’Leon’’ la lama venexiana
Storia di vita e di coltelli da combattimento militare creati dal
Maestro Sandro Martinelli, veneziano e lagunare doc
Se si parla di luoghi magici in cui vivere, o da visitare, sicuramente
Venezia è tra i primi in classifica.
Una tra le più belle città del mondo, Patrimonio dell’umanità dichiarata
dall’UNESCO.
Città con una storia fatta di mare, di commercio, di battaglie terrestri
e navali, la regina dell’Adriatico, chiamata anche la Dominante, per
millecento anni fu la capitale della Serenissima
Repubblica di Venezia.
Consideriamo un ‘’colpo di fortuna’’ incontrare un vero’ ’Veneziano’’,
per di più abitante del centro storico della Serenissima, che conosce a
perfezione la storia della propria città che ama profondamente e a cui i
suoi nobili antenati hanno dato lustro.
Parliamo di Sandro
Martinelli,
veneziano autentico, uomo d’arte e d’azione, creativo, pratico e
soprattutto maestro di arti marziali.
In una interessante conversazione con lui, abbiamo approfondito alcuni
aspetti della sua persona e della sua filosofia di vita, improntati alla
sua appartenenza a Venezia, città in cui si è svolta la storia della sua
famiglia testimoniata anche da una pergamena:
“Dalla
pergamena in mio possesso, rilasciata dall'istituto di Araldica
regionale, risulta che la mia famiglia, originaria di Bergamo, si
trasferì a Venezia nel 1600. Il motivo del trasferimento è chiaro, dato
che tutti i membri della famiglia commerciavano nel settore della lana e
della seta.
Con decreto della Repubblica della Serenissima durante la guerra di
Candia, pagando la somma di 100.000 ducati, i Martinelli furono ascritti
al patriziato veneto "per soldo" e venne loro attribuito uno stemma
nobiliare”.
Nel raccontare i fatti che appartengono alla sua memoria, si ha chiara
la percezione che, più che il titolo nobiliare, per Sandro Martinelli è
importante, determinante per il percorso di vita compiuto, possedere
profonde radici nella storia della Repubblica di Venezia.
E’ un fiume di parole la narrazione con cui ci descrive come sono nate
le sue passioni artistiche, che lo hanno condotto ad essere Maestro di
arti marziali…e non solo.
Nei suoi ricordi, emerge il tempo in cui, bambino di otto anni, ebbe
l’occasione di vedere un film… “Per la prima volta, vidi un film in cui
venivano usate alcune tecniche di Karate.
Il ragazzino, sognando il Karate, si dedicava intanto ad attività
atletiche, dimostrando di essere alla ricerca delle proprie capacità e
dei propri limiti.
“Praticavo
l’atletica leggera, quando, compiuti i sedici anni, potei incominciare
ad applicarmi alla mia prima disciplina marziale, l'Aikido, grazie ad un
maestro di Judo che si chiamava Wassili Grandi e che insegnava Aikido
sotto la direzione tecnica del M° Tada, a Mestre”.
Dal racconto di Martinelli che parla senza perdere un momento di
entusiasmo, emergono i ricordi…
“Con
il Maestro Wassilli Grandi arrivai al grado di cintura marrone. Ma io
cercavo sempre il Karate”.
Il sogno del Karate si realizzò finalmente grazie ad una dimostrazione a
Venezia, da parte del M° Bruno Demichelis.
“Con
questo Maestro iniziai il percorso marziale più formativo e strutturale
per me: è stato un imprinting molto forte, sempre presente anche in
tutto il mio percorso marziale e mentale successivo. Per 13 anni, dal
1970 al 1983, ho vissuto un’esperienza entusiasmante, molto dura, anzi
durissima: ematomi e microfratture non si contavano. Demichelis, che era
un fighter eccezionale ed un Maestro severo, molto duro, arrivò a
vincere il secondo posto ai campionati del Mondo di Karate in Giappone”.
Continua a raccontare il M° Martinelli, accennando ai numerosi
campionati a cui ha partecipato nel corso degli anni, gareggiando nella
squadra agonistica del C.S.K.S. San Marco e conseguendo il 2° posto al
campionato regionale di Karate e la medaglia d'argento al campionato
italiano assoluto di Kumite (combattimento) a squadre nel 1973, seguito
sempre dal M° Demichelis con il quale divenne in seguito istruttore e
cintura nera 3°Dan.
Gli occhi gli si illuminano, ricordando i corsi di ”dinamica
mentale” applicata
al Karate a cui ha partecipato ed i Maestri conosciuti nel corso degli
anni.
“Ho
potuto praticare con i massimi Maestri di Karate della Japan Karate
Association e sotto la direzione tecnica del M° Hiroshi Shirai della
FE.SI.KA, ho potuto allenarmi con i maestri Kase, Enoeda, Miura, Naito,
Sumi. Si è trattato di esperienze e di arricchimenti tecnici
straordinari!”.
Non è stato solo il Karate ad imprimere nel nostro interlocutore la
forza e la sicurezza di mente e corpo, ma anche l’arruolamento nel
reggimento Lagunari Serenissima che dette al giovane Martinelli
l’occasione di mettere a frutto il suo percorso formativo nelle arti
marziali.
