DA LAGUNA MILES A DEPOMUNIZIONI MALCONTENTA……
Cominciava così un fonogramma che stava per partire dalla caserma Piave in una sera di dicembre del 1966.
Non ricordo il nome del telefonista ma eravamo nella palazzina comando della Piave io, Ufficiale e i ragazzi del Picchetto.
Sono passati quasi 45 anni e devo ringraziare il Signore e San Marco per avermi protetto e consentito stasera di leggere alcune lettere di Lagunari inviate al sito.
Un salto all’indietro che ho fatto con piacere, un’emozione grande perché ho condiviso quelle esperienze con tanti altri Baffi, Tube e Veci che ho poi ritrovato anche nella vita civile.
Non molto tempo fa mi sono sentito salutare con “buongiorno sig. Tenente” e devo confessare che pensavo ad una presa in giro; non è stato così perché un ex lagunare del mio contingente mi ha riconosciuto e dopo 40 anni invece di chiamarmi per nome mi si è rivolto ancora come se fossimo in caserma.
Mi sono sentito prima di tutto in dovere di ringraziare, di abbracciarlo e di rendergli gli onori in quanto “fradeo de naja” e Lagunare come me.
Sono un Lagunare del 46° corso AUC che una mattina di gennaio del 1967 si è imbarcato a Venezia con altri commilitoni per raggiungere Caserta sede dalla Scuola Truppe Meccanizzate e Corazzate “Ferrari Orsi”.
Partire da Venezia è stato un segno del destino (avrei potuto partire da Mestre) ma per un Lagunare è significativo perché lì sarei poi ritornato.
Lagunari a Caserta era singolare: senza laguna, senza mare, in una compagnia che aveva per Capitano il “Falco” e che avrebbe dovuto condividere il corso con Bersaglieri, Carristi e Cavalieri.
Tuttavia il reclutamento su base regionale (anche se tra noi c’era anche un napoletano un romano e qualche lombardo) ci ha assicurato un clima familiare molto sentito, uno spirito di corpo segnato dalla nostra diversità e una spavalderia frutto proprio del sentirsi diversi ma uniti.
E’ chiaro che non ci siamo sentiti da subito Lagunari perché ci è mancato, almeno a me, lo spirito di corpo. Certo ho imparato e cantato l’inno, inciso la scritta “Compagnia Lagunari Carnaro” all’entrata della palazzina comando, ma per prendere coscienza della nostra identità ho dovuto attendere il campo estivo in giugno a San Pietro a Maida dove adesso sorge l’aeroporto di Sant’Eufemia Lamezia in Calabria.
Lì finalmente, tra le dune di sabbia e il mare ho di nuovo respirato l’aria di casa, il fascino della nostra divisa, del fazzoletto, dei suoi colori, dei gommoni per gli sbarchi e della competizione con gli altri corpi della Scuola senza tutti i formalismi della caserma; oserei dire da veri guerrieri.
Vita dura a San Pietro: i bambini venivano alla rete per elemosinare qualcosa da mangiare, l’unico rifugio ero lo Zibibbo e Nicastro, miraggio raggiungibile solo di domenica per veder qualcosa e per consentire un veloce sfogo agli ormoni di quelli tra noi che non potevano resistere fino al ritorno dalla morosa (o che non ce l’avevano).
Alla fine del corso e all’inizio di quella caldissima estate il ritorno con i baffi da Sergente.
Ritorno a Venezia naturalmente e primo incontro con l’arma: la caserma Pepe.
Finalmente i Lagunari veri che marciavano ad un ritmo che non avevamo mai visto e che ci ha impressionato. Il discorso del Colonnello Cataldo e l’assegnazione al battaglioni.
A me è toccato Malcontenta a 5 kilometri da casa. Appena scesi dal CL che ci aveva portati dal Lido alla caserma ho capito subito che Lagunare si nasce. Se non ne hai la cognizione è meglio rassegnarsi, non lo sarai mai veramente.
I soldati e i graduati non ci hanno degnato di uno sguardo, ma trattati come fossimo volgari “canoe” (chi mi legge sa di cosa parlo) e così mi è toccato portarmi lo zaino, ritirare le coperte in magazzino, farmi il letto ed organizzarmi. C’era da farsi valere, ma in modo intelligente.
