pensavamo inizialmente di campeggiare, ma abbiamo difficoltà a trovare un posto adeguato e seguiamo le indicazioni che ci fornisce il team inglese incontrato due giorni prima sulla strada per Tashanta e incontrato in Olghy di fronte all'alberghetto dove hanno trovato posto.. ci fermiamo anche noi qui.

La stanza è semplice e pulita, con bagno ma senza doccia: fortunatamente ci abbiamo già pensato.
C'è anche il parcheggio per l'auto.

Portiamo in camera il necessario per farci una pasta e appena a letto ci addormentiamo sul colpo.

La mattina successiva (18 agosto) andiamo per tempo dal meccanico. E' ancora chiuso, in effetti ci aveva detto 9.00/9.30 e sono solo le 9.00 . Aspettiamo un po'. Qualcuno si avvicina, ci saluta e cerca di dirci qualcosa, nel frattempo si apre il cancello dell'officina ed entriamo. Chi ci ha aperto ha un'aria interrogativa… siamo perplessi… poi ci fa vedere l'orologio: sono appena passate le 8.00! Le 8.00, non le 9.00! Non è possibileee!! Abbiamo sbagliato a calcolare il fuso orario e ci siamo svegliati con un'ora di anticipo. Non è da noi!!

Lasciamo la macchina nel cortile dell'officina e troviamo fuori le persone che ci si erano avvicinate.
Andiamo loro incontro sorridendo e facendo vedere i nostri orologi. Sorridono anche loro. Hanno una divisa ma non capiamo di cosa si tratta. Ci fanno segno di seguirli e ci portano in un edificio poco lontano di cui proprio ieri ci chiedevamo la destinazione. E poi capiamo: sono pompieri!!

Ci fanno visitare fieri tutta la stazione, i mezzi – in buone condizioni direi – , facciamo foto insieme.
Scopriremo poi che in ogni piccolo centro in Mongolia ci sono i pompieri. E sono molto attivi e operativi. Purtroppo hanno anche molto lavoro. Infatti le gher nelle quali vive la popolazione sia rurale sia cittadina durante l'inverno spesso prendono fuoco e bruciano in tempi così brevi che gli occupanti difficilmente riescono a salvarsi.

Dopo la visita alla stazione dei pompieri e una rapida colazione torniamo dal meccanico che dopo tre ore di lavoro, al quale partecipa attivamente anche Francesco cercando in tutti i modi di convogliare l'attenzione del capo officina sulla nostra panda piuttosto che sui grossi fuoristrada che entrano ed escono.

Lasciamo l'officina del meccanico con il cambio in ordine e il portapacchi imbullonato alla carrozzeria.

Pranziamo in un ristorante turco che pare essere il migliore del paese, dove troviamo il gruppo di rellisiti lasciato alla frontiera russo-mongola il giorno prima.

Di nuovo in viaggio verso Khovd. Ci aspettano le propaggini del deserto del Gobi.

 

 

18 agosto - Russia

Siamo arrivati alla frontiera russa all’imbrunire. Mentre percorriamo pian piano la strada verso il cancello della frontiera un’auto russa ci supera in modo poco corretto. Poco dopo, rendendosi conto della scortesia una signora sorridente esce dall’auto e per darci il benvenuto ci regala un adesivo della bandiera russa. Ricambiamo offrendole uno dei nostri portachiavi (Davide, che ce li ha regalati, e’ stato geniale!!) con l’Orca simbolo del team.

Le procedure di ingresso in Russia non sono lunghe e complicate, anche se il caos impera, la gente si accalca davanti agli sportelli, qualcuno protesta per qualcosa che non comprendiamo. Chissa’ che confusione deve esserci durante il giorno.
Gli uffici della frontiera non vengono rinnovati da decenni, hanno quell’aria stantia che si respira anche negli alberghi sovietici.
Comunque tutto sembra filare liscio fino al collo di bottiglia che non poteva mancare: l’assicurazione dell’auto. Dovrebbe essere la cosa piu’ semplice, si tratta di procedure standardizzate… il problema e’ proprio questo: gli standard non sono mai stati aggiornati. L’attesa e’ infinita perche’ i dati di ogni auto vengono trascritti infinite volte prima a mano su un registro, poi su un altro, poi inseriti in un computer, poi ancora trascritti su un modulo in duplice copia… Nell’ufficio delle assicurazioni per auto straniere incontriamo anche un team canadese: tre ragazzi stremati, arrivati al confine nel primo pomeriggio e ancora prigionieri della burocrazia russa. Abbiamo una riprova del fatto che gli ‘orari orca’ sono vincenti… mai arrivare troppo presto!
Ce la caviamo infine anche noi e la grande madre Russia ci accoglie la notte tra il 14 e il 15 agosto… accoglienza in verita’ tra le migliori. Quando arriviamo alla prima citta’ dopo il confine, Rubtsovsk (citta’ natale di Raissa Gorbaciova), cerchiamo un albergo e ci fermiamo a chiedere informazioni lungo la strada, presso una bancarella che cucina e vende shaslik (spedini di carne). Siamo anche affamati. Francesco scende dall’auto e cerca di comunicare con il ‘cuoco’, ma pare davvero difficile. Si avvicina pero’ un gruppetto di curiosi, avventori del ‘locale’ – c’e’ in effetti un’area attrezzata poco piu’ all’interno rispetto alla strada, con tavoli e sedie e un bar – e in una decina di minuti ci troviamo seduti in mezzo a loro, serviti di spiedini, coca cola, acqua… qualsiasi cosa avessimo chiesto avrebbero fatto di tutto per procurarcela. Come se non bastasse ci offrono la cena e ci accompagnano a un albergo, precedendoci tutti accalcati un taxi. L’albergo pero’ non ci accoglie, non sappiamo se per mancanza di camere o per l’ora tarda. Il gruppetto di amici si consulta e la soluzione ci viene comunicata in breve tempo: saremo ospiti di Palina, una delle ragazze del gruppo, proprio a casa sua ... e comprendiamo che rifiutare (perche’ poi?) sarebbe una scortesia infinita. Palina e il fidanzato ci fanno lasciare la macchina in un parcheggio custodito (insisteranno per pagare anche questo) e ci accompagnano a casa.
L’appartamento di Palina si trova in uno di quei terribili edifici sovietici dove le famiglie vivono come in alveari. La casa e’ piccolissima, ci vive Palina con il suo bambino di 8 anni. Troviamo a fare da baby sitter la sorella minore di Palina, Rita, una ragazza in eta’ da scuola superiore probabilmente in vacanza. E’ tardissimo. Ci facciamo la doccia in un bagno minuscolo privo anche di lavandino… e’ sufficiente la vasca. Nel frattempo cerchiamo di farci perdonare il disturbo mostrando le foto del nostro lungo viaggio e scambiandoci gli indirizzi email. Chissa’ se davvero potremo un giorno ricambiare l’ospitalita’ a queste persone che continuano a scusarsi per il poco che riescono ad offrirci, ma che e’ ovviamente tantissimo!

Riposiamo poche ore prima della sveglia: alle 8.00 siamo in piedi, abbiamo dormito 4 ore!!
Andiamo a ritirare la macchina e veniamo scortati fino alla strada che ci condurra’ verso Barnaul. Ci salutiamo calorosamente, lasciamo in dono quanto possiamo: una bottiglia di vino italiano (recuperata a Praga da un team che non poteva portarla in Iran), i portachiavi con l’Orca e una maglietta per il bambino di Palina.

A questo punto stiamo ormai prendendo una decisione sulla quale meditiamo da giorni: procedere sulla rotta che avevamo deciso prima della partenza - prendere per Novosibirsk, rimanendo quindi in Russia fino al lago Baikal e scendendo da nord su Ulan Bator – o dirigerci direttamente verso sud entrando in Mongolia da Tashanta e attravedando la Mongolia da ovest a est?
La Mongolia e’ una grossa tentazione! Arriviamo a Barnaul dove sostiamo qualche ora, mangiamo qualcosa, e… ci dirigiamo veso Birsk: ALEA IACTA EST! La Mongolia ci aspetta.

La strada e’ buona, continuiamo fino a Birsk e oltre, c’e’ ancora luce, abbastanza per vedere in lontananza un segnale inequivocabile: un poliziotto alza il suo sfollagente rosso e bianco – tipico in tutti questi paesi, alcuni sono anche luminosi – per fermarci. Lo so! Sto correndo a 100 all’ora: niente di che in verita’, la strada lo permette, ma le leggi russe no!
E adesso? Cosa ci succedera’? Ci ritirera’ i passaporti? Li brucera’ ? Ci confischera’ la Panda? Verremo inviati nel gulag piu’ vicino??
Il poliziotto si avvicina all’auto ferma, ci gira attorno e dal parabrezza vedo che gli scappa un sorriso, quando mi chiede i documenti e’ di nuovo serio. Mi fa vedere la pistola laser: 99 km all’ora. La mia espressione e’ contrita. Strizza l’occhio e mi saluta in russo: arrivederci!
Non ci posso credereeeee! Lo chiamo mentre si allontana e gli regalo un portachiavi ringraziandolo.