“Quando
nel 1974 mi arruolai nel Reggimento Lagunari Serenissima, con il mitico
incarico 107 "Exploratore", dato il mio grado di Karate, il capitano
Giorgio Paternò che allora comandava la base dei mezzi anfibi di
S.Andrea a Venezia, mi attribuì l'incarico di addestrare al Karate gli
ufficiali e i sottufficiali del Reggimento.
L'esperienza di addestrare i militari del reggimento Lagunari è una
delle cose che più mi inorgoglisce; questo legame non si è mai
interrotto.
Certamente l'atteggiamento mentale influisce sulle prestazioni; e in
maniera molto determinante, chi ha un trascorso agonistico conosce molto
bene questo aspetto”.
A chi sono rivolti i programmi che ha realizzati e come è arrivato a
creare un sistema di combattimento completo?
Dopo aver insegnato ‘’Karate
Shotokan’’ ad
adulti e bambini, a Venezia, presso la palestra C.S.K.S. San Marco del
M° Demichelis, nel 1983 Martinelli consegue il grado di 3° Dan. Dal 1983
sino all’anno 2000, ha insegnato tale disciplina nella propria palestra, ”Dinamic.Karate.Alvisiana” a
S.Alvise, sempre a Venezia.
Con grande sentimento di stima parla del fraterno amico e collega di
arti marziali Valter Bravin:
“Maestro
di Kajukenbo, uomo di grandi capacità, compagno di straordinarie
esperienze marziali, tra le quali la conoscenza e la pratica dell'arte
marziale indiana "Vajra Murthi", appresa dall'insegnante di questa
disciplina Jo Azer Brito, un combattente estremamente bravo e
pericoloso, la cui professione penso fosse tutt’altro”.
Interrompiamo il Maestro nella sua lunga narrazione, perché abbiamo la
curiosità di sapere molto sui programmi di sua competenza, ma
soprattutto, chi può usufruirne.
Nei suoi ricordi, insieme ai maestri già nominati, emergono Alberto
Rioda, Sandro Angiolini, Massimo Castelli, maestri di arti marziali
della sua ‘’categoria’’, con i quali negli anni Novanta aprì un
sodalizio, dal nome ‘’Tridente’’,
con lo scopo di apprendere altri tipi di combattimento.
Successivamente si avvicinò alla boxe con Oscar Ceselin e Franco Rosa,
al ’kick boxing’’ (anche con il campione del mondo Dominique Valera), al
‘’full contact’’con Bill Wallace (pluricampione del mondo), praticò il
‘’muay thai’’ in Italia con Fabio Camatti,e con i campioni del mondo
Kaopon Lek e Itthipol, partecipando anche a stage in Thailandia. Non
dimentica, poi, il Judo praticato con i maestri Marino Marcolina, Nicola
e Alberto Grandi.
Un lungo elenco di grandi personaggi: tutti maestri di arti marziali,
che hanno contribuito a formare il bagaglio tecnico del Maestro
Martinelli, il quale, però, continuava la propria ricerca personale:
“Nel
2000 è arrivata una svolta sconvolgente: stavo cercando qualcosa di più
estremo ed efficace per la difesa personale da strada, per imparare a
difendermi da aggressori, anche armati di coltello o di bastoni o di
bottiglie rotte.
Ho lavorato saltuariamente come buttafuori nelle discoteche con l'amico
Fabio Camatti; ho fatto moltissime volte a pugni per le calli di Venezia
anche contro quattro avversari; una volta ho affrontato e disarmato una
persona che voleva accoltellare un mio caro amico. Ho lavorato anche
come bodyguard di famosi attori alla Mostra del cinema di Venezia. Per
tutte queste vicissitudini, cercavo qualcuno che mi potesse addestrare
ad affrontare qualsiasi tipo di aggressione e situazione rischiosa”.
Tipo tranquillo eh, questo simpatico Veneziano sempre alla ricerca di
qualche capacità marziale!
Arrivò, finalmente, la realizzazione del suo desiderio, quando incontrò
il maestro Giorgio Porcellana, ideatore del metodo di combattimento “Street
Grapple System”.
“Ho
quindi iniziato ad allenarmi a questo sistema incredibile, di una
efficacia micidiale, che comprendeva la lotta a terra, il trapping, JKD,
il wing tsun, la boxe, la difesa di coltello, kali eskrima e brazilian
jiu jitsu, diventando National instructor e delegato triveneto del
sistema del maestro Porcellana. Contemporaneamente, mi allenavo a Parigi
con i miei due Maestri Pierre Portocarrero e Jp. Vignau, conseguendo il
grado di cintura nera 6° Dan di Karate dell' I.B.A. Nei miei allenamenti
parigini c'era sempre la mia carissima amica la campionessa e maestra di
karate Diane Luc Batigne
Una volta raggiunto questo grande traguardo, proprio loro mi
consigliarono, per completare la mia formazione, di addestrarmi con il
più preparato e prestigioso docente formatore di difesa personale per i
corpi speciali francesi: Charles Joussot, con il suo sistema “
F.I.S.F.O.”
Nell’ascoltare il racconto delle sue esperienze, la fantasia corre
nell’immaginare un uomo in continuo stato di prontezza, mai fermo,
orientato al raggiungimento dell’obiettivo coltivato sin da bambino: la
perfezione nel combattimento marziale.
Un racconto con un filo conduttore che riunisce molti fatti, dagli Anni
Settanta ad oggi, colmo di ricordi attraverso i quali scorrono, come
immagini in un diorama, nomi di grandi maestri che lo hanno condotto a
diventare il Maestro che è.
