esploratori in fuga
Ponte dell’Immacolata. Mi sto recando al
“K2”, un ristorante nel comune di Roana che ha un rapporto particolare
con il plotone. Lungo la strada incrocio un VM90 dell’Esercito. Guardo
chi è alla guida, riconosco Ninja e sorrido a me stesso. Gli esploratori
sono qui e so dove trovarli: alla “Croce del Doge”.
Il reggimento è effettivamente in zona, impegnato nella fase
di Sopravvivenza Operativa dell’11° Corso Esploratori Anfibi. Se non
ricordo male, dovremmo essere circa a metà corso, al termine delle
attività puramente terrestri e fisiche. Quassù gli aspiranti esploratori
devono ora misurarsi con qualcosa di inusuale per il soldato
convenzionale. Obbligati a guardare dentro se stessi, saranno costretti
a misurare le motivazioni che li hanno spinti a segnalarsi per il corso.
Simulando un evento che li ha completamente isolati dal resto
del mondo, abbigliati alla meglio e con pochissime cose a disposizione,
gli allievi devono trascorrere alcuni giorni da soli, costruendosi un
riparo e procurandosi quel minimo di sostentamento necessario a
sopravvivere. Tuttavia, non essendo naufragati durante una crociera
turistica, l’esercizio prosegue con la cattura da parte di forze
avversarie. Nel corso del successivo interrogatorio tattico devono
comportarsi come prescrivono le Convenzioni Internazionali sui
prigionieri di guerra e secondo il Codice di Condotta del reparto. Di
seguito, dopo essere convenientemente riusciti a fuggire dalla
prigionia, in coppia [oggi, in tempo di pace, occorre rispettare un
minimo di sicurezza] devono raggiungere un determinato punto di recupero
muovendo, per alcune notti successive, da una località preordinata
all’altra, seguendo uno schema ben preciso. Se le condizioni climatiche
e le privazioni indotte mettono a dura prova il corpo dell’aspirante
esploratore, il continuo sforzo mentale e l’aspetto psicologico
richiesti dagli eventi servono a decidere se questo è effettivamente il
tipo di vita che egli desidera.
Nel corso di questa sequenza di eventi gli istruttori
verificano le abilità tecniche di vivere e muovere completamente
isolati, così come le capacità di memoria e la ferma volontà di
resistere a condizioni di estremo disagio, in linea con la missione
assegnata. Le prime possono essere migliorate, mentre le seconde sono un
patrimonio genetico. La combinazione di sofferenza fisica e stress
psicologico rivelano chi è adatto a servire nel plotone Recon, a fianco
di quegli stessi istruttori che li osservano attentamente.
Taz, hai perfettamente ragione! Il corso esploratori anfibi
rappresenta una vera e propria “selezione”, necessaria per individuare
chi è adatto ad operare, avanti e prima di tutti, seguendo quelle regole
e procedure che sappiamo servire per avere maggiori possibilità di
successo sul campo di battaglia.
Nessuna delle valutazioni che stabiliscono chi rimane e chi
invece rientra alla propria unità d’origine, nel corso delle venti
settimane di corso, è solo il risultato di mero calcolo aritmetico.
L’attitudine all’impiego è il fattore che fa pendere l’ago della
bilancia da una parte o dall’altra. Penso a tutto questo mentre osservo
i boschi che devono attraversare gli allievi esploratori in fuga. E’
senza dubbio un momento forte nella loro formazione. Trattati sin dalla
creazione del plotone, anche se inizialmente solo in teoria, i temi che
lo costituiscono rivestono un’importanza determinante per chi opera
autonomamente in territorio ostile. A maggior ragione per noi. Nemo
ante nos. La solitudine operativa di chi ha il mare alle spalle è
ancora più schiacciante e richiede una feroce volontà di riuscire.
Indicati in ambito NATO con l’acronimo S.E.R.E., gli elementi
che costituiscono la Sopravvivenza Operativa sono stati costantemente
aggiornati e approfonditi nel corso degli anni, per rispondere alle
esigenze di sempre nuovi scenari operativi e formare così al meglio i
Recon del reggimento lagunari.
Mentre scendo dalla montagna per rientrare a casa mi sento
proprio bene. E’ stato un bel fine settimana.
Alberto Mantovani