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. | ESERCITO: LA GUERRA SU TACCHI SPILLO TRA GAFFE INVIATI/ANSA A UDINE CORSO PER ADDESTRARE I NUOVI GIORNALISTI EMBEDDED (ANSA) - UDINE - La giornalista veterana di missioni di guerra di una testata televisiva nazionale che si fa prendere da una crisi isterica su un mezzo militare durante un conflitto a fuoco; un cameraman che infila una bottiglia d'acqua nella mimetica e alla prima ripresa riesce a versarne completamente il contenuto mettendo ko la telecamera supersofisticata; l'inviata d'assalto che si presenta al debutto sui terreni caldi di guerra, non solo dal punto di vista climatico, con tacchi a spillo e trolley griffate. Sono alcuni dei tanti esempi della letteratura fantozziana che riguarda gli inviati di guerra raccontata a mezza voce dai soldati italiani delle ultime missioni di pace all'estero. Perche' inviati di guerra, meglio se embedded, si diventa solo al prezzo di una rigorosa disciplina che non concede spazio alla vanita' personale, all'ansia da scoop al limite dell'incoscienza, ai protagonismi tanto cari alle firme da prima pagina. L'occasione per simulare sul campo vizi e virtu' dei giornalisti di guerra e' stato il corso informativo di quattro giorni sul ''Comportamento e sicurezza dei media in operazioni'' organizzata a Udine nel corso dell'esercitazione ''Cormor 2006'' dalla Brigata Pozzuolo del Friuli, mettendo fianco a fianco, per la prima volta in Italia, una trentina di appartenenti alla riserva selezionata, giornalisti di guerra, tra i quali un veterano come Fausto Biloslavo, e aspiranti tali. ''Quello degli inviati di guerra e dei militari - sottolinea il capitano Ettore Sarli, responsabile pubblica informazione della Brigata, che due anni fa trascorse quattro mesi a Nassiriya insieme ai Lagunari del Reggimento Serenissima, durante uno dei periodi piu' impegnativi della missione Antica Babilonia, culminato con la battaglia dei ponti di agosto - sono due mondi che devono lavorare un po' meglio assieme per conoscersi e riuscire a contemperare le reciproche esigenze''. Perche' l'imperativo e' sempre quello di garantire la sicurezza dell'operazione in corso ed evitare che la presenza del giornalista al seguito possa rivelarsi controproducente. ''Se un giornalista vuole realmente essere embedded - sottolinea Biloslavo - deve sapersi muovere e comportare esattamente come un militare, uscendo in qualunque tipo di operazione''. ''E' un limite che in Italia deve essere ancora superato - afferma l'inviato di guerra del Giornale - in altri Paesi questo e' gia' una consuetudine e consente di affrontare al meglio i rischi imprevisti di una missione''. L'immagine del giornalista embedded e' molto lontana da quella che gli stand up di alcune cronache televisive hanno portato nelle case degli italiani, insieme alle sahariane immacolate degli inviati. Perche' i giornalisti embedded deve innanzitutto vincere la sfida della fatica, quella di muoversi sempre, anche con temperature che superano i 60 gradi, con giubbotto antiproiettile ed elmetto del peso di 12 chili complessivi. E quella della paura, che li spinge spesso - raccontano a mezza voce i militari - a non varcare neppure la soglia della base per pausa di sgradevoli incontri, limitando la raccolta delle notizie ad una scrupolosa ricerca dei lanci di agenzie internazionali sui loro pc satellitari. ''Un articolo non vale la vita - ammette Biloslavo - e l'imperativo per l'inviato di guerra deve essere sempre quello di salvare la pelle e di agire con buonsenso''. Ma tenere i nervi saldi in ogni occasione non e' una prova cosi' scontata. ''Ho visto colleghi colti dal panico - ammette Biloslavo - a questi e' meglio dare una botta in testa e poi farli risvegliare direttamente al campo per evitare guai''. L'essere italiani sembra essere poi un ulteriore limite alle aspirazioni embedded degli inviati di casa nostra: ''il giornalista deve seguire gli ordini del comandante come se fosse un dio - dice ancora Biloslavo - una mentalita' difficile da comprendere per i nostri colleghi, allergici a fare esattamente quanto gli viene detto''. In piu', le regole del branco e la forte competizione legata alla presenza contemporanea di piu' giornalisti nello stesso teatro di guerra - sottolinea il capitano Sarli, ricordando l'esperienza in Iraq della Brigata, durante la quale a Camp Mittica vennero ospitati un'ottantina di inviati - finisce per annullare le possibilita' del singolo di inseguire l'esclusiva. ''Con questa attivita' informativa - sintetizza il generale Paolo Gerometta, comandante della Pozzuolo del Friuli - abbiamo voluto incominciare ad avere un approccio con i media pragmatico, concreto, aperto e trasparente''. Un'apertura di campo confermata anche dal generale Giovanni Ridino', comandante del primo Fod (Forza operativa di difesa) di Vittorio Veneto, che ha partecipato ad uno degli incontri organizzati. ''Voi giornalisti dovreste avere sempre un po' di attenzione quando parlate della forza armata - spiega il generale - so bene che la notizia positiva, come dite voi, e' una non notizia, pero' anche nel momento in cui scrivete una notizia negativa dovreste sempre pensare che la forza armata, nella generalita' dei casi, e' fatta di gente onesta che vive e lavora mettendosi al servizio del Paese e che merita in ogni momento rispetto, al di la' della piu' o meno numerosa congrega di pecore nere che esistono in tutte le famiglie''. (ANSA).
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. | Estratto da ANSA, 26 giugno 2006. | ||||||
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