Siamo nel 2020; in questi ultimi venti anni, da quando ha incontrato il
“Street Grapple System”, cosa è accaduto?
“Dal
2000 al 2020, ho conseguito molti diplomi di istruttore di
discipline marziali e di sistemi operativi per reparti speciali,
con vari docenti e istruttori internazionali, fra cui: Florian Lahner,
dei GSG9 (teste di cuoio tedesche), Borut Kincl karateka di alto livello
tecnico, molto preparato degli "Enota Specialno Delovanje", un corpo
speciale sloveno; Charles Joussot, eccellente formatore di difesa
personale per i reparti speciali francesi, il cui sistema, molto
semplice da imparare ma molto efficace, deriva dal Pencak Silat.
Nella scuola del M° Joussot, che considero quasi come una famiglia, ho
trovato alcuni istruttori veramente irriducibili, dei veri amici come
Maurice, Dominique, Alan e Sebastien”.
Numerosi sono gli insegnanti che hanno lasciato il segno nel nostro
interlocutore:
“Hoch
Hockenheim famoso insegnante che ha addestrato importanti reparti
speciali americani “Marines"; il professor Antonio Merendoni, docente
molto preparato per quanto riguarda il combattimento e la cultura del
coltello italiano e con il quale collaboro da anni, divulgando il metodo
di combattimento in uso agli ‘’Arditi italiani’’ nelle due guerre
mondiali.
Con Merendoni, che è anche responsabile del settore security/safety (di
cui io sono un istruttore IV livello e responsabile settore nord-est),
ho collaborato alla pubblicazione del suo libro intitolato ‘’Scrimia
venexiana’’, un trattato storico della vera scherma veneziana in uso
alle truppe dei "Fanti da mar" imbarcati sulle galee veneziane.
Insieme al mio grande amico e bravissimo istruttore di S.G.S.Extrema
Ratio, Gabriele Guidi, appartenente alle forze di polizia, svolgo da
anni anche corsi di tiro rapido, nel U.T.S Cascina(PI).”
Un tema importante per Martinelli è quello del coltello, del cui uso è
appassionato docente, ma anche geniale creatore e designer.
E’ istruttore in alcune famose Scuole di combattimento al coltello:
quelle del Grand master Bram Frank del CSSD/SC, del Grand Master Krishna
Godhania, responsabile europeo del Warrior Eskrima e Sayoc Kali (a suo
avviso il docente europeo più completo per le discipline di Kali Eskrima).
Per molti anni Martinelli è stato anche allievo diretto del Grand Master
Bill Homann 9° Dan di Kyusho della scuola americana del Grand master
George Dillman.
Ricorda con gratitudine il Gran Master Homann: “Da
lui ho imparato i segreti del Kyusho, la conoscenza dei punti vitali del
corpo umano, che mi sono stati molto utili per addestrare gli istruttori
delle F.F.O.O.
Al M° Homann devo molta gratitudine e rispetto, con lui ho conseguito il
grado di 5° Dan del Karate Dillman e di 6° Dan del suo sistema F.E.D.
(il Maestro mi ha donato la cintura bicolore per il grado di Kyoshi)”.
Un fiume di ricordi, nomi di Maestri che gli hanno dato l’impronta, la
stessa che Martinelli imprime sui propri allievi.
“In
questi anni ho svolto corsi differenziati per istruttori della Polizia
di Stato, per l'Arma dei Carabinieri, per i Vigili dell'Unione Comuni
del Miranese, per il Reggimento Lagunari Serenissima e corsi di difesa
personale per donne e adulti.
Svolgo anche corsi di difesa personale in alcuni istituti scolastici
delle superiori di Venezia.
Alla fine di questo intricato e durissimo percorso marziale, studiando e
ricercando le migliori discipline, dall’Alaska alla Thailandia,
passando per l’Europa, è nato il mio sistema di combattimento completo:
l'"S.G.S.Extrema Ratio” che esercito ed insegno, con il supporto e la
collaborazione dei miei validi istruttori Roberto, Gianni, Francesco,
Fabio, Guido, Giorgio, Gloria e Anna, (tra questi ci sono istruttori
delle F.F.O.O. e F.F.A.A)”.
E con un’espressione soddisfatta, il Maestro Martinelli dichiara:
“Di
tutto ciò che ho fatto nella mia vita, una delle cose di cui vado fiero
e che mi ha dato, e ancora mi dà, più soddisfazione, è insegnare
autodifesa alle donne….
Specialmente alle donne che hanno avuto problemi di aggressioni e
violenze.
Questo le aiuta a riacquistare la fiducia in se stesse e la
consapevolezza delle proprie possibilità di difendersi… collaboro anche
con un team di psicologi, portando il mio bagaglio tecnico.
Vorrei aggiungere che per le donne che praticano attività marziali ho
grande stima, sono straordinarie; mia moglie Gloria stessa ne è un
esempio, essendo anche uno degli istruttori che mi coadiuvano, nella
scuola, con una esperienza di tanti anni”.
Nell’ascoltare l’elenco delle attività in cui il Maestro Martinelli è
impegnato, la nostra curiosità ci stimola a chiedergli qualche
approfondimento.
Lei è stato Capo Istruttore di “Close Combat” del Reggimento Lagunari
Serenissima; ci narra la sua esperienza?
“Come
avevo accennato, nel 1974 sono stato arruolato nel reggimento Lagunari
Serenissima, con l'incarico 107 "Exploratore " nel plotone comando.
