“INVESTIRE IN MARITTIMITÀ - LA STRATEGIA NAVALE NAZIONALE”
Conferenza del Capo di Stato Maggiore della Marina Militare
Ammiraglio di Squadra
Paolo LA ROSA
Roma, 27 giugno 2006
Ringrazio il Presidente dell’Istituto di Studi, Ricerche e di Informazioni sulla Difesa, Onorevole Giuseppe Cossiga per l’opportunità di presentare la mia visione sul ruolo che la componente marittima della Difesa potrà, e dovrà, avere nei prevedibili futuri scenari internazionali, con particolare riferimento alla nostra realtà nazionale e regionale, quella che noi definiamo “Mediterraneo allargato”, ossia il Mediterraneo propriamente detto, con i suoi approcci marittimi, esteso fino al Mar Nero, al Golfo Persico ed al Mare Arabico.
E’ mia intenzione articolare l’esposizione in tre momenti concettuali:
L’Italia, paese a vocazione marittima, protesa nel Mediterraneo e confrontata al mutevole contesto geostrategico, conseguente al crollo del sistema bipolare prima ed allo scoppio del terrorismo internazionale poi, ha visto la propria Marina adeguarsi rapidamente ai tempi, se non addirittura anticiparli.
L’aggiornata visione della Forza Armata e del proprio ruolo nell’ambito della “maritime security” porta ad esprimere le linee guida dell’attuale strategia. Compito non facile, specie se se ne vuole cogliere la prospettiva dinamica, come sollecita a fare l’evoluzione della situazione di contorno con il suo carico di incognite e preoccupazioni.
Il contesto geostrategico resta caratterizzato dalle crisi determinate da molteplici fattori di carattere politico, sociale, economico, demografico, etnico e religioso. In questo scenario, il terrorismo internazionale contribuisce ad accelerare i processi e ad aumentare i rischi di conflittualità ed instabilità, mentre entrano in crisi le categorie di pensiero che presiedevano alla tradizionale logica binaria della geopolitica: pace/guerra, guerra/terrorismo, amico/nemico, militare/civile, ecc..
La globalizzazione esaspera, peraltro, i fattori destabilizzanti ed enfatizza l’interazione tra le diverse sfere interessate, mentre appare chiaro che non si può più parlare di compartimentazioni separate della sicurezza: infatti, le sue espressioni non sono più tra loro subordinate ma complementari. La risposta militare è quindi solo una delle possibili, pur se importante per conferire alle altre concretezza e credibilità. Inoltre, l’immanenza di una minaccia difficilmente prevedibile ed identificabile mette in luce la vulnerabilità dei preesistenti assetti di difesa, incentrati su alleanze militari contrapposte. Conseguentemente, i singoli Stati e le alleanze operano una profonda revisione del loro concetto di sicurezza, della pianificazione militare, nonché degli strumenti operativi loro necessari.
Si afferma, così, l’idea di un sistema di difesa dinamico, fondato sul principio della sicurezza collettiva, di una reazione globale e strutturata, multinazionale e multipolare, con tutte le risorse disponibili e tutti gli strumenti utili.
Il punto di riferimento centrale di questi processi restano le Nazioni Unite, la cui Carta, insieme al fine universale della salvaguardia della pace, prevede il mantenimento della sicurezza internazionale, non escluso il ricorso alla forza. La stessa strategia dell’ONU reclama una maggiore incisività ed efficacia che superi divisioni interne e logiche obsolete.
In questo quadro, la NATO e l’Unione Europea ricercano, con coraggio e realismo, le giuste risposte ai nuovi scenari. In particolare, l’Alleanza Atlantica attua un profondo processo di riforme e si rafforza, non solo militarmente, ma anche politicamente con l’allargamento a 26 membri. Per gli aspetti di carattere militare, si adegua al mutato contesto strategico, con impegni concreti e secondo un calendario ben definito, superando il precedente assetto fondato sul contrasto e sul contenimento delle divisioni del Patto di Varsavia.
La trasformazione dell’Alleanza, oltre che riguardare il potenziamento delle sue capacità, investe anche le strutture di comando e le forze, secondo un processo che mira a privilegiare sempre più la proiettabilità in qualsiasi area d’interesse. La "NATO Response Force" ne è il segnale più evidente.