Purtroppo per la notte finiamo nuovamente in un albergo sovietico, questo davvero terribile, esattamente come lo descrive la guida della Lonely Planet… vergognoso! Senza neanche una doccia in tutto l’edificio. Siamo in un posto di villeggiatura e tutti gli alberghi decenti sono pieni. Riusciremo ad apprezzare la bellezza della zona che stiamo attraversando solo con la luce, il giorno dopo.
Adesso dobbiamo combattere con un lavandino troppo piccolo per lavarci, acqua fredda per sciacquare un po’ di vestiti e di biancheria, bagni comuni poco invitanti. Portiamo in camera fornelletto e pentolame e ci cuciniamo una pasta. Questa sera la situazione non riesce a divertirmi. Mi dispiace perche’ potremmo farci quattro risate, ma il posto e’ cosi’ poco ospitale, la gente cosi’ poco comunicativa e comprensiva – nel senso che non capisce e non fa niente per capire - e io cosi’ stanca che non riesco a modificare l’umore.

Il 16 agosto ripartiamo verso Tashanta (… Aqaba Aqaba… per chi conosce la citazione). Pochi chilometri oltre la cittadina in cui abbiamo dormito scopriamo una zona turistica sulle sponde di un fiume bellissimo: camere a volonta’ con bagno e acqua calda, possibilita’ di campeggiare sulle rive. Non dobbiamo pensarci!!

Raggiungiamo un team inglese anch’esso diretto verso il confine. Hanno appena perso il tubo di scappamento e ci dicono che fino al giorno prima li precedevamo di poco e tutti gli indicavano il nostro passaggio.

Ripartiamo insieme. Il confine chiude alle 18.00, non e’ prestissimo perche’ non siamo riusciti a svegliarci presto come avremmo voluto. Proviamo a raggiungerlo in tempo attraversando paesaggi bellissimi: il fiume scorre a tratti impetuoso, le montagne sono stupende, I paesaggi davvero mozzafiato, spiace dover correre via.
Ogni tanto, avvicinandoci al confine, la strada peggiora, scompare di colpo lasciando il posto a sterrato e buche. E’ in uno di questi passaggi che perdiamo il team inglese. Procediamo perche’ ci eravamo accordati in questo senso: se una delle due auto e’ piu’ veloce e’ bene che raggiunga il confine cercando di ‘tenerlo aperto’.

I villaggi che attraversiamo prima di Tashanta sono davvero come li descrive la guida: posti da fine del mondo.

Il confine e’ chiuso. Ci avvisano le guardie che ci fermano 50 km prima per un controllo. Questa sera campeggiamo a Tashanta!

 

 

17 agosto – Kazakistan II parte

Ripartiamo il 14 luglio dopo una dormita ristoratrice, direzione Semey (ex-Semipalatinsk).

La prima parte della strada è poco praticabile, la seconda parte è senza speranze! Una strada così dissestata non l’avevamo mai vista: si procede a zig zag tra buche e tratti addirittura sventrati, sembra bombardata.

Incontriamo sul percorso un convoglio di team inglesi. Ci salutiamo con l’idea di incontrarci alla frontiera russa.

Procedendo verso il confine la temperatura cambia, l’aria si sta rinfrescando, tiriamo fuori le felpe per la prima volta anche di giorno.

Raggiungiamo Semey dopo quasi 48 ore di viaggio. La città è tristemente famosa: non lontano i sovietici fecero esplodere 456 bombe atomiche, di cui 116 nell’atmosfera, e gli effetti sulla salute della popolazione sono stati devastanti.

In un parco vicino alla città abbiamo visitato il monumento dedicato alle vittime degli esperimenti nucleari. E’ intitolato ‘Più forte della morte’ e ritrae una madre che protegge il proprio bambino mentre alle sue spalle si innalza il fungo atomico.

Qui a Semey, accanto alle costruzioni in stile sovietico, si trovano anche casette basse di legno molto pittoresche, probabilmente esempio dell’architettura originale di questa zona. Ne sono sopravvissuti interi quartieri.

Attraversiamo anche un ponte lunghissimo, il 17° più lungo del mondo, che collega le due rive del fiume Irtys.

Lasciata Semey cambia la vegetazione nel giro di poche decine di metri … siamo in Siberia e intorno a noi tutto si dipinge di verde.

Raggiungiamo il confine in un’oretta, sta facendo buio e davanti al cancello della frontiera kazaka troviamo una lunga fila di macchine.

Ma la fortuna ci assiste: quando le guardie si accorgono di noi e realizzano che siamo del MongolRally ci fanno passare subito: in questi giorni ne devono aver viste passare un gran numero di macchine come la nostra, sanno già tutto.

Le procedure per lasciare il Kazakistan sono velocissime e in breve ci troviamo al confine russo.

 

15 agosto – Kazakistan I parte

I kazaki sputano!
Ce ne siamo accorti subito, mentre alla frontiera alcuni funzionari intorno a un tavolo davanti alla Panda compilavano alcuni moduli. Uno seduto scriveva, gli altri intorno guardavano e commentavano.. e sputacchiavano per terra con soddisfazione. Lo abbiamo poi visto fare ovunque, anche con accompagnamento musicale: una bella scatarrata.

Inoltre sono corrotti, almeno quelli che lavorano alla frontiera con l’Uzbekistan. E’ stato possibile notarlo in diverse fasi del passaggio. Già mentre aspettavamo in coda alla sbarra di ingresso alcune auto superavano la fila e dopo poco la sbarra si alzava di fronte a loro.

Abbiamo indagato un po’ mettendoci in piedi proprio davanti alla sbarra per monitorare i movimenti: le auto arrivano, il conducente scende e parlamenta un attimo con uno degli addetti che siedono ai lati della sbarra. Poi mette mano al portafogli e qualche bigliettone passa nelle mani dell’interlocutore che infila la mazzetta nel berretto che tiene in mano e fa alzare la sbarra.

Nonostante la finta pretesa di nascondere il giochetto, tutto in realtà si svolge alla luce del sole.

Il cancello del passaggio pedonale è affollatissimo di persone che tentano di raggiungere il varco di uscita. Quando dico ‘affollatissimo’ intendo che le persone provenienti dall’Uzbekistan – lavoratori principalmente - si ammassano in uno stretto corridoio delimitato da due reti e cercano di scavalcarsi passando sopra la testa di chi sta davanti per raggiungere l’ingresso.

Un’altra tipologia di persone – donne con borse voluminose accompagnate da bambini, intere famiglie con grossi pacchi, anche elettrodomestici acquistati in Uzbekistan probabilmente a un prezzo migliore – arrivano all’ingresso da un percorso parallelo al corridoio dei lavoratori.

Attraversano un controllo doganale che funziona in modo molto sbrigativo: tutti coloro che portano bagagli hanno già in mano la mazzetta che passano velocemente all’addetto senza che vengano fermati per verificare il contenuto delle loro borse. Una signore, che probabilmente ha provato ad eludere il pagamento, è stata fermata e le sue borse sono state requisite per il controllo, chissà quanto tempo è rimasta ferma. Abbiamo potuto assistere a questo teatrino da una posizione di favore, poiché lo sportello per la vidimazione dei passaporti si trova proprio di fronte al sedicente controllo doganale.
 

Incontriamo un team americano in partenza: loro ci hanno messo 5 ore per riuscire a passare tutti i controlli e hanno dovuto tener duro e puntare i piedi per evitare che gli venissero estorti ben 200 dollari. Ci raccomandano quindi di fare attenzione.

Con nostra sorpresa, però, a noi non viene chiesto un soldo. Il contenuto della Panda viene verificato sommariamente, i funzionari ci salutano augurandoci buon viaggio, percorriamo lentamente qualche metro ma veniamo richiamati da un ultimo ‘controllore’ (in questi posti pare che chiunque possa arrogarsi il diritto di chiedere il tuo passaporto) in borghese: questo particolare ci mette in allarme, poiché nessuno di coloro che ritiravano mazzette nelle postazioni precedenti portavano la divisa. Ci fermiamo e scendiamo con tutti i documenti. Il kazako li controlla con poca attenzione, ci guarda, guarda la Panda e ce li rende salutandoci…

Saliamo di nuovo in macchina e ci allontaniamo con circospezione, come il gatto dei cartoni animati che si allontana in punta di piedi con in bocca il lardo.

Anche questa è fatta! E dopo Georgia e Uzbekistan il Kazakistan è il terzo paese che, contrariamente alle nostre aspettative, non ci fa pagare l’assicurazione per l’auto.
 

In Kazakistan, secondo le informazioni che abbiamo, non dovrebbe essere difficile ritirare soldi con il bancomat nelle città medio-grandi. In Uzbekistan non c’è stato verso, l’unico modo per avere contanti è stato quello di andare in banca e ritirare dollari con la carta di credito, operazione che, oltre ad essere lunga vista l’efficienza indigena, è anche dispendiosa perché le banche chiedono una commissione del 3,5 o 4%

Ci fermiamo al primo villaggio dove vediamo un po’ di vita, un mercato piuttosto dimesso con alcuni banchetti anche sul lato della strada. Non c’è un bancomat e chiediamo se è possibile cambiare dollari in tenghe, la moneta locale.

La persona a cui chiediamo l’informazione ci pensa un attimo e ci fa segno di seguirlo tra tavolini pieni di cianfrusaglie, stuoie coperte di verdura e frutta (non ha un bell’aspetto), banchi di pane.

In mezzo a tutto questo troviamo un ombrellone sotto il quale, su uno sgabello di legno, siede una signora con una borsa abbastanza voluminosa tenuta in grembo.