A comandare la base dei mezzi anfibi di Sant'Andrea era il capitano
Giorgio Paternò, un ufficiale lungimirante e attento a migliorare le
prestazioni dei propri soldati, che fece richiesta che io venissi
trasferito dalla caserma di Malcontenta in cui ero effettivo, a S.
Andrea, la “base dei Pirati” (così chiamata da noi militari) per
addestrare al Karate i suoi ufficiali e sottufficiali; però, a causa del
mio incarico operativo, non potevo essere trasferito, finché non avessi
completato i corsi di "assaltatore" e "exploratore”.
Mi ricordo molto bene il primo giorno: era il 1° aprile 1974
quando entrai dentro la "Matter" rendendomi subito conto, nell’entrare
insieme a centinaia di ragazzi come me, che avrei provato una esperienza
che mi avrebbe segnato per sempre.
Ancora non conoscevo gli impegni pesanti del mio incarico; poi, a mano a
mano che i giorni passavano, cominciai a capire che sarebbero stati
molto duri!
Ero abituato a trovare la colazione pronta alla mattina, a farmi la le
doccia con l'acqua calda e avevo i capelli lunghi: già il secondo giorno
mi sono ritrovato la testa rasata come una mela e in mimetica, con degli
anfibi di cuoio che non si riuscivano a piegare da quanto erano rigidi.
Al mattino, in riga davanti al pennone per l'alzabandiera, per poi
iniziare a marciare per tutto il giorno.
E questa era solo la premessa di quello che mi sarebbe spettato in
seguito: un impegno massacrante.
Pur essendo allenatissimo (ero appena arrivato, con la squadra, al 2°
posto ai campionati italiani assoluti di Karate), il bello stava per
arrivare. Avevo come comandante della palazzina comando un certo
capitano Gianandrea che al primo giorno ci fece raccogliere i mozziconi
delle sigarette con le mani.
Il mio tenente del plotone incursori, plotone formato dagli
esploratori e dai pionieri, si chiamava Federico Fasan. Non so chi dei
due fosse più matto, ma non bastava… come ciliegina sulla torta, come
sottufficiale, avevamo il caporal maggiore Alberto Mantovani, quello che
sarebbe poi diventato la "leggenda" degli exploratori anfibi; in
confronto a lui, Rambo faceva ridere.
Alla mattina, dopo aver passato la notte come guardia smontante con il
"FAL" o con MG, si andava in comprensorio a farci quattro orette di
sbalzi, tra corse e passi di leopardo, in mezzo alle pozzanghere. Le
tute mimetiche non riuscivano mai ad asciugarsi da un giorno all’altro;
gli anfibi sembravano di legno procurando belle vesciche ai piedi; tutti
i pomeriggi facevamo il percorso di guerra e ritornavamo in armeria per
la pulizia armi. Questa era l'ordinaria amministrazione.
Poi c'erano le pattuglie, l’orientamento notturno e il poligono di tiro
alle foci del fiume Reno e tutte le tematiche legate all'addestramento
dell'incarico: tecniche da sbarco sulle spiagge dai mezzi AAV-7 e MTM
217”.
Un’esperienza più che formativa! Chissà quanti giovani oggi ambirebbero
a tale percorso?
Martinelli continua a raccontare:
“Le
guardie in caserma erano molto frequenti. A noi spettavano le smontanti,
cosi avevamo tutto il giorno per svolgere le attività militari, dopo
aver dormito poco o niente, mentre le zanzare bucavano perfino le
mimetiche nuove. Non ci facevamo mancare niente.
Questo mondo mi piaceva molto: amavo fare le pattuglie notturne ed
esercitarmi per aumentare la precisione nel tiro; odiavo fare la
guardia in polveriera, perché il turno poteva durare anche 21 giorni nei
quali stavamo segregati senza libera uscita. Io avevo una fidanzatina
che, mentre ero di guardia in caserma, andava in discoteca. Non
esistevano i cellulari e per telefonare nell'unica cabina telefonica a
gettone dovevi sciropparti qualche ora di coda. E’ stato un periodo
molto duro.
Finalmente, dopo 10 mesi di corsi e addestramenti, approdai a S. Andrea.
Ero abituato alla massima disciplina e all'ordine: a Malcontenta regnava
ordine e pulizia, ma quando approdai nell'isola non riuscivo a capire se
mi trovavo all'isola di Wight o in una scena di “Apocalypse now”: dopo
le 17.00 quando il Capitano usciva dalla base, capitava di tutto.
Alcuni scappavano attraverso l’isola delle Vignole per arrivare a
Venezia, per poi ritornare al mattino, prima dell'alzabandiera; le docce
spesso non funzionavano. Per quanti sforzi il capitano Paternò facesse,
i mezzi a sua disposizione erano pochi, ma cercava in tutti i modi di
migliorare la base, rispetto a come gli era stata consegnata; tutte le
notti i “nonni” facevano volare "gavettoni" sulle reclute. In inverno,
il riscaldamento a volte non funzionava; il cibo era scarso. Per mesi ho
mangiato mele, gallette e salame che mi portavo da casa. Un'altra storia
era quando si andava a presidiare l'isola del Lazzaretto Novo.
Questa importante isola, una volta, al tempo della Repubblica della
Serenissima era il posto dove venivano ospitati in quarantena coloro che
arrivavano con le galee da Paesi del Medio Oriente, dove c'erano focolai
di malattie infettive come la peste.