Dal canto proprio, l’Unione Europea sviluppa una propria politica estera, di sicurezza e di difesa comune, in trasparente e stretto raccordo con l’Alleanza, per divenire protagonista sempre più partecipe ed efficace negli scenari internazionali di sicurezza, in un rapporto più equo e bilanciato di responsabilità e doveri tra Europa e Stati Uniti. La costruzione della Difesa Europea, saldamente raccordata con il legame transatlantico, “separabile ma non separata” dall’Alleanza, rappresenta un fattore trainante e determinante del percorso di maturazione della visione di una Europa politicamente integrata, anche se non é un processo né breve né semplice.
Il potenziamento del rapporto strategico tra UE e NATO, secondo un modello che persegue gli interessi di entrambe le organizzazioni e la più organica utilizzazione da parte europea dei mezzi alleati, evita costose duplicazioni e costituisce un decisivo passo sulla strada di una difesa europea dotata di più elevate capacità militari.
In generale, alla comune volontà europea di assumere impegni sempre più concreti ed importanti, nella direzione di una logica unitaria, fa riscontro, in generale, un’organizzazione basata su capacità militari delle singole nazioni non ancora omogenea e congrua e l’esigenza di contenere i bilanci destinati agli strumenti militari.
L’Unione sta pertanto sforzandosi di pervenire, di qui al 2010, ad un adattamento delle proprie capacità militari, raccordandole più efficacemente con quelle politiche, economiche, di aiuto allo sviluppo, nonché di cooperazione giudiziaria e di polizia. L’aspetto caratterizzante di tale adattamento è costituito dalla possibilità dell’Unione di proiettare forze per la gestione di crisi ed in tale contesto assume un ruolo decisivo la costituzione di specifici gruppi tattici.
Anche in Italia matura una rinnovata percezione della sicurezza. La politica di difesa perde in buona misura la sua dimensione territoriale e statica legata alle aree metropolitane, per assumerne una più ampia, legata alle responsabilità per la prioritaria esigenza di difesa dello Stato e degli interessi nazionali e per quelle proprie di “produzione di sicurezza”.
Ne deriva un nuovo approccio all’impiego delle Forze Armate, in contesti prevalentemente multinazionali e con un sempre più stretto coordinamento non solo tra esse, ma anche con le diverse istituzioni nazionali e internazionali, con l’obiettivo di assicurare a qualunque intervento militare le dovute garanzie di legittimità e di contribuire al mantenimento degli impegni internazionali.
Conseguentemente, la Marina é chiamata a fornire il proprio contributo al perseguimento delle finalità della componente militare nel suo complesso, quale strumento della “politica di sicurezza” e della “politica estera” del Paese.
Tale ruolo, per la Marina, si integra con la consapevolezza che le attività che si svolgono in mare mantengono un valore strategico e vitale per lo sviluppo delle singole nazioni e della comunità internazionale nel suo complesso.
Il mare rappresenta da sempre un ambiente naturale di comunicazione e collegamento tra popoli, civiltà e culture differenti. Lo è anche oggi, in una società che, pur caratterizzata dalla globalizzazione tecnologica e telematica, affida il proprio benessere ad attività economiche che si svolgono per la maggior parte attraverso traffici e relazioni di interscambio marittimi. Come conferma l’evidenza dei numeri, si muove via mare oltre l’80% del commercio mondiale e viene trasportato in container circa metà del valore complessivo ed il 90 % della quantità dei carichi generici.
L’importanza delle vie di comunicazione marittima per l’economia globale e quindi per lo sviluppo della comunità internazionale è di crescente intensità e resterà tale anche in futuro, perché il contenuto umano delle relazioni manterrà la sua preminenza ed il mare conserverà la sua fondamentale funzione di spazio privilegiato di connessione, di “continuum strategico”.
E’ in questo quadro che convergono sulla Marina esigenze vitali di sicurezza e di difesa nazionale e due sono le funzioni di valore strategico che la Forza Armata può essere chiamata ad assolvere per soddisfare tali esigenze:
- una, di prevenzione, di difesa avanzata e di sorveglianza degli spazi marittimi e delle linee di comunicazione di interesse nazionale (la cosiddetta “Homeland Security” );
l’altra, di proiezione di capacità operative, influenzando dal mare la stabilità e la sicurezza su terra, anche in profondità ed in aree lontane dai confini. Area prioritaria di impiego è rappresentata dal bacino del “Mediterraneo allargato”, senza tuttavia tralasciare la possibilità di intervenire anche su scala globale, se così richiesto alla Forza Armata.