Il nostro accompagnatore le dice qualcosa di cui si comprende solo ‘dollar’, poi ci saluta e ci lascia ai nostri affari. La donna ci guarda e annuisce come a dire ‘cosa portate’ ? Le mostriamo il nostro biglietto da 50 dollari. Lei lo prende, lo controlla e ci fa vedere quanti tenghe è disposta a darci. Il cambio, stando a quanto sappiamo, è pressoché corretto e concludiamo l’affare.

La signora apre la borsa: è colma di banconote già ben suddivise in comodi mazzetti. Prende quanto ci spetta, ci consegna il malloppo e si gira dall’altra parte … strana gente.
 

L’aspetto dimesso dei villaggi che vediamo lungo la strada non corrisponde all’idea che ci eravamo fatti del Kazakistan, ovvero del paese più ricco dell’area grazie al petrolio.

Probabilmente tutto il petrolio se lo beve Nazarbaev, dittatore del Kazakistan nonché uno degli uomini più ricchi del mondo.

 

Arriviamo a Taraz a notte fonda, verso le 3, e troviamo l’albergo segnalato dalla Lonley Planet: Hotel Taraz, un albergo sovietico incredibilmente tipico, uno di quei posti che sembrano fatti sulla base delle descrizioni che ne fanno. Ne avevamo già incontrati sulla nostra strada qualche anno fa in Azerbaijan e a Mosca. Ambienti cupi, lunghi corridoi dai soffitti bassi, receptionist lobotomizzate e inservienti al piano (gli alberghi sovietici prevedono una responsabile per ogni piano) reattive come bradipi. Non si può dire che le camere siano piccole o brutte o sporche e poco confortevoli, non in generale almeno, anche se a volte sono tutto questo. Hanno tutte quell’aria dimessa che le fa sembrare polverose come tutto l’albergo.

I bagni poi sono sempre un programma. Quello di Taraz è tutto piastrellato di nero, e – come al solito – lavandino e vasca da bagno sono serviti dallo stesso rubinetto che gira dall’uno all’altra.
 

Comunque è un albergo, ha una camera per noi e anche un parcheggio custodito.

Quando entriamo in camera abbiamo giusto il tempo di fare le considerazioni di cui sopra, aprire due Insalatissime (il regalo di Alessandro che in varie occasioni ci hanno già salvato la vita)

e mangiarle voracemente e svenire sul letto senza neanche farci la doccia (giuro! neanche io!!).

Otto ore di sonno pesantissimo, doccia e di nuovo in macchina, in corsa verso Almaty su strade che, avvicinandoci alla città migliorano visibilmente.

Anche le auto che incrociamo e che ci superano sono tutte più belle di quelle incontrate fin’ora.

Ci fermiamo a mangiare lungo la strada in un posto simpatico, e dopo pranzo ci facciamo servire il the sui tipici ‘triclini’ (non saprei come definirli altrimenti) sui quali, nell’attesa, schiacciamo un mezzo pisolino.
 

Ad Almaty, troviamo il nostro albergo sovietico – c’è un altro team alloggiato, la macchina è fuori ma non incontriamo i ragazzi – e dopo la doccia usciamo a cena.

Almaty è sicuramente una città evoluta, piuttosto ricca e piena di Bancomat che erogano solo Tenghe, ma almeno ci sono! E’ anche rumorosa: i kazaki usano il clacson molto più del freno!

Il giorno dopo scopriamo anche un internet point con Wi Fi… un lusso!

Però è impossibile trovare una lavanderia e cominciamo ad averne assoluto bisogno: è da Buchara che non laviamo niente.
 

Vogliamo prenderci un giorno di riposo e lasciamo l’albergo per andare in un posto di montagna molto vicino alla città dove si può campeggiare accanto a un bel lago. Ma – inseguiti dalla nuvoletta di Fantozzi – non riusciamo ad arrivarci: comincia a piovere e lungo la strada sterrata veniamo prima superati e poi incrociamo molti grossi fuori strada di persone che avevano probabilmente il nostro stesso programma: da uno di questi un signore ci consiglia a gesti di desistere, la strada è resa impraticabile dalla pioggia, è pericoloso.

Facciamo dietro front colti da un lampo di responsabilità ;o)

Decidiamo di campeggiare più in basso, intorno ci sono alcune jurte probabilmente di proprietà di cittadini di Almaty che trascorrono qui il fine settimana.

Quando cominciamo a montare il campo comincia a diluviare! Non riusciamo a montare il nostro tendalino portato in verità per ripararci dal sole, piove e c’è vento… cambiamo programma e montiamo in fretta e furia la tenda.

Come mal sopporto la pioggia!! Io mi infilo in tenda e per me potrebbe concludersi la giornata, ma Francesco rimane fuori e tenacemente si mette a cucinare!! Pasta ai funghi… come tirarsi indietro?

 

Il 12 Agosto siamo di nuovo ad Almaty e prima di partire facciamo un’esperienza divertentissima: andiamo alle terme.

Le terme ci piacciono in generale, ma quelle di Almaty sono uno spasso. Sono divise tra uomini e donne e sicuramente i racconti di Francesco sono più spassosi, perché gli uomini in determinate circostanze riescono a rendersi molto più ridicoli.

Immaginate dei grossi kazaki – tipi orientaleggianti che fanno pensare a lottatori di sumo – che tutti nudi e sudati in una stanza fumosa si fustigano e si fanno fustigare con rami di betulla (dicono faccia bene per l’espulsione delle tossine) lanciando gemiti.

Quando ci incontriamo all’ingresso ci guardiamo e scoppiamo a ridere.

Prima di lasciare Almaty incontriamo una coppia di inglesi , un team, che ha dovuto portare la propria auto dal meccanico e spera di poterla ritirare il giorno dopo.

Non hanno una buona cartina della regione ma solo un libro scolastico di geografia (mmm… organizzazione britannica) e sono un po’ in difficoltà con le strade. Gli consigliamo di fare qualche foto alla nostra con la loro macchina digitale.

Passiamo insieme un’oretta raccontandoci avventure e disavventure poi ci salutiamo e noi partiamo col buio.
 

Ci fermiamo a campeggiare dopo qualche ora e la mattina successiva ripartiamo verso Semey.

Commettiamo una leggerezza: per seguire una scorciatoia segnata sulla cartina come strada secondaria ci andiamo ad infilare in un ginepraio di strade sterrate impossibili da percorrere, che pare si perdano nel nulla. Fa caldo e fortunatamente c’è un po’ d’aria che ci evita di uscirne arrostiti.

Siamo preoccupati per la macchina sottoposta a un percorso davvero terribile. Vibra tutto, dobbiamo risistemare svariate volte il portapacchi che scivola in avanti, sembra che la Panda debba smontarsi da un momento all’altro.

Fortunatamente abbiamo un riferimento certo: la ferrovia. Il percorso continua a seguire la ferrovia e finalmente ci conduce a un villaggetto – un posto davvero impossibile… ma come ci vive la gente?? - segnato sulla cartina da dove ci indicano la strada per tornare sulla via principale.
 

In tarda serata raggiungiamo una cittadina a metà strada tra Almaty e Semey, dove ci viene indicato un albergo, o meglio, un posto dove dormire: una locanda dove ci danno una stanza con un lavabo da cui scende acqua fredda e puzzolente, probabilmente stagnante.

Siamo stanchissimi e impolverati, oltretutto io facendo manovra per parcheggiare nel cortile della locanda ho agganciato un masso col paraurti posteriore e l’ho staccato per metà dalla carrozzeria.

Ci vorrebbe proprio una doccia calda! Ci laviamo dalla testa ai piedi nel lavabo e riusciamo anche a farci dare qualcosa da mangiare.

Domani andrà tutto meglio!

 

10 agosto 2007
Uzbekistan

Siamo entrati in Uzbekistan il pomeriggio del 4 agosto e abbiamo raggiunto in breve Buchara. La strada è decente, anche qui tanta polizia e posti di blocco, ma quando ci fermano lo fanno solo per verificare i documenti – una sola volta li hanno registrati – o semplicemente per curiosità, per vedere chi siamo e cosa ci facciamo da quelle parti su una macchina così buffa.. ah italiano … Francesco Totti, Maldini … italiano vero.. e ci lasciano andare.

A Buchara individuiamo subito un alberghetto molto accogliente ed economico i cui gestori ci permettono di parcheggiare la macchina nel cortile interno. In un albergo vicino troviamo Anton e Jorge a letto da due giorni, colpiti da un’infezione intestinale o simili: hanno dovuto chiamare un medico che ha loro somministrato qualche flebo ricostituente. Quando arriviamo noi stanno già un po’ meglio, ma hanno passato dei brutti quarti d’ora.

In Uzbekistan ci siamo un po’ rilassati. Buchara e Samarcanda sono cittadine turistiche, ma senza essere affollate (almeno in questa stagione), molto belle, con Moschee e Madrase spettacolari, davvero mozzafiato, che in periodo sovietico erano state adibite a magazzini, fabbriche, stalle … da non credere.
Ci tratteniamo a Buchara due giorni e ripartiamo alla volta di Samarcanda nel tardo pomeriggio del 6 agosto, salutando nuovamente i nostri prodi ispanici che prima di lasciarci ci consegnano un preziosissimo dono, il Ruhnama!! Un’opera che colmerà le nostre lacune culturali. Ci raccontano una scena divertentissima: l’acquisto di 3 copie in lingue straniere dell’ ‘Opera Omnia’ presso la libreria ufficiale di Ashgabat. La commessa del negozio non se ne capacitava, mortificata oltretutto dall’indignazione dei due inconsueti clienti quando ha dovuto ammettere che …no, in lingua spagnola non è stata tradotta.