Il cambio di guardia, qui, era di una settimana: in quattro
dovevamo presidiare l'isola e non c'era molto da fare di giorno, a volte
si andava a vongole scalzi nel fango. E qualche sera si traghettava con
una zattera a remi e si attraccava all'isola di Sant'Erasmo dove c'era
la "baracca", un’osteria gestita dalla famiglia Zanella. Lì
trovavamo dei buonissimi "cicchetti" e a volte delle bottiglie di "Dorona", un
vino bianco ottimo con il pesce.
Un giorno, per una strana coincidenza, proprio lì nel fango, mi tagliai
un piede fino ai tendini; fui trasportato d'urgenza all'ospedale S. Anna
di Castello. cosi mi ritrovai a fine “naja” con altri 15 gg. di C.P.R
(camera di punizione di rigore)”.
Comprendiamo che la mole di ricordi che si accavallano nella mente e nel
cuore del Maestro lo inducono a descrivere nei minimi termini tutto
quanto è accaduto e che lo ha reso forte e determinato.
L’esperienza militare è certamente formativa, Martinelli ne è un chiaro
esempio. Lo ascoltiamo con curiosità, la sua narrazione è fluida, forse
non sintetica, ma è così interessante che ne vogliamo conoscere tutti i
risvolti.
“La
cosa che a me interessava di più era insegnare Karate agli ufficiali.
Questo incarico era il mio orgoglio, anche perché, fra i miei allievi,
avevo il tenente Maurizio Busetto, recentemente congedato con il grado
di generale e il caporale maggiore Alberto Mantovani che si congedò con
il grado di luogotenente dopo aver comandato e migliorato il plotone “Exploratori
Anfibi”; toccava a me allora metterli alla frusta e li ho fatti soffrire
un bel po’… ( ma a fin di bene). .
Sono passati ben 32 anni, quando ho ricevuto un invito da parte del
generale Luigi Chiapperini, che comandava nel 2007 il Reggimento
Lagunari Serenissima, di ritornare ad addestrare i Lagunari al “close
combat’’. Ho provato una gioia immensa ed ho sentito la responsabilità
di poter ritornare a istruire i miei "fratelli".
Dopo tutto questo tempo, ho trovato molti cambiamenti: i Lagunari non
erano più di leva, ma tutti volontari professionisti; ogni anno, un
contingente viene distaccato in missione all'estero, con molte
probabilità di attacchi e di scontri a fuoco. Ed io non ero più il
karateka 1° Dan, di 20 anni.
In questi decenni, mi sono addestrato con i migliori maestri e
istruttori dei migliori corpi speciali, mi sono specializzato nel
combattimento di coltello, sia della scuola italiana e sia nel Kali
Eskrima, conseguendo anche (a Roma presso la sede del C.O.N.I Libertas -
Servizi Scuola dello Sport) il diploma di Docente Formatore Nazionale di
difesa personale per le F.F.A.A e F.F.O.O.
Questa volta è un'altra storia!”.
L’incarico assunto da Martinelli fu preso con grande impegno e serietà.
Conoscendolo, non ce ne stupiamo affatto.
Talmente seriamente che, prima di insegnare ai Lagunari le tecniche di
combattimento di coltello e i disarmi di coltello, li provava e li
riprovava con i suoi istruttori, con coltelli affilati, come è ora
abituato a fare ad ogni dimostrazione del suo sistema S.G.S.
Extrema Ratio (di
cui ci dovrà raccontare ancora).
“Numerose
volte ho dovuto recarmi al pronto soccorso per suturare le ferite alle
mani dovute ai tagli che mi procuravo nel cercare di disarmare i miei
istruttori.
Alcuni penseranno che affrontare da disarmati un avversario armato di
coltello, sia avventato.
Qui il discorso si fa molto serio: per principio non lo si deve
affrontare, se disarmati, perchè l'avversario sarebbe troppo
avvantaggiato.
Se possibile, occorre usare oggetti occasionali, come sedie, bastoni,
cinture, sciarpe, ecc.. Poi, occorre essere addestrati e
psicologicamente preparati ad affrontare una situazione cosi pericolosa.
Se poi ci si trova con le spalle al muro, senza via di scampo, allora
occorre giocarsi il tutto per tutto a mani nude: a me è capitato anche
questo.
Volevo che le tecniche che insegnavo ai Lagunari fossero le migliori e
le più sicure; per questo le testavo su di me. Non c’è niente di peggio
che insegnare tecniche sbagliate che, poi, con i “coltelli veri’’ non
funzionano. Infatti, sono pochissimi i maestri che provano ad allenarsi
con le lame affilate: non hai una seconda chance, il coltello non
permette sbagli e se sbagli ti puoi ferire gravemente”.
Per tre anni Martinelli
ha addestrato al “close combat’’ i Lagunari,
anni in cui il Maestro ha conosciuto ed apprezzato le qualità
organizzative e lo "spirito di corpo" del generale Chiapperini: “Una
persona verso cui nutro una grandissima stima e ammirazione, ma non è
l'unico: ci sono molti ufficiali e sottufficiali con cui stringo una
forte e sincera amicizia. Fra questi cito il nome dell’amico Gianfranco,
attuale comandante del plotone esploratori, che si prodiga con la
massima serietà e smisurata dedizione e professionalità.