Alla luce dello scenario di riferimento, le innovative strategie dello strumento operativo della Marina dovranno necessariamente essere sviluppate su un duplice livello:
uno nazionale, di adeguamento dello strumento militare e dell’intero “Sistema-paese” alla nuova realtà geostrategica, con schemi interdisciplinari che, superando i tradizionali ambiti di competenza, permettano sia il conseguimento di una capacità integrata di sorveglianza degli spazi marittimi sia, dal punto di vista militare, il raggiungimento di una sempre più efficace integrazione interforze, con uno strumento concepito, organizzato ed impiegato come sistema unitario e versatile, integrato al proprio interno ed aperto all’integrazione verso l’esterno, in cui l’unicità di comando deve portare, attraverso un responsabile regime di delega, ad un sistema dinamico e reattivo;
l’altro internazionale, alla ricerca di una sempre maggiore cooperazione militare che impieghi e potenzi il cospicuo e prezioso bagaglio di esperienze maturato dalla NATO, secondo logiche di massima sinergia con la UE, nonché capitalizzi gli sforzi finora fatti e accresca le prospettive di collaborazione con tutti gli attori aventi titolo nel più ampio panorama di interesse.
Tra i due concetti operativi discendenti dal quadro di funzioni da assolvere sui vari livelli strategici appena descritti, desidero porre particolare evidenza sul concetto di sorveglianza integrata degli spazi marittimi.
Tale concetto mira ad assicurare una adeguata presenza e sorveglianza delle aree di interesse strategico, in concorso, per le zone marittime limitrofe al territorio nazionale, con le altre amministrazioni dello Stato competenti (cooperazione inter-agenzia) e, per l’alto mare, con tutte le Marine interessate alla sicurezza marittima. Trovano qui applicazione il tradizionale ruolo di polizia dell’alto mare delle forze navali (constabulary role) e, sul piano internazionale, l’impegno della Marina a sostenere iniziative di tipo bi/multilaterale, nonché a promuovere nuove forme di cooperazione nel “Mediterraneo allargato” finalizzate alla crescita della conoscenza reciproca.
La componente militare marittima, proprio per le sue specifiche attitudini, è chiamata ad un ruolo attivo nel concorso alle misure preventive per realizzare condizioni di stabilità nell’area mediterranea:
incrementando le sinergie con gli altri dicasteri competenti;
sviluppando le capacità di rilevare gli elementi premonitori di una degenerazione nella stabilità dell’area mediante un accresciuto ed efficace scambio di informazioni ed una valorizzazione tempestiva dei dati raccolti;
promuovendo la realizzazione di un sempre più esteso ed integrato sistema di monitoraggio del traffico marittimo, premessa indispensabile per una efficace azione preventiva.
In tal senso, deve essere chiaramente sottolineato come la conquista di obiettivi militari non è l’unica sfida che una strategia di sicurezza marittima deve, oggi, affrontare per essere vincente. L’acquisizione di un sufficiente grado di sicurezza sui mari è difatti subordinato al grado di interdisciplinarietà e correlazione dell’impegno generale. Vi è la necessità di definire ed attuare una linea d’azione comune, rafforzando la cooperazione sia interna che internazionale, in modo da sviluppare in maniera armonica ed integrata l’intera gamma delle risposte possibili.
Quale attuale e significativo esempio della cooperazione internazionale merita menzione l’impegno di nostre unità navali nel Mar Arabico e nel Golfo Persico che permette, fra l’altro, di consolidare le buone relazioni con numerosi paesi rivieraschi dell’area – in particolare con gli E.A.U. e l’Oman – nonché di sviluppare contatti con altri Paesi, tra cui l’India, di particolare rilievo per le sue grandi prospettive di crescita. Nel Corno d’Africa, sebbene i Paesi dell’area siano caratterizzati quasi tutti da una situazione interna ancora instabile (Somalia e Sudan), ovvero in via di normalizzazione (Eritrea, Etiopia e Yemen), consideriamo, oltre al potenziale di crescita, la rilevante posizione strategica occupata da Gibuti, per il supporto logistico alle nostre unità operanti nel golfo di Aden e Mar Rosso meridionale o in transito verso l’area del Golfo.
Il secondo concetto, dopo quello appena descritto di sorveglianza integrata, è rappresentato dalla proiezione di capacità sul mare e dal mare. Non nuovo nella sua enunciazione e sviluppato come evoluzione del tradizionale “braccio lungo” delle forze marittime, esso trova tradizionale applicazione nella Marina, con le esperienze derivate dalle molteplici missioni multinazionali e per le intrinseche capacità operative della Forza Armata. In aggiunta, questo concetto realizza il più aggiornato requisito expeditionary dello strumento militare complessivo, ossia la capacità di effettuare “dal mare” interventi di diversa natura ed intensità su terra, consolidando quella che è probabilmente da considerare la funzione abilitante per eccellenza della Marina in un contesto interforze: la capacità di proiezione di forze organiche logisticamente indipendenti, che possono dinamicamente contrastare minacce, prevenire crisi, ripristinare o mantenere la pace, ma anche prestare soccorso ovunque a popolazioni colpite da qualsivoglia calamità.
