COMPLEANNO CON I RECON
In una tranquilla notte di marzo mi trovo a
passeggiare sulla spiaggia del Cavallino. In quegli stessi luoghi che
hanno visto generazioni di lagunari sbarcare nel
corso del loro addestramento di specialità.
É un pensiero automatico e, dalla battigia,
osservo alternativamente il mare e la terra. Il primo
è uno specchio d’acqua immobile, illuminato da
una luna piena che, ancora bassa sull’orizzonte, crea un riflesso
che disturba la vista. La seconda comprende tre
zone distinte: la spiaggia, dove la
luna proietta le ombre come fosse giorno;
una fascia di bassa vegetazione a
cespugli; una scura fila di alberi. Proprio
là dovevano arrivare i lagunari una volta
sbarcati. Conto i passi: 175 per arrivare
ai cespugli e altri 120 per infilarsi nella boschina. Uno spazio enorme
da percorrere sulla sabbia soffice, a sbalzi successivi,
potendo disporre del solo misero
occultamento dall’osservazione che i bassi
cespugli offrono. E poi? Dal centro di questo ipotetico tragitto osservo
la linea scura degli alberi. Cosa c’è tra essi? E
oltre? Domande che ci siamo posti mille
volte, ogni volta che ci siamo
addestrati a prendere terra in aree
considerate ostili o potenzialmente tali.
Un problema tutt’altro che accademico. La
prossima volta che andrete al mare,
magari con la famiglia, rifate, anche
solo idealmente, il mio stesso percorso e, giunti alla linea dei
cespugli, giratevi di 180°. Quello che vedete è lo stesso percorso, gli
stessi 175 passi sulla sabbia morbida e poi ... il mare. Una distesa
liquida in cui non ci si può nascondere, su cui non si può correre per
raggiungere i mezzi da sbarco, ammesso
che siano ancora lì,
come tanti bersagli immobili,
sitting ducks come dicono gli
anglosassoni. Una delle soluzioni a quel problema è mandare qualcuno,
prima, a vedere di persona cosa c’è là attorno.
Quel qualcuno arriva dal mare oggi.
Stanotte i Recon svolgono una
serie di attività che iniziano proprio con
presa di terra e
ricognizione. Non a favore
di un complesso anfibio ma nel
quadro di ciò che la NATO chiama
Personnel Recovery Operations, cioè il
recupero clandestino di personaggi chiave da aree a rischio.
Dagli anni ’90 il plotone si addestra a questo
tipo di missioni. Ben prima che fosse stilata una bozza di pubblicazione
a riguardo. Potreste obiettare che le attuali
condizioni di luce e del mare non siano
proprio ottimali per questo tipo di
azioni. Concordo pienamente ma, in tempi
normali, occorre rispettare determinati calendari addestrativi. E
poi, se in realtà la situazione a terra non permettesse di
attendere oltre, non credete che il
rischio di perdite potrebbe essere
considerato bilanciato dall’importaza del personaggio da evacuare?
Questa è una di quelle considerazioni che nel plotone è reputato un
ottimo esercizio didattico e spirituale.
Il rumore dei battelli mi richiama alla
realtà. Li vedo. Due Zodiac si sono fermati al largo per rilasciare gli
operatori che, portando con sé il necessario in grossi zaini, nuotano
silenziosi verso riva.
Nonostante la luna, se
non fosse per la presenza dei
battelli, rimasti lì vicino per fornire
l’imprescindibile sicurezza richiesta in
addestramento, sarebbe comunque difficile dire cos’è quella roba che
galleggia sull’acqua. Un certo lavoro in acqua, la presa di terra e
l’infiltrazione all’interno avvengono, nel più assoluto silenzio,
secondo procedure consolidate nel tempo. Li seguo per un po’ poi mi
dirigo dove so essere la Direzione di Esercitazione. Trovo N e S, i
sergenti maggiori controllori delle attività, e il Comandante la CSTA, a
fianco dell’operatore radio che sta trascrivendo un rapporto di
ricognizione di piaggia trasmesso dal team infiltrato. Non è necessario
nelle personnel recovery ma l’esercizio
è stato comunque inserito nel pacchetto
di azioni da svolgere. Chi ha vissuto
molto ha molti ricordi. Ripenso a quanto
abbiamo dovuto lottare per essere in grado
di portare, asciutte e funzionanti, le radio a terra.
Alle tre di notte è previsto l’appuntamento
con il personaggio da recuperare. Nel frattempo, la
luna ha cambiato posizione nel cielo ed è ora
velata da un sottile strato di nubi che contribuisce a creare una
condizione di visibilità strana, dove mare
e cielo sono un tutt’uno e le
sagome tra gli arbusti più difficili da
delineare. Attraverso un visore notturno riesco
a vederli con maggiore nitidezza: la corta canna degli ARX
sporge appena dal profilo, deformato dallo zaino, dei Recon che muovono,
lenti e silenziosi, tra la vegetazione.
Sono sicuro che ci abbiano visto perché,
contrariamente a noi che mangiavamo carote per migliorare la vista, loro
hanno strumenti moderni e sofisticati per vedere al buio.
A contatto avvenuto, viene
chiamato a riva il mezzo di recupero
e il personaggio accompagnato sulla riva. Una coppia lo
scorta mentre le altre due sono pronte a intervenire in caso di
interferenze. Nonostante l’esiguo numero, con
i fucili d’assalto, lanciagranate da 40mm e
una mitragliatrice leggera Minimi, sono in grado
di produrre un notevole volume di
fuoco, se proprio dovesse servire. Tuttavia,
la loro arma migliore è il silenzio.
In effetti, si muovono lenti, silenziosi.
Operatori che si “parlano” con piccoli gesti
collaudati.
Assieme al personaggio, sul battello sono
lasciati zaini stagni, mute, pinne e quanto non serve
per la missione successiva. Eh già! Perché,
come a volte accade, una missione si fonde con un’altra che richiede una
completa e diversa configurazione di equipaggiamento.
Verso le quattro del mattino la pattuglia si
reca all’appuntamento con il “contatto” che li avvia
alla fase seguente. Fantasmi che appaiono e
scompaiono nell’incerta luce che precede l’aurora. Così mascherati
e ingobbiti sembrano tutti uguali. Riesco
a distinguere Π, che quest’anno festeggerà
vent’anni nel plotone. Non sono rimasti
in molti del 1° corso esploratori (per
volontari), ma ne rappresentano senza dubbio l’anima. Poco lontano
sono parcheggiati i VM90 con a bordo gli zaini da 40 kg che per i
quattro giorni successivi li accompagneranno nella fase
combat in ambiente montano.
Questa continuità d’impiego, cioè l’arrivare
dal mare al largo e continuare fino a oltre 1500 metri di quota, piaceva
molto a Doge.
Alle cinque, i sei
Recon salgono sui mezzi e si allontanano
dalla zona che è ancora buio. Li guardo
allontanarsi e rimango ancora un po’
sul posto. Risalgo in macchina e
nello specchietto retrovisore sgorgo il cielo cambiare leggermente
colore. E’ il BMNT, vale a dire lo spazio temporale in cui è ancora buio
ma nell’arco di circa quindici-venti muniti il sole che sta per sorgere
permette di vedere chiaramente.
Ora che ci penso, non è l’alba di un giorno
qualsiasi, è il mio compleanno. E’ davvero un bel
modo per entrare nel mio sessantaquattresimo
anno.
Alberto Mantovani