I Lagunari da me addestrati, hanno dato avvio all'operazione “strade
sicure"; imparando ad utilizzare, in particolare, lo sfollagente in
dotazione. Cosa che poi è stata imitata in molte città italiane, con mia
grande soddisfazione”.
Ad un certo punto, il nostro ardito interlocutore ha pensato che la
vecchia baionetta che i Lagunari portano allacciata alla gamba, avrebbe
potuto essere sostituita da un coltello più performante.
“Dopo
le prime lezioni, mi resi conto che quello che insegnavo per i civili,
non avrebbe funzionato per i militari in genere.
Ho pensato che nel combattimento con il coltello, l’avversario che si
sarebbe trovato di fronte era un militare come lui, quindi ben protetto
da elmetto, cinturone e combat jacket e magari con il g.a.p.; quindi con
pochissimi punti disponibili per neutralizzarlo.
Ho così ridotto le tecniche di taglio, data la protezione dovuta
all’abbigliamento, preferendo aumentare i colpi di punta.
Per mesi ho codificato un sintetico programma di parata e contraccolpo,
che mirasse ai punti vitali, per poter eliminare l’avversario in una
manciata di secondi.
Questo programma specifico , studiato per il plotone recon, teneva in
considerazione, oltre ai punti di attacco, anche la necessità di una
esecuzione semplice e veloce. In una situazione reale, va tenuto
presente che le maggiori difficoltà sono: riuscire a non farsi
sopraffare dal panico e controllare i processi motori per arrivare
all’obiettivo”.
Così è nata l’idea di progettare un nuovo coltello, proprio per il
reggimento Lagunari.
Ma, prima di passare all’argomento “coltelli’’, vorremmo saper qualcosa
sulla sua passione per i fondali marini.
Anche sott’acqua lei si trova a suo agio! Cosa cerca nell’emozione
subacquea?
“Nel
gennaio 2011, finalmente, è arrivato il momento di iniziare il corso di
sub, sogno che da tempo volevo realizzare.
In quegli anni, pubblicavo articoli per la rivista militare "Raid" che
mi concedeva degli spazi per attività specifiche che si svolgevano a
Venezia e in mare; anche la Rivista “Lagunamare’’ ospitò un mio articolo
sulle tecniche di elisoccorso in mare.
Fu così che mi trovai a frequentare il reparto dei sommozzatori della
Polizia di Stato di Venezia, all’interno del quale ho stretto forti
amicizie, rendendomi conto, nello svolgimento di queste operazioni, di
quale sia lo spessore di esperienza e professionalità.
Rimasi talmente affascinato e colpito che decisi di frequentare il corso
“Open Water Diving’’, sotto la direzione tecnica del Master Diving, Luca
Gagliardi. Alla sua professionalità e pazienza devo la riuscita nel
conseguimento del Brevetto, a Kostrena in Croazia, il 25 luglio del
2011.
Questa esperienza è stata molto appagante e affascinante, tanto che
cominciai preferibilmente a fare immersioni nelle acque della Croazia,
più limpide di quelle di Venezia.
In seguito, mi iscrissi al centro diving del Lido di Venezia "Freetime",
dove ho conosciuto Andrea Pianon e Alessandra Grazioli, due master
diving eccellenti con cui feci corsi di perfezionamento e
specializzazione e corso WREK, per poter fare immersioni all'interno dei
relitti di navi che numerosi popolano i fondali del golfo di Venezia”.
Parliamo ora della sua grande passione, che poi pare sia diventato
lavoro: la creazione di lame e di coltelli particolari.
“Nel
periodo in cui addestravo i Lagunari, frequentavo anche, insieme
all'amico maestro di arti marziali Marco Bellani , il corso istruttori
con il Grand Master Bram Frank caposcuola del CSSD/SC, chiamato in
Israele il "padre delle lame". A lui chiesi consigli per realizzare la
lama del coltello che stavamo ideando e che avremmo poi chiamato " san
marco" (il nostro acronimo di Sandro e Marco).
Scegliemmo una ditta di Maniago per mettere in produzione la prima serie
di 100 pezzi; fu un successo. L'acciaio scelto, l' RWL 34, è il top
degli acciai inossidabili.
Il test sul prototipo del “san marco”, lo abbiamo effettuato insieme al
mio Master Diving, Andrea Pianon, palombaro professionista con brevetto
militare di Rastrellatore BCM SUB (bonifica da ordigni), al Lido di
Venezia. Il rivestimento e la protezione per la ruggine si dimostrarono
perfetti: non emerse alcun segno di usura.
Per avere una ulteriore prova, coinvolsi gli amici Ernesto e Luca del
gruppo sommozzatori della Polizia di stato di Venezia, che, in via
confidenziale, hanno anch’essi testato il “san marco”.
Le loro considerazioni mi hanno convinto che avevo progettato il
coltello giusto per i Lagunari.
Oggi posso dire che il “san marco” è stato un coltello molto apprezzato,
come si può evincere anche dalle riviste del settore.
Nel 2007 ho avuto la fortuna e il piacere di stringere amicizia con
Francesco Finzi, luogotenente dei Lagunari comandante del plotone
exploratori.
Francesco sarebbe diventato il mio insegnante di sopravvivenza
operativa.
Era un soldato preparatissimo e molto determinato, la sua professione
era lo scopo della sua vita. Con lui intrapresi il primo corso basico di
survival, insieme ad alcuni miei allievi e a mia moglie Gloria .