Proprio in chiave interforze si registra un progressivo processo di integrazione addestrativa e operativa dei Reggimenti “San Marco” della Marina e Lagunari “Serenissima” dell’Esercito, in atto presso il comando della “Forza da sbarco” della Marina. Elemento cardine del dispositivo, quando implementato, sarà una Brigata in grado di svolgere l’insieme delle operazioni previste per le forze anfibie e di sviluppare nel tempo la capacità di penetrare anche in profondità. Tale forza da sbarco potrà così rappresentare un fattore abilitante per l’inserimento di ulteriori assetti dal mare, secondo il concetto del seabasing, da sviluppare in un contesto interforze o multinazionale, che contempla l’opportunità di basare in mare le risorse necessarie a sostenere un’operazione fuori area, in modo da svincolarsi dal consenso e/o dal supporto di paesi terzi.
Ad ulteriore supporto di quanto finora detto, mi preme sottolineare che le forze della Marina sono regolarmente impiegate congiuntamente in operazioni interforze e multi-nazionali ed anche l’addestramento elementare nazionale viene condotto facendo ricorso alla comune dottrina, a concetti e procedure NATO, o di comune derivazione e quindi compatibili. Questo consente alle unità di integrarsi sempre, facilmente e velocemente, nell’ambito di formazioni multi-nazionali, senza dover mettere in conto lunghi e costosi procedimenti addestrativi specifici.
Questa caratteristica si rivela preziosa quando forze marittime nazionali vanno a costituire il nucleo di una forza destinata ad operare in ambito multinazionale con l’ impiego di pacchetti di capacità finalizzati e strutturati per soddisfare i requisiti di una specifica missione. Questo approccio dà a tutte le nazioni partecipanti la possibilità di offrire degli assetti, indipendentemente dall’appartenenza o meno ad alleanze od organizzazioni, rendendo disponibile, in tempi e con costi estremamente contenuti, una forza marittima multinazionale ed integrata.
Anche nel caso in cui la gestione delle crisi può essere condotta senza dover ricorrere alla forza, le capacità della componente marittima possono rivelarsi decisive, nello svolgimento e per un buon esito di operazioni non-militari. Spiccano fra queste le missioni di aiuto umanitario, dove gli assetti aero-navali sono in grado di offrire strutture ospedaliere per l’accoglienza di feriti, oppure le missioni in ruolo di polizia dell’alto mare e di soccorso.
Gli attributi chiave della componente navale sono un’auto-sufficienza tattica, l’indipendenza dal supporto di una host nation e la capacità di operare per lunghi periodi di tempo ad una notevole distanza dalla struttura logistica terrestre. Le unità di superficie sono in grado di dislocarsi in teatro, ritirarsi e ri-dislocarsi semplicemente esercitando il diritto di libera navigazione, fornendo dunque ai “decisori” un’ampia gamma di scelte d’impiego, senza la necessità di ricorrere ad un impegno decisivo e spesso irreversibile.
Per operazioni non-militari, la componente marittima può esprimere ulteriori capacità quali basi operative avanzate, strutture di comando e controllo, sorveglianza, protezione delle forze in teatro, trasporto marittimo, depositi di scorte, alloggi, ricovero profughi ed altro ancora. Essa può essere particolarmente utile per attività umanitarie, di soccorso ed evacuazione, soprattutto nel caso in cui sia interrotto l’accesso a strade, aeroporti o ad altri mezzi di trasporto. Basti ricordare come i primi aiuti alle popolazioni del Sud-Est asiatico colpite dallo tsunami, così come alla cittadinanza di New Orleans in seguito alle devastazioni dell’uragano “Katrina”, sono stati distribuiti da forze marittime intervenute tempestivamente nell’area.
Nel caso di operazioni militari, il medesimo strumento può efficacemente supportare le forze di combattimento impegnate in operazioni di crisis response, disponendo di un’ampia gamma di supporto di fuoco navale ed aereo, sorveglianza, protezione della forza e trasporto strategico. Tutte queste capacità possono essere fornite avvalendosi della libertà dei mari, senza dover dipendere da preventive autorizzazioni diplomatiche e vincoli di movimenti e posizionamenti sul territorio, senza dover oltrepassare confini nazionali ed evitando i rischi di force protection legati a strutture fisse di supporto terrestri.