Sulla via di Samarcanda percorriamo col buio la strada peggiore incontrata fin ora. E’ una strada a 4 corsie teoricamente a percorrenza veloce, ma la troviamo pericolosissima: è buia, piena di buche, gli uzbeki guidano in modo criminale, i pedoni vi passeggiano ai margini e attraversano di corsa davanti a noi, la percorrono anche i ciclisti assolutamente invisibili. Ogni tanto un’auto arriva contromano tenendosi sulla destra della strada e dalle griglie dei posti di sosta si alza un fumo densissimo che toglie completamente la visuale.

Arriviamo sani e salvi e troviamo alloggio presso un B&B a conduzione familiare: a Samarcanda sono molto diffusi e in questi giorni lavorano a pieno ritmo per offrire ospitalità ai rallisti che vi arrivano a frotte. Ne incontriamo un buon numero alloggiati poco distante e possiamo verificare lo stato di salute delle altre auto: ammortizzatori ridotti ai minimi termini, parabrezza sfasciati, fanali tenuti insieme dal nastro adesivo, pneumatici sostituiti… il nostro pandino procede che è una meraviglia in confronto!
Ad oggi abbiamo solo dovuto sostituire la marmitta, e il lavoro non è stato fatto a regola d’arte, accidenti! La marmitta sarà anche nuova, ma continua a ballare perché la saldatura fatta dal turkmeno ha ceduto subito! La abbiamo ancorata con il fil di ferro e dobbiamo verificarne sempre la tenuta. Però ho scoperto che la marmitta non è una parte essenziale nel contesto generale :o)

La sera del 7 agosto ceniamo all’aperto in un locale di Samarcanda chiamato Marco Polo, dove incontriamo un ragazzo uzbeko che grazie al suo perfetto inglese ci aiuta ad ordinare. Ha voglia di chiacchierare. E’ da poco tornato dalla Germania dove ha studiato per 2 anni e dalle sue parole si comprende la difficolta’ nell’affrontare il reintro a casa. Si sente un occidentale, sogna l’Europa e l’America. Alla quarta o quinta birra comincia a barcollare... molto tedesco l’approccio.
Di li’ a poco si ferma davanti al locale una panda italiana con a bordo 3 ragazzi di cui 2 romani e un italo-argentino: un team che abbiamo gia’ incrociato a Baku mentre cercava di ottenere in qualche modo i visti per il Turkmenistan... impresa impossibile. Alla fine hanno cambiato programma e hanno preso il traghetto per Aktau sbarcando in Kazakistan e affrontando un percorso davvero terribile per arrivare in Uzbekistan.

Scendono dalla macchina barcollanti.. sono assolutamente devastati dalla stanchezza e ci fanno trascorrere un’oretta davvero divertente... sono proprio folgorati.
La prima cosa che ci chiedono: ‘Ma voi perche’ lo avete fatto??? Perche’ siete qui?? Noi – dicono – ce lo chiediamo ogni giorno! E’ stato un errore, un grosso errore. Non siamo mica fatti per queste cose ! Siamo gente da spiaggia, da albergo.. serviti e riveriti. E guarda come siamo conciati: stanchi, sporchi, da buttare via’
Sono spassosissimi! Uno cerca di ottenere dalla cameriera russa un’ insalatina... ‘solo insalatina ti prego.. senza niente altro. Un’insalatina verde...’
La cameriera ride.. non capisce .. scuote la testa... interviene l’uzbeko anglofono che fa da interprete e alla fine raggiungono un accordo: la cameriera porta in visione tutto quanto c’e’ di verde a disposizione in modo che possa scegliere. Arriva con ben due tipi di erba cipollina e del prezzemolo.
Profonda delusione... niente insalatina ... Nel frattempo si sono uniti al gruppo altri due turisti: un inglese e un americano che viaggiano in coppia e aumentano il clima confusionario gia’ creato da noi 5 italiani (anzi, 4 italiani e un italo-argentino). I due cercano di farsi indicare in Samarcanda una discoteca, stupiti dalla difficolta’ di trovare locali notturni in una citta’ turistica come Samarcanda. Il ragazzo Uzbeko partecipa con trasporto al clima occidentale della serata, sempre piu’ brillo. Ed ecco che arriva l’insalatina: un vassoio di prezzemolo ed erbetta!!

Da suicidio! Il giorno successivo partiamo per Tashkent, capitale dell’Uzbekistan. La citta’, distrutta nel 1966 da un violento terremoto, ha subito due disastri: prima quello naturale e poi quello dell’intervento sovietico di ricostruzione. E’ infatti costellata di palazzoni tipici del periodo comunista, che abbiamo gia’ trovato in tutte le citta’ dell’area di influenza sovietica, sia nelle periferie sia – dove e’ stato possibile fare spazio – nei centri cittadini (Buchara e Samarcanda si sono salvate) . I palazzoni sono come alveari e mancano assolutamente di un minimo di manutenzione: sono cadenti, impressionanti da vedere. Il bello di Tashkent sta invece nel progetto urbanistico che prevede ampi viali alberati dietro i quali si nascondono i casermoni di cui sopra, parchi molto belli ricchi di verde e di fontane in cui i bambini si tuffano per cercare refrigerio.

E’ a Tashkent che decidiamo di cambiare la batteria alla Panda: eravamo già partiti col sospetto che non fosse in ottime condizioni e ce ne ha dato la conferma: è morta! Ne troviamo una nuova abbastanza facilmente e a un buon prezzo.

Soggiorniamo in un B&B molto carino, dove incontriamo una coppia triestina stupita nel vedere una Panda rossa targata MI parcheggiata davanti all’ingresso. Ci augurano buon proseguimento... partiamo il 9 agosto alla volta della frontiera Kazaka.

La frontiera tra Uzbekistan e Kazakistan è stata tracciata in modo arbitrario, alcune case sono praticamente state tagliate in metà e dalla parte Uzbeka si trova infatti un piccolo abitato a ridosso del cancello che divide l’Uzbekistan dalla terra di nessuno.
C’è una gran confusione intorno alla coda di auto che attendono di passare. Fa un gran caldo.
A un certo punto una grossa signora ci si avvicina con fare deciso e si rivolge a Francesco parlando una lingua incomprensibile – il Kazako direi – indicando la nostra macchina, indicando me e poi Francesco con aria battagliera, battendo con la mano sul braccio di Francesco quasi a voler sottolineare le sue ragioni. Francesco le fa capire di non prendersi troppe confidenze… lei si allontana e raggiunge la sua macchina poco distante, ferma in una coda parallela, e da lì continua le sue invettive, indicando infine anche la sua macchina, e poi ancora la nostra, cercando di coinvolgere persone presenti che non le prestano molta attenzione. Capiamo cosa vuole: sostiene di essere stata urtata dalla Panda!!
Non le prestiamo più attenzione per non darle importanza, e fortunatamente non siamo i soli: non l’ascolta neanche chi si trova al volante dell’auto su cui sta viaggiando.
Lei continua le sue lagnanze ancora per un po’, poi arriva il suo turno, le aprono il cancello e la fanno passare.

Poco dopo è il nostro turno, siamo nella terra di nessuno e vediamo poco lontano il ‘portale’ di accesso al Kazakistan, sul quale campeggia una lunga scritta in Kazako firmata dal ‘Paleto’ locale!

 

 

7 agosto 2007
Turkmenistan, un mondo parallelo II parte

La nostra guida sale in macchina con noi, Jorge e Anton ci seguono. Salutiamo gli altri team che di lì a poco ci supereranno in corsa per attraversare il più velocemente possibile il Turkmenistan.
Il loro punto di vista sul Mongol Rally è diverso dal nostro: “It’s a race, it’s not a vacation!’ Per noi è una vacanza. Il Rally è un pretesto, da questo momento in poi attraverseremo paesi totalmente nuovi e vogliamo che qualcosa ci resti.

Il tragitto da Turkmenabashi ad Ashgabat, la capitale, è piacevole nonostante il caldo: il paesaggio stupendo. Ci fermiamo a mangiare qualcosa in mezzo al deserto, dove ragazze Turkmene mungono latte di cammello lasciando che anche i piccoli se ne nutrano. Uno scenario incredibile. Ovunque vediamo gigantografie di Nijazov- Turkmenabashi e cartelli con le sue massime.
La guida ce ne traduce una: “Finchè Turkmenabashi vivrà ci sarà ossigeno” . Il silenzio imbarazzato che segue dura pochi istanti, è la guida a romperlo raccontando che poco tempo fa tradusse la stessa massima a un turista italiano che gli fece notare che nonostante la morte di Nijazov in Turkmenistan continuava ad esserci ossigeno. Ridiamo. E’ sempre la guida a raccontarci del cambio dei nomi a mesi e giorni della settimana in Turkmenistan. Non esprime commenti negativi o positivi, dice che l’ex presidente ha voluto così perché… forse perché è più divertente dire 5 Turkmenabashi al posto di 5 gennaio (cos’altro si può dire?).

Un tale personaggio non poteva che suscitare l’iralità di noi tutti. Gli troviamo un nomignolo appropriato: il Paleto. E’ un termine che abbiamo imparato in Spagna e che anche i nostri amici approvano. E’ difficile trovare una traduzione in italiano: indica un personaggio provincialotto, che quando visita la città mette i vestiti migliori, che si stupisce di tutto quello che vede… un Paleto insomma!

