Da Farah a Bala Baluk
Insieme al reggimento Lagunari “Serenissima”
di Mirko Polisano
Le prime luci dell’alba riscaldano la fredda notte di Farah. Qui, l’escursione termica è notevole: si passa dai venticinque gradi della mattina ai meno due della sera.
Ci svegliamo, pronti a partire. Destinazione: Bala Baluk, nella F.O.B. (Farward Operating Base) la base più avanzata del dispositivo militare impiegato in Afghanistan.
Dalla torretta alfa, si vede ad occhio nudo la “Farahroad” piuttosto che il confine con il Gulinstan, altra terra calda, dove sono a lavoro i nostri soldati. L’avamposto di Bala Baluk è di quelli più a rischio. Lo stato di allerta è alto e può capitare di essere colpiti dai razzi degli insurgents, dei ribelli. L’ultima volta, il primo dicembre scorso.
Il viaggio è lungo e tortuoso e per problemi di sicurezza non possiamo percorre l’asfalto della “517”, la strada della morte, come la chiamano da queste parti, ma siamo costretti a intraprendere una via alternativa, quella delle montagne, del deserto, degli avvallamenti e dei sentieri improbabili.
Saliamo a bordo di un lince: Carmine, trentenne dei Bersaglieri, è il capo-pattuglia. Gentile e disponibile, ci fa da guida nel deserto afghano, fatto di villaggi, di bambini che ti circondano per una caramella, di paesaggi da presepe e di sospetti. Già perché qui, l’attenzione non è mai troppa ed ecco che per una la motocicletta che ci segue, si attivano i primi dispositivi, poi è il turno di una macchia sospetta sul terreno. È un “vulneral point”. Bisogna controllare.
Dopo circa sei ore di viaggio, imbocchiamo la strada asfaltata fatta dagli americani. Che l’abbiamo realizzata loro, lo supponiamo, ne abbiamo la certezza quando alla nostra destra scorgiamo un autogrill e un punto di rifornimento carburante. Quasi che la globalizzazione sia arrivata fin qui. Un primo approccio di occidentalizzare l’Afghanistan. Forse i precedenti del Kosovo non sono poi tanto lontani.
Chissà se tra dieci anni anche l’Afghanistan chiederà di entrare in Europa.
Battute a parte, c’è ben poco da scherzare. Superato il ponte che porta a Bala Baluk occorre spegnere i fari. L’oscuramento è una prerogativa delle basi dell’Afghanistan. Succede a Herat, a Farah e ora anche qui a Bala Baluk. Entriamo e ad accoglierci c’è Giuseppe, un sergente maggiore di Castellammare di Stabia che ci mostra gli alloggi, ci presenta il comandante di battaglione, Luigi Puce. Scambio di battute e poi a tavola.
Per le dimensioni e il clima familiare, sembra essere in un’osteria italiana. E anche il cibo è buono: spaghetti aglio olio e peperoncino sono lontani anni luce dalle aragoste natalizie di Herat, ma il sapore è davvero unico.