Da subito ho cominciato ad essere il primo in adunata, a presentarmi ai superiori facendo sentire bene la voce, a corre più dei miei subalterni. A far vedere come si portava il mortaio da 120 (la piastra almeno perché il fusto lo assegnavo ai più alti) prendendolo in spalla e correndo, insomma dando l’esempio.
Il ritorno di questo impegno è stato il saluto dopo 40 anni di quel Lagunare mio “fradeo” e la solidarietà degli altri che quando, dopo quatto mesi, sono andato alla Piave volevano venire via con me.
Sembra stupido che a vent’anni ci si possa sentire così uniti, ma non c’è da stupirsi perché succede anche nei luoghi di lavoro, a scuola o in galera. Si condivide la vita e i suoi ideali quando ci sono e li si fa propri.
Molti di quei ragazzi li ho poi incontrati sul lavoro per la strada e uno perfino ad una gara podistica, sempre con grande affetto e solidarietà.
A Malcontenta ho lasciato un po’ di cuore perché leggere del mitico Sergente Elisei con il quale ho condiviso anche qualche uscita serale a Jesolo rientrando con il salto del muro alle 5 del mattino, mi ha quasi commosso. Con lui Mangione, Turchi, De Gregoris e il Maresciallo della fureria del quale purtroppo non ricordo più il nome, che si favoleggiava essere diventato ricchissimo a spese dell’esercito. Quanto cuore mi è rimasto lì.
Quante guardie in polveriera quante corse con la tavoletta ed il mortaio e quante marce nei campi attorno. Quante volte ha cantato “A chi” Fausto Leali dal juke-box dello spaccio, tante almeno quante quelle di Al Bano con “Il sole”.
Che estate quella del ’67!!
Poi è venuta la stelletta e con lei il trasferimento alla Piave. Qui decisamente l’animo Lagunare si è scoperto completamente.
Avere a disposizione un plotone da formare, la fortuna di avere nel primo periodo come capitano tale Lucchetti (ciccia al culo!) che pur essendo di complemento sembrava un guerrafondaio squattrinato (più volte abbiamo fatto noi il pieno alla sua 124 coupè) e la fortuna poi di vederlo andare all’OAIO.
L’arrivo del nuovo Capitano Raneletta, gentiluomo, plurilaureato e la possibilità di sostituirlo per un lungo periodo in qualità di comandante di compagnia mi ha reso il compito difficile ma al tempo stesso eccitante. Dovevo dimostrare che ero all’altezza e che ero Lagunare.
Naturalmente questo compito mi è stato facilitato dai componenti la Compagnia, i ragazzi (questi si veri fradei de naja che si sono congedati poi con me) erano più Lagunari di me e hanno sempre condiviso tutto, le guardie, gli sbarchi, il freddo, la fatica, ma anche le “presentazioni” dei baffi, le sbornie su in compagnia e sotto la tenda, le corse in M113 o con l’AR di notte nelle campagne di Lugugnana sparando a salve, ma anche il patema del 4 Novembre a Dogaletto con la laguna che invadeva i campi e le case alla cui difesa dalle acque abbiamo messo gli M113.
Ricordo anche una cena dalle parti della stazione di Mestre ed il ritorno schierati per via Piave a passo di marcia fino all’entrata in caserma con il mio collega Bellemo da Chioggia che non voleva farci rientrare.
Certo è stato faticoso, ma eccitante; posso dire di non ricordare giornate uggiose, ma di aver passato con Dugo, Schiattello, Astolfi, Toniolo, Salvà, Ceolin (per 1/3° mio attendente) e tanti, tantissimi altri una parte importante e formativa della mia gioventù.
A loro e a San Marco devo un grazie infinito: quello di avermi fatto Lagunare sul campo e nel cuore.
Auguro a tutti quelli che mi leggeranno una lunga vita e la salvaguardia di questi ricordi che si possono condividere solo con chi c’era e, con il cuore, c’è ancora.
Grazie per l’attenzione.
Lagunare Ten. Gianfranco Favari