Incontriamo sulla strada parecchi posti di blocco, le auto vengono fermate e registrate. La presenza della guida evita sicuramente altre noie. Più ci avviciniamo alla città più si intensifica la presenza di Nijazov: gigantografie sui cartelloni, sui muri delle case, all’ingresso delle fabbriche, riproduzioni del suo libro ovunque.
Sì, perché il Paleto ha anche pubblicato un libro, il Ruhnama: una specie di summa dello scibile universale rivisitata da lui in persona. I cittadini turkmeni sono tenuti a leggere il Ruhnama, a studiarlo a scuola, all’università, a sostenere una prova sul Ruhnama per superare l’esame della patente. Il Paleto ci osserva da ogni angolo, è onnipresente anche da morto. Riposa in un mausoleo colossale davanti al quale passiamo entrando in Ashgabat: è stato costruito in pochi mesi dopo la sua morte occorsa verso la fine dello scorso anno e lì è stato tumulato. Pace all’anima sua.

Arriviamo ad Ashgabat e negli uffici dell’agenzia sbrighiamo le ultime pratiche per la nostra permanenza. Jorge e Anton hanno la conferma che con il loro visto di transito, del quale rimangono solo 3 giorni, dovranno partire prima di noi per raggiungere in tempo il confine Uzbeko. Il responsabile dell’agenzia ci chiede informazioni circa gli altri team. Il governo turkmeno sta infatti cercando di acquisire informazioni circa una delle auto sbarcate con noi che manca all’appello: la polizia ai posti di blocco ha rilevato infatti il passaggio di una macchina in meno. Tutto è tenuto sotto controllo… il governo sa chi attraversa il paese, sa chi si ferma e dove, si accorge se qualcuno è dove non dovrebbe.
Noi sappiamo che fine ha fatto l’auto, una Mini: è stata imbarcata a Baku già defunta, i proprietari speravano che l’equipaggio del traghetto, dietro lauta mancia, gli avrebbe permesso di spingerla in mare durante la navigazione, ma come è ovvio un’operazione del genere è impensabile. E’ stata sbarcata e registrata e imprudentemente abbandonata al porto.
L’organizzazione del Mongol Rally si era raccomandata: qualsiasi cosa succeda non lasciate la vostra auto in Turkmenistan, se necessario spingetela a braccia fuori dal paese. Non sappiamo ancora cosa è successo all’equipaggio della Mini.

Ashgabat è una città senza senso: una distesa di alti palazzi bianchissimi, di gusto discutibile, dei quali non è sempre chiara la destinazione. Non pare che la popolazione viva in questi palazzi, nessuno entra ed esce. C’è una zona di soli alberghi di lusso voluti dal Paleto, e sono sempre vuoti. In centro ci sono tutte le sedi governative sulle quali campeggia la gigantografia del nostro uomo, che da un piedistallo alto alcune decine di metri sovrasta la città: la famosa statua d’oro, che gira insieme al sole e lo saluta al momento in cui sorge e quando tramonta. Di fronte alla statua si trova un monumento in ricordo del terremoto del 1948, che rase al suolo Ashgabat con più di 100.000 morti: un toro porta sulle corna il globo terrestre che si spacca inghiottendo la città, ma dalla terra emerge una donna che salva un bambino dorato .. LUI! Non sto raccontando fantasie, è tutto vero!
Per il resto si percorrono vialetti circondati di aiuole, si incrociano fontane – aveva una fissa per le fontane, in Ashgabat si trova la più grande fontana del mondo, un orrore! – si incontrano poliziotti ad ogni angolo, statue e busti dell’ex-presidente, monumenti commemorativi tra i quali quello dedicato al Ruhnama.
La gente è cordiale, il popolo turkmeno è un bel popolo (il Paleto non pare proprio essere il padre dei turkmeni infatti), le donne in particolar modo, giovani e meno giovani, che vestono per la maggio parte abiti tradizionali molto femminili .
Quando la sera usiamo dall’albergo per andare a cena – in città si può circolare senza guida – veniamo fermati 3 volte dalla polizia nell’arco di 500 metri, il tempo di fare il giro dell’isolato per andare a recuperare i documenti in albergo, dove imprudentemente li avevamo lasciati, ma non abbiamo neanche fatto in tempo. Scendo dalla macchina e ci vado a piedi, lasciando in ostaggio Francesco, Jorge, Anton e la Panda. Niente di grave, tranne il fastidio di una tentata estorsione da parte di un poliziotto: abbiamo velatamente minacciato di telefonare all’agenzia turistica… e ci hanno lasciati andare. Qui pare che alla polizia sia assolutamente vietato questo tipo di comportamento, bontà loro.

Jorge e Anton hanno provato a chiamare casa dal call center internazionale, unico posto dal quale si posso fare chiamate internazionale (vale anche per i turkmeni). Bisogna innanzitutto dichiarare la lingua nella quale si effettua la chiamata, poi viene cercato un interprete disponibile e se si trova si può procedere: la centralinista compone il numero e dà la linea, dall’altro capo del telefono c’è il tuo interlocutore e qualcuno che ascolta la conversazione. Il risultato non è garantito, infatti non è stato possibile.
Avendo fatto un po’ tardi siamo dovuti andare a mangiare in un locale frequentato principalmente da occidentali, con licenza di tenere aperto oltre l’orario di ‘coprifuoco’ stabilito per ristoranti ed esercizi pubblici in genere, le 23.00.

Il giorno successivo abbiamo salutato Jorge e Anton dandoci appuntamento a Buchara. Ci viene a prendere in albergo una nuova guida con un fuoristrada guidato da un simpaticissimo autista russo, Vladimir: abbiamo chiesto di essere portati in un posto davvero spettacolare, a Darvaz, in mezzo al deserto, dove in un cratere enorme il fuoco brucia gas perennemente. E’ stato creato in epoca sovietica alla ricerca appunto di giacimenti di gas.
Trascorriamo una serata fantastica, i nostri accompagnatori cucinano per noi sul fuoco, mangiamo e beviamo, la compagnia è piacevole, Vladimir racconta un po’ la sua storia: è un biologo specializzato in serpenti, lavorava nel serpentario di Ashgabat chiuso dopo la caduta dell’Unione Sovietica insieme a tutto il dipartimento di biologia di cui era parte. Amava molto il suo lavoro e spera in futuro che qualcosa cambi, di poter tornare a lavorare con i suoi amati serpenti.
E’ lui che la mattina dopo – trascorriamo la notte in tenda – ci fa vedere un aquila che sorvola la zona tenendo nel becco un serpente. Il giorno stesso, 3 agosto, dopo aver ritirato la Panda dal meccanico – gli avevamo chiesto di fissarci la marmitta che aveva cominciato a ballare e lui l’ha sostituita con quella di una Uaz.. adesso la Panda romba come una Uaz - partiamo per raggiungere Mary e per visitare il giorno dopo l’antica città di Merv.
Viaggiamo sempre con la nostra guida seduta nella Panda e cominciamo a sentirci un po’ in gabbia. Siamo abituati ad essere più autonomi, a fermarci quando vogliamo, a fare foto dove ci pare… l’idea di avere una guida imposta che ci controlla ad ogni passo ci dà un senso di claustrofobia.
E’ l’impressione generale che ci rimane di questo paese, oppressione: la presenza costante di un accompagnatore, la polizia che ti ferma ad ogni passo, posti di blocco all’entrata e all’uscita dalle città con cancelli che si aprono e si chiudono, le foto del presidente ovunque, la consapevolezza che sanno sempre dove sei e dove vai. Dormiamo in un B&B prenotato dall’agenzia e usiamo la cucina per farci finalmente una pasta. La signora del B&B mostra molto interesse nei confronti della nostra cassa di viveri: la apre senza tanti complimenti, controlla la pasta, i sughi pronti, le buste di riso… chissà cosa pensa.
Il giorno dopo, 4 agosto, visitiamo l’antica Merv, luogo archeologico protetto dall’UNESCO. Ci dirigiamo infine verso il confine. Alla frontiera la presenza della guida aiuta molto: in 20 minuti siamo finalmente soli nella terra di nessuno diretti verso l’Uzbekistan. Siamo un po’ preoccupati perché ci rimangono in tutto 40 dollari: in Turkmenistan non esistono Bancomat e Carte di credito, non si possono ritirare contanti e non è possibile pagare con le carte nei negozi. E’ il primo paese nel quale ci accade di non poter accedere a contanti.

