E’ stata un’avventura per almeno un paio di motivi.
Parlo dell’evento di Villa Vicentina del 19 ottobre 2008.
Il primo motivo è che le foto che sono sotto riprodotte, le ho volute scattare da solo, senza urlanti ed esagitati “sammarchisti” a disturbare con l’oramai abusato e soprattutto smodato “saluto alla voce”, un mio momento importante .
Infatti quegli attimi del bell’andare ai mai più rivivibili tempi trascorsi, vanno, secondo la mia opinione di Lagunare nostalgico, re-impressi, vissuti, registrati, nell’intimità del proprio animo, senza spettatori (o triti e debordanti urlatori).
L’emozione è stata tale che in effetti, sarà per l’ipertensione sempre in bilico, sarà perché gli occhi mi si inumidiscono senza motivo…, ma ho avvertito un formicolio alle braccia.
Attento Doveri! Attento!
Forse qualche “sammarchista – alla voce” sarebbe stato, ma meglio per me che non lo è stato, utile.
Il secondo motivo è che dopo dieci anni durante i quali ho cercato il fine con pervicace e per certi versi, giovanile ed orba insistenza, capita quanto segue.
Dunque: ogni volta che accedo grazie alla rimpatriata di Villa Vicentina, presso la mitica Bafile dell’ineguagliabile “Isonzo” rimango deluso. Cerco di intrufolarmi nei locali della “MIA” memorabile Compagnia Armi d’Accompagnamento- TOBRUK, Mortai pesanti da 120 mm ., ma… trovavo tutto ben chiuso con catene e poderosi lucchetti.
Non essendo contemplato nei miei intendimenti, il concetto di “vandalismo e/o disprezzo delle regole”, ogni volta impreco ma mi arrendo.
Quindi mai obiettivo fu così frustrato.
Sennonché…, vedi i fatti della vita che si verificano senza domandar permesso...
Dolendomi a posteriori d’essermi perso la funzione religiosa in corso e le fondamentali “istruzioni per l’uso” attinenti al settore spirituale della vita che ogni uno di noi ha ricevuto in dono, e che il sacerdote mi avrebbe indirizzato nella miglior maniera, per l’ennesima volta mi sono recato invece, alla volta del luogo che fu la mia casa per un buon annetto ai tempi eroici della naja.
Sorpresa! Di cui però ero in costante speranza ed attesa…a dirla qui.
La porta di accesso della “Mortai” è aperta.
Caccio dentro il naso ed avverto che è la volta buona: dopo quarantadue anni, intuisco che sono nella situazione di poter accedere al leggendario luogo.
Ho timore, sono un po’ scosso. Mi sento sottosopra.
Mi decido ed accedo.
Di fureria, magazzino e quant’altro era allora di pertinenza nell’androne della Compagnia lì dabbasso, non vi è nulla: tutto murato, tutto ristrutturato, tutto mutato.
In sostanza, rimane una “tromba delle scale”.
Per la verità, questi luoghi sono accessibili da entrata laterale, ma questa si, sprangata.
Restano dei tempi, le scale per accedere al luogo che ho stampato nella mia memoria e che temo dati i precedenti, non sarà più quello che i ricordi richiamano nell’immagine che ho in quel momento davanti agli occhi.
I vecchi scalini marmorei che già allora erano ondulati e logorati da milioni di suole che letteralmente “scattavano” in rispetto alla leggendario clima del San Marco/Isonzo, constato sono rimasti quelli; le vecchie ringhiere sicuramente. Forse sostituiti i “passamano” in legno.
Salgo: c’è una porta in alluminio anodizzato con tanto di maniglia di sicurezza!
Non c’era. Ma al suo posto ai tempi, una portaccia di legno sempre prossima allo sventramento…
Rimango di sasso.
Ma si sa, dal dire al fare ci sta’ dimezzo il mare, accenno a due foto ma la “digitale” mi da avviso di batteria scarica! Peste e corna: ma se le ho ricaricate la sera prima!
Ma tant’è: decido e di gran carriera vado a recuperare la macchina al parcheggio.
