Arriviamo di prima mattina ed entriamo in un agglomerato di case e tende ricevuti
dal capo-villaggio e una delegazione di “anziani”
Ci muoviamo che è ancora notte.
È strano vedere nel cielo il sole e la luna contemporaneamente. L’uno sorge, l’altra va a riposarsi.
Il cielo in Afghanistan ricorda quello di carta pesta che in questo periodo si trova dietro i presepi di tutte le case.
È proprio così: la via lattea, l’orsa maggiore, tutto facilmente riconoscibile ad occhio nudo.
E le stelle, tante stelle. “Ne ho vista una cadere”, esclama un primo maresciallo.
Chissà quale sarà il desiderio espresso. Saliamo su un altro lince. Questa volta è Nuccio, il mio caposcorta.
Siciliano, come tutta la sua pattuglia ad eccezione del “romano”, che viene da Centocelle. Si va verso il deserto, per raggiungere Khayrabad, nella periferia desertica di Farah.
Arriviamo di prima mattina ed entriamo in un agglomerato di case e tende. Qui, ci riceve il capo-villaggio e una delegazione di “anziani”, di donne neanche a parlarne.
E poi, bambini. Tanti e di tutte le età, che aspettano il loro momento.
I ragazzi del reggimento lagunari “Serenissima” consegnano alla popolazione una capra. “E’ un regalo fatto al nostro comandante- spiegano- che ha voluto donarlo agli abitanti di questo villaggio.
Con una capra ci mangiano in tanti”.
La delegazione del villaggio prende in consegna l’animale, mentre il resto delle persone si fermano pochi metri più in là. Intanto, si scattano foto. Atawala, questo mi sembra il suo nome, è un ragazzo che apparentemente non gli si può dare un’età.
Si attacca alla mia felpa e con un tono sostenuto mi dice qualcosa del genere: “mercandalla, mercandalla”… non so cosa significhi. Non so che lingua stia parlando. Qui in Afghanistan i dialetti sono molti, come i gruppi etnici: pashtun, tagiki, hazara, uzbeki, kuchi. Ma il senso lo intuisco dal dito indice puntato contro di me, vuole la mia telecamera.
Provo a spiegargli che quello strumento è il mio lavoro. Ma stavolta è lui a non capire me. Alla fine mi allontano lentamente, affiancandomi ai nostri militari che vanno a fare un sopralluogo ad un pozzo. Uno dei dodici che stanno costruendo nella provincia di Farah. I lavori sono a buon punto e presto anche questo villaggio sarà dotato di acqua.
L’ultimo atto della giornata di oggi si consuma tra le emozioni. Dopo la consegna di coperte e beni di prima necessità, arriva quella delle merendine. È difficile per chi fa il mio lavoro rimanere senza parole. Lo rimaniamo davanti allo sguardo dei bambini e delle bambine che corrono a prendere il loro sacchetto. Ecco, è arrivato il loro momento. “Micio” mi guarda, e mi dà la busta con i cornetti: “prova a darglieli anche tu…e poi mi dici come ti senti, dopo”. Mi metto anche io a distribuire le merendine.
Una bambina, si avvicina. E sorride.
Eh, si…davanti a ciò si rimane senza parole…