Incredibilmente al confine Uzbeko le procedure sono molto rapide rispetto al solito e ancora più incredibilmente non paghiamo neanche un dollaro! Pochi documenti da firmare, controlli brevi, funzionari affabili … siamo liberi!!
Siamo entrati in Uzbekistan, paese che non brilla quale esempio di democrazia, ma ci sembra di aver riacquistato libertà e autonomia. Chissà cosa sarà nei prossimi anni del Turkmenistan. Velatamente tutti ci hanno fatto capire di avere qualche aspettativa dal nuovo presidente, in carica dalla morte di Nijazov dopo essere stato ministro della salute del precedente governo. Se ne parla poco, non abbiamo mai sentito pronunciare il suo nome, non ci sono sue fotografie in giro e non ha eliminato quelle dal Paleto , che rimane nell’immaginario il capo incontrastato.
Però quel poco che si dice pare positivo: ha annunciato un progetto importantissimo per rendere la città portuale di Turkmenabashi un’area turistica bellissima, con alberghi e spiagge e accesso senza visto. Sta facendo ristrutturare tutte le strade più importanti soprattutto per i collegamenti con gli stati confinanti e pensa di attivare collegamenti ferroviari: vuole uscire dallo stato di isolamento cui il Paleto aveva costretto il paese. Speriamo in bene…

 

 

5 agosto 2007
Turkmenistan, un mondo parallelo I parte

Alcuni anni fa, viaggiando tra Georgia, Armenia e Azerbaijan, Francesco mi raccontava di un suo collega americano conosciuto in Georgia. ‘Un viaggiatore straordinario – diceva – che ha visitato i posti più assurdi. Pensa che ha anche attraversato il Mar Caspio su un mercantile ed è sbarcato in Turkmenistan. Un paese pazzesco, dove il presidente nonché dittatore assoluto ha cambiato tutti i nomi dei mesi e dei giorni della settimana sostituendoli con quelli dei suoi familiari. Ha fatto costruire una statua d’oro di se stesso che gira guardando sempre il sole e l’ha messa nella piazza principale della capitale su un piedistallo altissimo…’

Dopo un intero giorno di attesa davanti al porto di Turkmenabashi (termine che significa ‘Padre dei Turkmeni’ che Njazov si è attribuito ed ha attribuito alla città portuale) siamo sbarcati alle 22.30 . Poco prima dello sbarco uno dei ragazzi inglesi è stato praticamente rianimato a seguito di una sonora sbronza: portato sotto la doccia fredda si è cercato di fargli riprendere i contatti con la realtà… scena poco edificante.
Di tutto il gruppo partito con noi da Baku io e Francesco siamo gli unici ad avere il visto turistico, tutti gli altri hanno un visto di transito. La differenza non è da poco: il costo è lo stesso, il visto di transito prevede una data di ingresso e una di uscita prestabilite, un percorso da coprire in 5 giorni e viene rilasciato dopo un’attesa di almeno 2 settimane. Per ottenere il visto turistico è invece necessaria la lettera di invito di un’agenzia turistica locale. Il visto dura minimo 8 giorni che partono dal momento dell’ingresso nel paese, permette maggiori movimenti ma impone la presenza di una guida turistica accreditata – nel nostro caso seduta dentro la Panda - per tutta la permanenza nel paese.
Vista la lunga attesa prima di riuscire a prendere il traghetto e arrivare a Turkmenabashi, alcuni visti di transito dei nostri compagni di viaggio erano già quasi scaduti all’ingresso in Turkmenistan o permettevano una permanenza davvero molto breve.

La nostra guida ci aspetta allo sbarco: ha circa la nostra età, parla bene l’italiano e si dimostra molto cordiale e collaborativa… con noi e con le altre 14 persone alle prese con le procedure turkmene. Dopo lo sbarco ci troviamo negli uffici di frontiera: un salone sul quale si affacciano una decina di uffici e sportelli dietro i quali lavorano altrettanti funzionari.
Nel salone si crea una confusione mai vista da occhio turkmeno: cosa dobbiamo fare, a chi dobbiamo dare i passaporti, dove firmiamo, dov’è l’uscita…??
A questo punto immaginate il salone, 16 persone che entrano ed escono dagli uffici e si affacciano agli sportelli, ogni volta parlano con qualcuno e si trovano un foglio in più in mano, cercano lo sportello successivo, pagano una tassa, un’assicurazione, ripartono verso il prossimo ufficio, firmano, escono e ripartono, si incrociano in mezzo al salone e si guardano depressi con il passaporto tra i denti.
Alla frontiera azera pensavamo alle 12 fatiche di Asterix… non sapevamo cosa ci aspettava! La differenza è che qui è tutto più frenetico, anche i turkmeni non smettono un attimo di trascrivere dati sui loro quaderni, tutto a mano! C’è solo un computer e si trova nell’ufficio principale, quello dal quale i passaporti entrano ed escono senza che il proprietario li possa seguire.
Sbirciamo dalla porta: attorno al computer pare si affollino diverse persone, probabilmente ognuna si ingegna per capire cosa fare del mouse! ‘Firmate, firmate tutto.. qui più firmi più sei importante’ ci dice ironico Murat, la guida. ‘ Se quando arriverete alla frontiera di uscita avrete un morto in macchina ma questa cosa non è segnata da nessuna parte e non c’è nessuna firma a certificarlo… non potranno crederci, neanche se lo vedono… non c’è la firma, non c’è il morto!’ .
Abbiamo collezionato più fogli di carta alla frontiera turkmena che in tutto il resto del viaggio. Possiamo dire che le procedure turkmene sono antiecologiche!

Dopo il via vai descritto, acquisito l’ultimo foglio di carta, apposta l’ultima firma, timbrato per l’ennesima volta i passaporti vengono convocati i proprietari delle auto che, in buon ordine, seguono la guida ormai a capo del convoglio umano. Ci dirigiamo alle auto che vengono aperte e brevemente ispezionate (questo è stato l’unico strappo alla regola, l’unica piccola mazzetta pagata di straforo per evitare un minuzioso controllo in piena regola) e poi fatte spostare di qualche metro davanti a un cancello chiuso.
Ripartiamo al seguito della guida, noi proprietari delle auto, mentre il resto della truppa attende seduto su alcune panche. Passiamo davanti alle loro espressioni perplesse ma neanche noi sappiamo dove stiamo andando. Entriamo in un ufficio, usciamo, entriamo in un altro, vengono controllati i documenti delle auto, nuovamente compilati registri. Usciamo e ripassiamo davanti ai nostri compagni che attendono, la maggior parte sdraiati per terra, sotto le panche, Francesco e Anton più diligentemente seduti sopra. Guardano passare me e Jorge con aria rassegnata. Ormai non diamo più segni di autonomia, ci facciamo trasportare dagli eventi, di ufficio in ufficio, paghiamo ancora qualche dollaro … per cosa? Pare per l’utilizzo della passerella che ci ha permesso di scendere dal traghetto.

A un certo punto il nostro peregrinare acquisisce un senso comprensibile anche a noi: cerchiamo l’uomo che la le chiavi del cancello per far uscire le auto. Lo troviamo, qualcosa si muove, saliamo sulle auto, mettiamo in moto, il cancello si schiude, è aperto, usciamo, pochi metri e raggiungiamo gli altri… siamo liberi! O prigionieri del Turkmenistan… sono le 4.30 del mattino del 1 agosto, sono passate 6 ore dallo sbarco.

 

 

 

31 luglio 2007
In rada davanti a Turkmenbashi

Da questa mattina attendiamo ancorati in rada di poter entrare nel porto di Turkmenbashi. Eravamo preparati alle attese e la realtà ha superato ogni aspettativa. Non parlo solo di queste ore in traghetto, ma di tutta la nostra avventura azera, cominciata la notte tra il 28 e il 29 luglio e che si concluderà speriamo a breve – dando inizio a quella turkmena.

Ricapitoliamo. La sera del 28 luglio - sembra di aver lasciato secoli fa la Georgia - dopo un bagno ristoratore alle terme naturali di Tblisi e una lauta cena a base di Kinkali (tipici ravioloni ripieni.. buonissimi), siamo partiti alla volta del confine con l’Azerbaijan. Siamo arrivati a Krasnimost a notte inoltrata sotto una pioggia battente e siamo rimasti bloccati alla frontiera per 2 ore: la frontiera di un paese è – come dice Francesco – il biglietto da visita del paese stesso e fin ora è sempre stata rispettata questa regola... per l’Azerbaijan in particolare. Arrivati al cancello (un cancellone di ferro che viene aperto e chiuso a mano) ci siamo messi in coda. il cancello si apriva e si chiudeva e i veicoli – la maggior parte camion – passavano uno a uno. Arrivato il nostro turno Francesco ha preso i passaporti ed è corso fuori sotto la pioggia per raggiungere il posto di guardia dove lo aspettavano alcuni soldati. I passaporti sono passati di mano in mano e infine sono stati portati via… nell’attesa Francesco è stato coinvolto dalle guardie in una conversazione .. diciamo da caserma, ma delle più bieche, tale per cui non mi addentro negli scabrosi particolar, gli interessati potranno chiedere a lui la versione integrale…e so che sarete in molti e sarà la prima cosa che gli chiederete al nostro ritorno!

Finalmente ci hanno fatto passare il cancello, non dopo aver tentato di trattenerci sostenendo che il nostro visto azero cominciava dalla mezzanotte del giorno successivo.. convinti probabilmente che il cambio di fuso orario coinvolgesse anche la data!! Anni fa in Georgia una professoressa incontrata in treno durante il tragitto Tblisi-Baku ci disse in perfetto italiano: ‘Questi azeri … sono così stupidi!’ . Come aveva ragione!! Tappa successiva: arriviamo agli uffici di confine, scendiamo dall’auto – piove sempre – e ci viene indicato un ufficio.. attendiamo di poter entrare... attendiamo … all’interno dell’ufficio il funzionario non sta facendo nulla ma non ci concede udienza.. fuori altri graduati ogni tanto chiedono di vedere i passaporti, fanno qualche domanda, qualcuno prova a rendersi simpatico, una guardia mi accompagna in bagno … infine entriamo nell’ufficio e qui comincia il balletto di documenti compilati dal funzionario che sbuffa ad ogni parola, fa fotocopie, imbastisce discussioni con l’aiutante su come fotocopiare, da quale lato, cosa, perché, con quale fotocopiatrice e in quale ufficio… il tutto intervallato dal passaggio di altre persone che entrano ed escono mostrando i propri documenti, chiedendo non si sa cosa, la maggior parte delle volte consegnando i passaporti imbottiti di dollari per farseli riconsegnare vuoti.