Debbo senz’altro trovare due batterie.
Come ben sappiamo, Villa Vicentina ha tanta vita sociale quanto un cimitero di guerra nei periodi lontani dalle ricorrenze ufficiali. Non un buco dove recuperare ‘ste maledette batterie.
Decido, spinto dai vecchi ricordi: di solito quello che a Villa Vicentina era ed è improbabile, a Cervignano capitava e potrebbe capitare che si potesse anche trovare: in Cervignano, al terzo tentativo in “big super market” trovo il bramato articolo.
Tutto con rapidità e programmazione degna di un “colpo di mano” di lagunare memoria…
Ritorno a razzo in Caserma e risalgo le consunte scale che portano dove avevo interrotto il mio programma.
Scatto le foto che vi do di seguito.
La camerata che ai tempi era letteralmente “un sottotetto” senza barriere ed a guisa di arioso e letteralmente smisurato “magazzino”, è invece stata trasformato in un “dormitorio” ripartito da tanti riquadri dove immagino avessero trovato spazio più o meno il numero di brande dei nostri (miei), tempi. Desumo, sei per riquadro. Come ai tempi. Roba da cento, centocinquanta uomini, allora.
Percorro in lunghezza la camerata; individuo andando verso la scala dei bagni, il terzo riquadro a destra.
E’ là, nell’angolino a nord – ovest, addossata al muro in concomitanza con l’angolazione dei “separè” in tubo di ferro verniciato di nero dei miei tempi, che trovava posto la mia branda.
Guardo in alto sperando di trovare i “favolosi” finestrini tali a pertugi protetti da grate che fungevano da finestre, ed invece vedo delle vere e proprie finestre con tanto di serramenti in alluminio anodizzato, se pur ancora ad altezza di pivot di basket e cioè, come ai tempi.
Torno indietro e visiono quelle che era la “camera” del Sottufficiale/i di Compagnia.
Sergente Francioso Pasquale ai tempi: ora in quel luogo ci sono quelle che erano le docce (dopo l’ultima trasformazione relativamente recente e cioè prima del vergognoso abbandono dei Lagunari). Ma ai nostri tempi c’era la camera di Francioso e soci.
Di fronte, il magazzino della camerata (dove mi ricordavo pile di ferri per brande e strati di pseudo materassi (ma forse sarebbe giusto definirli pagliericci o meglio, giacigli), è ora una stanza vuota.
Percorro nella sua mirabolante lunghezza, tutta la camerata. Escrementi e guano di volatili coprono i “sacri” suoli per altro ri-piastrellati.
Se non altro tale sfacelo è servito da riparo a famigliole di allegri (e diarroici), pennuti.
Via le piastrellone di granigliato grigio (o saranno sotto), sopra le quali figurano degli anonimi riquadri grigio/azzurro chiaro.
Sti’ riquadri in muratura che delimitano “le stanze” sconvolgono l’immagine che avevo nella memoria; saranno senz’altro più funzionali, daranno sicuramente un’idea di “intimità” maggiore, certo è che della “Camerata” come la ricordo io, con i suoi pro ed i suoi contro, i particolari si percepiscono con molta buona volontà, ma solo mediante degli indizi, ma con difficoltà e sempre ritengo, unicamente se uno ci ha vissuto dentro.
Gli altri non possono immaginare quella realtà.
Arrivo in fondo, dove la camerata porta alla rampa di scale discendenti verso il luogo dove c’erano lavabi e w.c. e che tanto per dire, avevamo in comune con altra Compagnia sottostante alla nostra.
In pratica i “servizi” sono stati eliminati e il luogo non comunica a cosa servisse prima della chiusura della caserma.
Risalgo pensoso, quasi deluso.
Come potevo immaginare di trovare i luoghi come erano quarantadue anni fa?
A volte pure può succedere di trovare le cose immutate nel tempo ma… non è successo a me.
Mi dispiace ma forse è bene così: quelle immagini stampate nella memoria non saranno modificate; per me la Mortai sarà sempre quella dei ricordi. Ciao.
San Marco!
Lagunare Dino Doveri