profilo basso per la ritirata italiana
dall'afghanistan
di Gianandrea Gaiani
Si è concluso il 10 settembre il secondo capitolo
della ritirata italiana dall’Afghanistan quando la bandiera di guerra
dell’8° reggimento bersaglieri ha lasciato la base avanzata “Columbus” a
Bala Murghab, a nord di Herat, cedendo le competenze della sicurezza a
un battaglione di soldati afghani. In agosto gli italiani avevano
lasciato alle truppe di Kabul il distretto del Gulistan, area calda
nella provincia di Farah, cedendo a poche decine di soldati afghani la
base avanzata “Ice” e distruggendo l’avamposto “Snow” nel quale gli
italiani hanno combattuto duramente per due anni. Anche a Bala Murghab
le truppe italiane hanno affrontato aspri combattimenti fin da quando
l’ex cotonificio poi trasformato nella base “Columbus” venne espugnato
il 4 agosto 2008 dai baschi azzurri del 66° reggimento fanteria
aeromobile. Per allargare ai villaggi della valle la cosiddetta “bolla
di sicurezza” sono stati costruiti sulle colline circostanti oltre due
dozzine di avamposti con un’avanzata metro per metro lungo piste
infestate da ordigni esplosivi che si snodano su colline ideali per le
imboscate. Nell’estate 2009 i paracadutisti del 183° reggimento hanno
combattuto a Bala Murghab la battaglia forse più cruenta di tutta la
guerra italiana in Afghanistan uccidendo centinaia di insorti. Il ritiro
della Task force north ha sancito ufficialmente la transizione ”nel
rispetto della time-line concordata con il Governo di Kabul e gli
alleati della Nato” precisa il comando italiano a Herat. Non va però
dimenticato che Bala Murghab (come il Gulistan) dovevano essere ceduti
agli afghani esattamente tra un anno anche se la tendenza di molti
alleati ad anticipare il ritiro dall’Afghanistan e le esigenza italiane
di ridurre la spesa pubblica inclusi i costi militari hanno indotto Roma
a stringere i tempi. Nessuna fonte ufficiale lo dice ma gli italiani
hanno lasciato ai soldati afghani le aree più difficili e pericolose,
non quelle già pacificate o più tranquille come prevedevano i programmi
della Nato per la transizione. In più i nostri se ne vanno un anno prima
di quanto previsto da piani ancora validi nel febbraio scorso.
La conferma più eclatante è rappresentata dal Reggimento Lagunari
"Serenissima" addestrato per andare ora in Afghanistan con gli
alpini della brigata Taurinense (che in questi giorni danno il cambio ai
bersaglieri della Garibaldi) ma la cui missione è stata annullata nella
tarda primavera perché la decisione di ritirarsi anticipatamente da Bala
Murghab ha reso superfluo uno dei quattro battaglioni da combattimento
del contingente italiano. A marzo, quando terminerà la missione della
Taurinense il contingente farà a meno di un altro battaglione, quello
schierato a Bakwa (Farah) e del reparto addetto alla ricostruzione
civile. Riduzioni che consentiranno ulteriori tagli ai numeri della
missione afghana costata quest’anno 750 milioni di euro con 4.200
militari dislocati a Herat e dintorni. In questi giorni gli organici
stanno scendendo a 3.600 unità e caleranno sotto 3 mila in marzo mentre
altri mille soldati se ne andranno a settembre dell’anno prossimo.
Secondo indiscrezioni la spesa prevista nel 2013 è di 550 milioni di
euro ma scenderà a 200 milioni nel 2014 quando dovrebbe concludersi il
ritiro delle forze. Come in Gulistan, anche a Bala Murghab è meglio non
farsi illusioni circa le capacità degli afghani di difendere da soli la
valle e il confine col Turkmenistan. Difficile pensare che 300 soldati e
un pugno di poliziotti afghani male armati e privi di mezzi blindati
possano tenere un settore fino a ieri presidiato anche da 450 fanti
italiani e 160 statunitensi, truppe scelte ben equipaggiate. Forse anche
per questo la ritirata da Bala Murghab è rimasta a basso profilo
mediatico, annunciata da un comunicato di poche righe ed effettuata
senza la presenza di reporter italiani.
per gentile concessione di Analisi Difesa web Magazine