Il corso si svolse, dopo alcune lezioni teoriche preparatorie,
nell'altopiano di Asiago, ed è durato tre giorni.
Incominciò sotto la pioggia: dovevamo costruirci un rifugio con i rami
degli alberi e accendere il fuoco con la legna bagnata; avevamo pochi
viveri e dovevamo passare questi tre giorni accampati all'aperto.
Dopo questo stimolante corso, decisi di aderire alla sua richiesta di
fare con Francesco il corso per istruttore di sopravvivenza operativa.
Con altri due amici superai l'esame tenuto dall'istruttore della CSEN,
Valter Paradiso, un ex Lagunare con grande esperienza, vero
professionista del settore.
Francesco era il degno erede dell’ex luogotenente Alberto Mantovani.
Devo a lui tutta la mia conoscenza per quanto riguarda le tecniche di
sopravvivenza, tiro con l’arco, kayak.
A partire da questa affascinante esperienza, dopo aver formato tre suoi
istruttori, chiese a me e ad altri due di portare avanti la sua scuola
che volle chiamare “Scuola
italiana sopravvivenza 107”.
Francesco sapeva che gli restava ancora un mese di vita; ce lo disse una
sera a cena. Massimiliano, Mirco ed io non credevamo che un uomo come
lui, che aveva un Palmarés come il suo, di svariate missioni all'estero,
in teatri di guerra, paracadutista subacqueo esperto, con la pelle da
coccodrillo, potesse morire.
Fino all'ultimo giorno addestrò i suoi explo. Nella sua ultima
immersione subacquea, nel mese di ottobre, con un tempo da lupi, rimase
fino al termine accanto ai suoi "ragazzi".
Nel giorno del suo funerale, il 2 novembre del 2012, volli dedicare a
lui, degno erede dei " Fanti da mar", un proverbio giapponese che dice
cosi:
"hana wa sakuragi, hito wa bushi" tra i fiori il ciliegio, tra gli
uomini il guerriero, il miglior fiore il ciliegio, il miglior uomo il
samurai.
Dopo la sua scomparsa, progettai un mio nuovo coltello da combattimento
militare e lo chiamai “Doge107” in sua memoria perché il suo nickname
era "Doge” e 107 il numero dell'incarico di Exploratore”.
Circa un anno fa, un'importante ditta leader produttrice di attrezzature
subacquee per le forze militari, dopo aver letto un articolo di
Francesco Bergamo relativo al coltello del maestro Martinelli, “Doge
107 tre secondi per morire”,
gli chiese di progettare un coltello da combattimento subacqueo per un
reparto di incursori subacquei russi.
Maestro, ci racconta come nacque il progetto?.
“Dopo
mesi di studio e ricerca per un acciaio inossidabile, un giorno,
immaginandolo alle prime luci dell’alba, disegno il mio ultimo coltello
e di getto disegno la lama.
Commissiono un prototipo in un acciaio inossidabile, scelgo il
Nitro-B, un acciaio con ottime caratteristiche per il taglio e i colpi
di punta e una durezza di 58- 59 HRC.
La forma della punta permette di portare le puntate con il polso nella
migliore posizione ergonomica, in modo da esprimere il massimo della
spinta su una punta molto acuminata. La leggera curvatura della lama
permette di aumentare la superficie di contatto con i polsi e la gola e
una migliore efficacia per i colpi di taglio.
A questo punto, occorre solo testarlo.
Confido nel mio Master Diving, Andrea Pianon con cui ho testato tutti i
miei coltelli subacquei (compreso il Rori, un tool per i Master Diving).
La lama molto particolare contribuisce a riscontrare l’interesse della
ditta, con la quale tuttavia non abbiamo trovato un accordo per la messa
in produzione. Alla fine però, visti i pareri entusiasti degli addetti
ai lavori, mi sono deciso di farlo produrre da un abile maestro
coltellinaio.
Ho quindi commissionato una mini serie custom di soli 10 pezzi numerati
da 1/10.
Questo mio ultimo coltello si chiama “Leon”.
Ed è un piacere per me far conoscere il mio "Leon" attraverso Cybernaua”.
Le fasi attraverso cui Martinelli è passato per giungere all’ultima
creazione, il suo neonato “Leon”, raccontano una storia di progetti, di
studi, di prove insieme ai suoi amici fidati, di entusiasmi tradotti in
disegni e poi in oggetti taglienti dall’aspetto affascinante… e di prove
della lama anche in modalità subacquea, come osserviamo nel breve Video
//www.cybernaua.it/video/video.php?idvideo=214
“Nello
studio dei miei coltelli, mi sono sempre avvalso, tra gli altri, del
giudizio e delle considerazioni di una mia amica medico legale, che mi
aiuta ad approfondire la mia conoscenza dell’anatomia del corpo umano,
nonché dei suggerimenti del reparto sub della Polizia. Solo dopo aver
ascoltato tutti i loro severi pareri, ho messo in produzione i miei
coltelli”.
Ma quanti e quali sono i coltelli e quali storie raccontano?
“In
ordine cronologico, il primo coltello è stato il “san marco”, a cui ho
già fatto cenno.
Progettato da me in collaborazione con il M° Marco Bellani, per poter
offrire un migliore coltello da combattimento militare per il reggimento
Lagunari Serenissima, nel periodo in cui addestravo i militari al “close
combat”.