In questo paese la corruzione è imperante! Siamo passati in 4 o 5 uffici - ci siamo sentiti come intrappolati nel palazzo delle ’12 fatiche di Asterix’ - solo per pagare l’assicurazione dell’auto (da adesso in poi la carta verde non ha più validità) e una assurda tassa medica e abbiamo visto circolare un sacco di mazzette ma a noi non è stato estorto niente più del dovuto. Questo ci ha stupiti ancor più quando, parlando con altri team, abbiamo saputo che per passare la stessa frontiera in orari simili (probabilmente alla presenza degli stessi funzionari) a loro sono stato chiesti molti più soldi. E ugualmente per la strada: abbiamo incontrato tantissime auto della polizia e posti di blocco, attraverso i quali siamo passati senza problemi, illesi e senza dover sborsare nulla! Altri team sono stati taglieggiati largamente.

Una nota di colore: in frontiera durante l’attesa in uno degli uffici abbiamo assistito al litigio tra due graduati mentre un terzo cercava di dividerli e di placare gli animi. Quando uno dei due contendenti se ne è andato dall’ufficio lanciando qualche improperio all’altro è stato seguito dal secondo, il quale però ha sbagliato i suoi calcoli: dopo una decina di minuti è rientrato con un occhio nero. Che scena vergognosa!

Ed eccoci alle prese con l’Azerbaijan. Dopo aver percorso alcuni chilometri di sterrato misto a strade dissestate abbiamo raggiunto una strada migliore costeggiata da prati e campi e ci siamo fermati stanchi morti. All’alba delle 4 del mattino abbiamo montato la tenda e siamo piombati in un sonno profondo anche se breve: dopo 5 ore eravamo già in macchina … al risveglio una graditissima sorpresa, un biglietto sul parabrezza scritto in italiano con questo messaggio: “ CI VEDREMO ANCORA A BAKU!! SALUTI. IL GENGHIS KAR (Gorge e Anton)” . Qualcuno ci aspettava a Baku, un team spagnolo era passato in mattinata e non aveva voluto disturbare il nostro sonno. Partiamo.

Viaggiamo tutto il giorno per raggiungere Baku in serata . Il paesaggio è mutevole, a tratti gradevole e anche davvero bello quando attraversiamo una zona di alture brulle e assolate, dove la presenza umana si limita al passaggio della strada che stiamo percorrendo e ai tralicci dell’alta tensione. Baku è una grande città e dappertutto si costruisce, si abbattono palazzi e se ne innalzano di nuovi, anche il terribile albergo nel quale avevamo dormito nel 2004 è in via di demolizione. I soldi non mancano grazie agli investimenti stranieri attirati dal petrolio, ma l’evoluzione del paese non è strutturata e non pare seguire un piano... direi che non abbiamo apprezzato come in Georgia grandi segnali di cambiamento.

Ma torniamo a noi. Per prima cosa a Baku abbiamo cercato il porto per individuare il terminal traghetti in partenza da Baku per Turkenbashi. Davanti alla biglietteria erano parcheggiate già quattro macchine di team del MongolRally. Siamo riusciti a svolgere in modo relativamente speditivo tutte le procedure (si tratta sempre di procedure lunghe e complicate) per l’acquisto dei biglietti per noi e per la Panda, girando 3 differenti uffici e parlando con 4 o 5 diversi incaricati. Partenza prevista del traghetto: h. 3.00 del mattino. Ci è parso davvero un colpo di fortuna, visto che le nostre informazioni circa le attese per l’imbarco su questi natanti, soprattutto se con l’auto, erano disastrose… e purtroppo anche qui la realtà si è dimostrata peggiore delle aspettative. Confidando nella prossima partenza abbiamo cercato a Baku un posto per farci una doccia prima dell’imbarco, ma in questi casi niente è meglio dei bagni del Mac Donald’s.

Dopo un passeggiata per Baku siamo tornati al porto dove, nell’area antistante l’imbarco, tutte le auto del MongolRally erano in attesa e all’interno o sdraiati accanto all’auto i rallisti dormivano. Il sonno non è stato interrotto alle 3 del mattino dall’annuncio della partenza, ma dalla notizia che la partenza, la nostra partenza, era rimandata alle 10… poi per tutta la giornata sarebbe stata rimandata di ora in ora. Nella confusione, delusione, incredulità seguita all’annuncio abbiamo incontrato il famoso team Genghis Kar! Jorge e Anton, cugini spagnoli, hanno riconosciuto la nostra Panda e abbiamo fatto amicizia subito. Siamo andati insieme a cercare un bar per fare colazione, ci siamo scambiati impressioni e aneddoti di viaggio, ci hanno raccontato le loro disavventure azere, molto più fastidiose delle nostre in quanto a passaggio in frontiera e taglieggiamenti della polizia lungo il percorso. Tutti e 4 eravamo dalla sera prima alla ricerca disperata di una doccia, un problema che non toccava al contrario gli altri team, tutti inglesi. Le loro ricerche si focalizzavano principalmente sulla birra.

Dopo una lunga passeggiata per Baku, la sosta in qualche bar, un passaggio dal solito Mac Donald’s per trovare un bagno pulito (siamo entrati in un locale per bere e mangiare qualcosa e ho chiesto di poter andare al bagno, mi ha accompagnata il gestore e sono entrata in una stanzetta piccolissima fornita di lavandino e orinatoio… no comment!) siamo tornati al porto. Qui è cominciata la giornata più lunga dalla nostra partenza. Prima siamo stati nuovamente presi nel gorgo degli uffici, passavamo dall’ uno all’altro, tutti e 4 con in mano passaporti, biglietti, carte e scartoffie… non era mai finita. Poi ci siamo accampati come tutti gli altri team (a questo punto c’erano 7 auto del MongolRally) in attesa di informazioni. Gli inglesi principalmente bevevano fiumi di birra. Erano molto più sporchi di noi, ma con inferiore disagio… anzi, non erano per niente a disagio. Qualcuno pescava nel Caspio, non so con quali esiti. Alcuni dormivano, altri controllavano i motori, anche noi ci siamo un po’ riposati.

Verso l’ora di pranzo abbiamo tirato fuori pentole e fornelletto e ci siamo fatti una pasta al pesto condividendo il rancio con Gorge e Anton. E’ stato a quel punto, dopo l’ora di pranzo, quando ormai eravamo alla 12esima ora di ritardo e un nuovo traghetto era sul punto di partire senza di noi, che le macchine dei team hanno provato a forzare il blocco!! Ci siamo schierati, senza permesso, all’ingresso della rampa di accesso al traghetto minacciando di avanzare!! Tra le fila dei portuali c’è stato un po’ di scompiglio… una situazione nuova, che li metteva nelle condizioni di accedere almeno al minimo il cervello per trovare una soluzione. Si trattava di patteggiare con il capitano del traghetto, poiché lì risiedeva il problema: fino ad ora non avevano fatto salire le auto su nessun traghetto perché trasportavano carburante. I traghetti che coprono la tratta Baku-Turkenbashi non sono navi passeggeri, ma commerciali. Vengono anche venduti biglietti per passeggeri ed eccezionalmente per il trasporto di auto, ma alla condizione che non vengano trasportate insieme a carburante.

Discorso chiaro e con una sua logica, ma da quale segreto di stato sono coperte le informazioni corrette circa gli orari dei traghetti senza carburante? Mistero!! Qui la gente è abituata ad aspettare senza chiedere… l’attesa è la regola principale sulla quale si basa la vita del paese. Ce lo ha detto un ragazzo di Baku comparso insieme ad un altro team per il quale stava cercando di risolvere alcuni problemi di visto. Parlando in un inglese incredibilmente fluente (vista la media nazionale) ci ha chiesto a quanto ci avevano venduto i biglietti, ci ha rassicurati sul fatto che col prezzo ci era andata bene e ci ha tranquillizzati, in Azerbaijan è così, prima o poi saremmo partiti. Le auto sono state spostate dalla rampa quando ci è stata data un’informazione chiara (??!!) sull’orario di partenza del prossimo traghetto utile: le 20.00 . Spostate non significa riportate lontane dalla rampa: siamo rimasti tutti parcheggiati esattamente davanti agli uffici, continuando lì il nostro bivacco. Gli inglesi hanno continuato a bere, uno dei team ha smontato e rimontato il motore della macchina… (una mini che non ripartirà mai più probabilmente), io e Francesco abbiamo preso una decisione: doccia!!

Abbiamo tirato fuori la nostra doccia da campeggio, l’abbiamo riempita e abbiamo approntato in una zona un po’ riparata una cabina. Poi uno per uno, intendo noi due, Jorge e Anton, ci siamo finalmente lavati!! Perché non ci abbiamo pensato prima?? Ed ecco arrivare il nostro traghetto! Questa volta è davvero quello giusto. Mentre vengono effettuate le manovre di carico merci ci viene apposto sui passaporti il timbro di uscita – questa volta un ufficio solo… erano troppo stufi di noi per fare troppe sceneggiate! Non ci possiamo credere. Saliamo sulle auto e affrontiamo la rampa di ingresso trionfalmente! Una strana carovana di auto che domani – anzi oggi, a un orario indefinito, scenderà a Turkmenbashi per vederne della belle! Il traghetto è molto meglio di come era stato descritto da altri viaggiatori in internet. Le cabine sono decenti, con bagno e doccia! Ne prendiamo una da 4. Ci sistemiamo. Partiamo. Facciamo qualche foto, mangiamo qualcosa e ci sdraiamo nelle cuccette. Dormiamo per 12 ore!!

