Negli anni quante volte ero passato affianco a quel ponte che dalla Riviera del Brenta attraversa l’omonimo canale e conduce in quel di Gambarare di Mira?
Moltissime, indubbiamente.
E vuoi perché non c’era tempo, e vuoi perché si, il ricordo era presente ma non tanto pressante per ritornarvi in pellegrinaggio. Pur tentato di metter fuori l’indicatore di direzione e recarmi una buona volta alla ricerca del luogo, tiravo dritto per pigrizia e dicendomi che abbisognavo per lo meno di una macchina fotografica e di possibile abbigliamento di tipo "esplorativo".
Dunque, quel giorno la macchina fotografica c’era, il tempo pure e l’abbigliamento poteva anche essere se non quello giusto, ma abbastanza adatto al progetto.
Quello che mancava era la spinta di girovagare come un novello Indiana Jones, per le stradine attorno a Gambarare in cerca del “Forte Poerio” perduto. Che mi prendessero per matto?
Alcuni, penso un discreto numero, che fecero la naja attorno al 1966 naturalmente come me nei Lagunari (degli altri non so’), un paio di anni prima e forse un paio d’anni dopo, sicuramente lì ci andarono per un ricco ed indelebile turno di guardia alle polveriere. “Guardia ai forti” dicevamo noi Lagunari.
Esperienza terrificante, che lascia ai protagonisti una certa qualche aura di "eroismo".
Le notti buie dove ogni rumore era un sobbalzo, le mille sigarette bruciate, le lunghe ore in altana con ogni tempo possibile, la brandaccia unta e bisunta a parziale rigenerarsi nel recupero di un po’ di sonno per poi riprecipitare nell’alienante ed infinita turnazione di due ore di guardia e quattro di riposo, il cibo allucinante, il timore dell’ ”Ispezione”: vita da trincea… quasi.
Per lavarsi, ma quando mai, per andare in bagno, ma quale bagno? Per comunicare, ma con chi chiusi nel perimetro di sorveglianza armata. Un'epopea…
Sicché passo il famoso ponte e mi trovo al di là del Canale Brenta.
Non mi ricordo più però, per dove prendere. Si, mi ricordavo che passato il ponte si faceva una esse e si tirava avanti, ma quarantatre anni dopo, prevedere il percorso è dura: tant’è che proprio non me lo ricordavo.
Velate immagini mi ritornavano alla mente. Viste quasi mezzo secolo prima dal cassone telato che da Villa Vicentina ci portava per il nostro turno al Forte. Ma pur insistendo nel tirare attentamente gli occhi ed individuare qualche possibile appiglio di riferimento mnemonico…, niente da fare!
Vado a naso ma poi cedo, mi faccio coraggio e decido di chiedere. E’ ovvio che bisogna trovare un anziano…
Ed infatti becco giusto giusto a cavallo di una nera biciclettona anni ’50 (quelle con la catena interamente coperta dal "carter"...), l’ometto che rientra a casa con la sporta della spesa appesa al manubrio.
Spiego i riferimenti della mia ricerca e all’ometto subito spunta un sorriso trionfale: “el xe un fià più ‘vanti. I xe drio far ‘na rotonda de ‘na strada nova. Col riva a la rotonda el se varda su la destra: el xe là”.
Grazie e via. Arrivo, guardo ma la vegetazione è alta. Fermo, smonto e mi arrampico sopra un “guardrail”: c’è!
E’ il Forte. Non vedo entrate e quindi comincio a girarci attorno poi mi accorgo che l’ingresso potrebbe essere celato in uno spiazzo preparato per il cantiere stradale della nuova strada e nuova rotonda. Varco loscamente la recinzione ove sostano macchine operatrici e container vari.
Bingo!
Il vecchio cancello mezzo scardinato, apre su cespugli rigogliosi oltrepassati i quali mi ritrovo su un vialetto costeggiato da alberelli e vegetazione incolta da lungo tempo. Quindi vedo e non vedo, ma… drizzo l’occhio e sullo sfondo un classico comignolo (di aereazione'), di fattura difensiva.
Cavalco sino a quello che fu il “Corpo di Guardia” che subito mi appare totalmente differente di come me lo ricordavo. Forse, anzi sicuramente l’hanno rifatto; le stanze dove si dormiva non sono quelle stampatesi nella memoria. E’ una rovina disastrosa e i vandali evidentemente la fanno da padrone. Le scritte sui muri danno da intendere che gli ospiti attuali sono ben tristi figure.
Procedo e finalmente davanti a me si erge in tutta la sua severità, il Forte Poerio.
Non sto qui a raccontarvi le impressioni perché dopo dicono che sono uno che si fa prendere dallo sconforto dei ricordi e dal malinconico confronto di ieri con l’attuale. Vi mostro le foto che non hanno bisogno di commenti.
Prima di venirmene via, mi fermo e guardo sul segmento di Ponte Bailey che supera l’antico fossato di protezione. C’è un giovane Lagunare con il Fal a "spall’arm", infagottato nella verde giacca a vento, che se ne và dietro, verso l’altana dove lo attendono le sue due canoniche ore di guardia. C’è aria di pioggia imminente; il tizio è lurido assai, gli anfibi infangati, la barba di giorni, ma è giovane e mi assomiglia molto.
San Marco!
Lagunare Dino Doveri.