Come tutti i miei coltelli da combattimento militari, anche il “san
marco” è stato progettato per assolvere al meglio gli impieghi: in
primis deve essere performante per la scherma, poi adatto per la
sopravvivenza ed avere una ottima resistenza all'ossidazione
nell'impiego subacqueo.
Eseguo personalmente le prove dei miei coltelli, così da poterli
modificare in “corso d'opera” .
Il “san marco” è stato collaudato con prove pesanti sull'altipiano di
Asiago, a costruire rifugi con i rami degli alberi, per tagliare la
legna per il fuoco, senza risparmio, per poi cercare di riaffilarlo con
l'ausilio di qualche pietra bagnata, scavare buche per verificare anche
la resistenza del rivestimento “Black Idroglider; ma il test più
insidioso è stato l'impiego subacqueo. Per questo coltello, il test è
durato tre mesi da parte di un ufficiale militare, durante lo
svolgimento per il conseguimento del suo brevetto di
abiltazione al respiratore Aro-Ara,
presso il Comsubin di Varignano.
Alla fine, dopo mesi di prove e verifiche, mi sono convinto dell’ottima
resistenza dell'acciaio RWL 34 e del rivestimento: avevano superato
brillantemente l'uso massacrante”.
Nell’anno 2011, dopo il primo coltello performante per i Lagunari e dopo
aver conseguito il suo primo brevetto subacqueo, si rende conto che ai
subacquei sarebbe utile una strumentazione per eventuali emergenze da
poter agganciare al gav (giubbotto ad assetto variabile).
Martinelli non ha dubbi e incomincia a chieder informazioni…
“Chiedo
suggerimenti al mio mentore Pianon, al reparto dei sommozzatori della
Polizia di Stato di Venezia, al 1° Dirigente e istruttrice subacquea
Luisa Cavallo e anche al dottor Pierricardo Piovesana, che allora
svolgeva l'incarico di vice Questore vicario di Venezia. Alla fine di
questa ricerca e test, è nato il “Rori”, che ha avuto il parere positivo
da parte di Oreste Frati, fondatore della coltelleria Fox di Maniago”.
Ricordiamo che nel 2018 Martinelli creò il “Doge
107”,
dalla linea molto “pulita” ed essenziale, di cui ha raccontato prima.
Ed arriviamo al 2019, l’anno in cui Martinelli “sogna alle prime luci
dell’alba’’ la lama venexiana, creando in poco tempo il suo “Leon”.
Leon, la lama venexiana” rappresenta
una sintesi e un perfezionamento della lama, sicuramente particolare.
Come si può vedere dalle foto al centro del mio logo c'è il leone di San
Marco che impugna una daga. Le foto che pubblichiamo, sono state
scattate da Stefano De Grandis.
Come si interpreta l’uso del coltello? Quale storia, quale linguaggio
del coltello dobbiamo apprendere? I Veneziani erano maestri nell'arte
della scherma, vi è qualche legame con l’uso del coltello?
“Per
anni, presso vari musei e istituti, ho collaborato alla ricerca di
disegni e di manoscritti, oltre che di quadri delle battaglie avvenute
nei secoli passati, per l'amico professor Antonio Merendoni e la
pubblicazione del suo libro sulla “ Scrimia Venexiana” che rievoca la
storia delle tecniche e delle armi bianche usate dai reparti dei soldati
delle Repubblica Serenissima.
Nel libro si parla di tanti argomenti collegati a quel periodo storico
pieno di conflitti militari, delle varie armi bianche in dotazione in
base al rango, del loro uso, delle diverse divise, dei vari luoghi e
maestri, che producevano spade conosciute e apprezzate anche fuori
dall'Europa, come Andrea Ferara.
Al professor Merendoni dobbiamo riconoscere la ricostruzione di questo
difficile argomento, per trattare il quale abbiamo dovuto ricorrere per
la traduzione dei testi scritti in veneziano antico al supporto del
professor Francesco Chiaro.
Con i testi tradotti in italiano, Merendoni ha potuto comprenderne
appieno il significato, riuscendo a preservare e a salvare questa
“scherma” in cui i Veneziani erano abilissimi, la cui storia sarebbe
stata inesorabilmente perduta: possiamo definire il libro come un
trattato storico veneziano.
Per tutti gli appassionati e studiosi di scherma e di armi bianche,
questa è una pubblicazione da non perdere per ampliare la propria
conoscenza: Venezia con i suoi “ Fanti da mar” ha combattuto per secoli
per terra e per mare, fino all'apoteosi della battaglia di Lepanto, del
1571, riconosciuta come la battaglia navale per antonomasia.
In questa battaglia, i Veneziani hanno dato sfoggio delle loro grandi
capacità di combattenti, sia come ardimento sia come tecnica e armamento”.
Grazie Maestro Martinelli, la sua vita spesa tra lame e combattimenti ci
ha affascinato. Un percorso interessante ed entusiasmante che lei ha
saputo narrare con il cuore.
A lei la chiusura del racconto:
“Quest’anno
festeggio 50 anni di percorso marziale, costellato da esperienze
entusiasmanti, ma anche molto dure, con tanti sacrifichi, interventi
chirurgici e cicatrici; ma ho imparato a saper stringere i denti; e ogni
volta che sono caduto, mi sono sempre rialzato più forte di prima”.
per approfondimenti:
//sgsextremaratio.it/
e-mail:
sandromartinelli.ve@gmail.com
Per gentile concessione Sandro Martinelli via
Cybernaua.it