Oggi è il 31 luglio. Da questa mattina siamo in rada in attesa che il traghetto venga fatto entrare in porto. Sono le 16.10 (ora locale) . Siamo qui fermi da quasi 10 ore. Fortunatamente c’è l’aria condizionata. Alle 20.00 il traghetto è ancora fermo. Abbiamo dormito un po’. Abbiamo anche fatto 4 chiacchiere con l’equipaggio – ci sono due ragazzi giovani che parlano inglese e stanno frequentando la scuola di nautica. Abbiamo perso un’intera giornata. E’ pazzesco!

 

 

28 luglio 2007
Ieri sera siamo arrivati a Tblisi.
Siamo partiti da Batumi verso l’ora di pranzo e siamo approdati in centro città verso le 20.30.

Il passaggio del confine tra Turchia e Georgia è stato divertente. Tutti erano incuriositi dalla nostra piccola Panda stivata di roba, hanno fatto finta di controllare il carico ma senza insistenza e ci hanno fatto passare tra grandi saluti.

I progressi della Georgia – che già conoscevamo dal 2004 vista la lunga permanenza di Francesco nel paese – si vede già da qui: cordialità delle guardie di frontiera, informatizzazione dei sistemi di registrazione, relativa velocità nel disbrigo delle pratiche. A Bitumi siamo stati ospitati da Giulio Savina - amico di Francesco dai tempi della sua permanenza in Georgia nel 2004 - e dalla famiglia di sua moglie Tea. Siamo stati benissimo, abbiamo fatto una doccia principesca, mangiato Kachapuri a volontà – il Kachapuri è una tipica focaccia georgiana che adoriamo preparata con uova e formaggio - e trascorso ore gradevolissime con tutta la famiglia di Tea.

A Tblisi siamo stati accolti da un’altra famiglia georgiana, quella di Georgi Quelashvili, amico di Francesco. Anche qui l’accoglienza è stata impagabile! Ora conosciamo tutta la sua famiglia, la moglie Irma e i loro due figli. Hanno organizzato un piccolo party in casa loro e non ci hanno fatto mancare nulla! Come a casa della famiglia di Tea, anche qui durante la cena sono stati fatti una serie di brindisi nella tipica modalità georgiana: non basta brindare, ma bisogna circostanziare le motivazioni del brindisi con un discorso del capo famiglia… e solo il capo famiglia può indire i brindisi della serata, a meno di una specifica richiesta di qualcuno dei convitati e relativa approvazione… molto complesso!

Tblisi è cambiata molto, è migliorata… la Georgia sta facendo passi da gigante! Anche qui oggi siamo riusciti a farci fermare dalla polizia. Niente di grave in verità, solo una piccola infrazione dovuta al fatto che le segnalazioni stradali sono un po’ differenti (assolviamo così il pilota!). Ma i poliziotti ci hanno tenuto a spiegare subito che non chiedevano soldi, assolutamente! Ci hanno solo spiegato le modalità di guida nel traffico cittadino e hanno registrato la nostra macchina. Il fatto che più di una volta abbiano ribadito che non c’era nulla da pagare e che loro non stavano chiedendo denaro è indice della svolta fatta dal paese: fino al 2003, prima della rivoluzione delle Rose, la polizia georgiana era molto corrotta, fermava le automobili senza motivo ed estorcevano denaro senza notifiche di multa, come in Bulgaria. Un netto giro di vite ha soffocato queste usanze malsane! Bravo Shakasvili!!

Aneddoti turchi

Prima di lasciare Istanbul siamo passati a ritirare i nostri panni in lavanderia e siamo stati accolti da proprietario che ci ha offerto un buon the e – dopo essersi fatto spiegare le motivazioni del nostro ‘crazy trip’ ci ha fatto un significativo sconto volendo in questo modo supportare la nostra impresa. Ci ha detto che nella religione musulmana la carità è molto importante, e ha sottolineato il fatto che la carità non è comunque un fatto di religione… persone caritatevoli si trovano dappertutto a prescindere dalla religione. Fossero tutti così!

La notte tra il 26 e il 27 luglio abbiamo dormito accartocciati in macchina, fermi in una stazione di servizio turca frequentata da iraniani.. la peggiore che potessimo scegliere per la nostra sosta! Di mattina siamo partiti senza neanche prendere un caffè. Ci siamo fermati dopo un po’ in un’altra stazione di sosta dove la genuina ospitalità turca si è superata: i gestori ci hanno offerto the a volontà – continuavano a versare – e ceci tostati. Prima che ripartissimo ci hanno dato un sacchettino con acqua fresca, ceci e salviettine rinfrescanti e non hanno voluto una lira!! Hanno cercato di interessarmi a uno dei loro amici – strong man!! – ma in modo assolutamente divertente e privo di malizia! Sapevano a memoria tutte le formazioni calcistiche italiane e le vicende del campionato.

In un successivo autogrill abbiamo fatto il pieno e alla successiva sosta ci siamo accorti che si erano scordati di rimettere il tappo del serbatoio. Adesso viaggiamo con uno straccio e speriamo di trovarne uno da adattare.

In un altro autogrill abbiamo trovato un gruppo di turchi europeisti che hanno cercato di spiegarci quali e quanti vantaggi l’Europa avrebbe dall’ingresso della Turchia al posto di paesi depressi come la Bulgaria (verissimo!!) e la Romania. Difficile spiegare a gesti le motivazioni dei paletti che vengono innalzati all’ingresso della Turchia… discutere di politica estera in queste circostanze è abbastanza complesso! Oggi partiamo per Baku, dove prenderemo il traghetto per Turkmenbashi. Probabilmente le possibilità di comunicazione saranno annullate dall’ingresso in Turkmenistan fino all’Uzbekistan. A presto!!

 

27 luglio 2007
Nessun problema alla frontiera con la Georgia.
Riscuotiamo simpatia!

 

25 luglio 2007
Istanbul Finalmente siamo arrivati a Istanbul e possiamo riposarci un po’ … solo un po’! Sono stati pochi giorni di viaggio, ma sembra un’eternità di sole a picco! Siamo partiti da Praga dopo la registrazione lunedì mattina alle 10 e da allora è stata una cavalcata senza soste – se non quelle tecniche - attraverso Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Serbia e Bulgaria, in fine Turchia.

Praga è molto bella, nessuno dei due c’era mai stato e un giorno è poco per apprezzare la città, torneremo! La sera del 22 luglio siamo stati al party dei rallisti, abbiamo visto le altre macchine, abbiamo avuto il tempo per fare quello che si fa appena prima di un esame: preoccuparsi per quello che non si è studiato. In questo caso la scena è stata: cavolo! noi quello non l’abbiamo.. e guarda cos’hanno messo su quell’auto… accidenti! l’idea di quel portapacchi è eccezionale… Ma credo che tutti abbiamo passato questa fase del pre-partenza.

Il primo giorno di viaggio abbiamo fatto quello che ci eravamo proposti di evitare: all’ora di cena ci siamo detti ‘non siamo così stanchi: proseguiamo ancora un po’ … ancora un po’ .. ancora un po’ …’ e alle tre del mattino cercavamo un posto dove montare la tenda! La parte più pesante è stato l’attraversamento della Bulgaria: un posto davvero terribile! Messo malissimo da quello che abbiamo potuto vedere fermandoci nelle stazioni di sosta lungo quella che chiamano autostrada (anche a pagamento!) e con la classica polizia taglieggiatrice!

La prima volta che ci hanno fermati ce la siamo cavati patteggiando 30 euro, la seconda volta poteva andare molto peggio visto quello che ci contestavano (eccesso di velocità.. e avevano pure ragione!), ma siccome il pilota poteva farlo… se l’è cavata con qualche sorriso, la promessa di stare più attenta e l’omaggio di portachiavi e magliette del team. Intanto la temperatura raggiungeva i 43°!

Con l’ingresso in Turchia le cose sono migliorate in tutti i sensi: autostrada degna di questo nome – la migliore fino ad ora – e la sosta a Istanbul in un alberghetto dove abbiamo fatto una doccia ristoratrice. Dopo una cena e una passeggiata è bastato toccare il letto per piombare in un sonno profondissimo.

Questa mattina colazione, lavanderia e un giro a Istanbul, dove nel 2004 ci eravamo ripromessi di tornare.. e questa visita è troppo breve, quindi… arrivederci Istanbul!

24 Luglio, arrivo a Istanbul ore 23 locali.

23 Luglio, registrazione al check point di Praga e partenza per Istanbul.

Oggi 18 luglio siamo partiti per la prima tappa del nostro viaggio, Trieste. E' stata una giornata densa di avvenimenti: abbiamo raggiunto il 100% delle donazioni previste per entrambi gli enti caritatevoli da noi prescelti, Flavio ha eseguito gli ultimi controlli al nostro potente mezzo e, dopo aver brindato a Champagne, tra i saluti degli amici, abbiamo imboccato l'autostrada. Arrivederci a Trieste!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per gentile concessione Orcasub.it

 

  
       Clicca qui per tornare alla Home Page   HOME PAGE    

Copyright © 2007 - A.L.T.A. Associazione Lagunari Truppe Anfibie - Sezione di Bergamo