Quale attività che supporta in modo trasversale entrambi i concetti operativi finora descritti desidero evidenziare il ruolo guida che la Marina, sulla base delle direttive ricevute dal Ministro della Difesa e di concerto con il Ministero degli Affari Esteri, svolge nell’ambito del rinnovamento e dell’addestramento di numerose Marine delle aree in cui opera, ponendo le basi, nel caso del Mediterraneo, per una significativa leadership regionale. In particolare, negli ultimi cinque anni, è stata avviata una serie di iniziative bilaterali con i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo per lo sviluppo e la condotta di attività addestrative congiunte. Queste esercitazioni hanno già ampiamente conseguito ritorno formativo per gli equipaggi partecipanti, con conseguenti riflessi positivi anche nelle relazioni più generali fra i paesi. Con l’intento di far crescere queste iniziative esclusive in un’ottica regionale, la Marina si è fatta promotrice, sotto l’egida del Ministro della Difesa, di ADRION, un progetto che coinvolge le Marine Militari dell’Adriatico e dello Ionio per lo sviluppo di attività di cooperazione comuni.
Inoltre, la Marina ha avuto un ruolo propulsivo della dimensione marittima dell’ “Iniziativa 5+5”, nata come progetto sub-regionale, complementare al Processo di Barcellona, tra i paesi del Mediterraneo centro-occidentale (Francia, Italia, Malta, Portogallo, Spagna + Algeria, Libia, Marocco, Mauritania e Tunisia).
Il valore aggiunto di queste iniziative è quello di richiamare ad importanti attività congiunte paesi con culture ed economie molto differenti, nonché con un diverso grado di interazione nei confronti dell’Unione Europea e della NATO, ma tutti accomunati dal desiderio di operare insieme per fornire un fattivo contributo alla sicurezza marittima del Mediterraneo.
Il momento d’aggregazione più significativo, che corona l’intera attività di cooperazione con le Marine del Mediterraneo e Mar Nero, è costituito dal Simposio Regionale che la Marina organizza a Venezia, ogni due anni a partire dal 1996.
La prossima edizione della manifestazione, in programma dal 10 al 13 ottobre, si svilupperà sulla disamina dei vari aspetti che concorrono alla sicurezza marittima, primi tra tutti il dialogo, la cooperazione e la sorveglianza. L’occasione sarà propizia per confrontarsi, non solo con i massimi esponenti delle Marine invitate, ma anche con rappresentanti dell’Unione Europea e di Comandi NATO. In tale contesto verranno presentati i risultati dell’iniziativa che forse più caratterizza l’impegno concreto e l’approccio innovativo della Marina: la costituzione del Virtual - Regional Maritime Traffic Centre (denominato V-RMTC).
Il progetto V-RMTC, presentato nel corso della 5^ Edizione del Simposio, ha ottenuto l’appoggio di buona parte delle Marine dell’area, ad esso hanno sinora aderito, a vario titolo, 26 Marine, delle quali 13 non facenti parte dell’Alleanza Atlantica. Il progetto conta già sulla partecipazione attiva di 16 centrali operative, con ampie prospettive di crescita nel medio termine. I suoi elementi costitutivi vincenti sono la grande flessibilità, la trasparenza ed equidistanza dalle esistenti realtà politico-militari della regione e l’elevatissimo rapporto costo-efficacia nel fornire un sistema di controllo del traffico mercantile dell’intera regione mediterranea.
La disponibilità di informazioni offerta da una architettura snella ed innovativa come quella del V-RMTC, oltre ad avere un ritorno sensibile sullo sviluppo della cooperazione multinazionale, è in grado di influire anche sull’economia generale dei mezzi e del personale che gli Organi dello Stato oggi sono chiamati a mettere in campo per la sorveglianza dei mari adiacenti, consentendone un impiego più oculato e mirato.
Con riferimento alla struttura preannunciata all’inizio del mio intervento, passo ora a delineare le caratteristiche che lo strumento marittimo dovrà avere per dare attuazione ai concetti di impiego della forza armata che ho appena descritto, nel contesto di riferimento esposto in apertura.
La componente marittima, nel contesto dello strumento militare, deve essere focalizzata non solo su una minaccia militare tradizionale, allo stato attuale poco probabile, ma soprattutto sugli “effetti” da conseguire in un contesto dinamico ed imprevedibile tipico di una minaccia a connotazione asimmetrica. Le operazioni mirate a debellare un nemico tradizionale lasciano così il posto ad attività orientate a ribaltare a nostro beneficio situazioni sfavorevoli o potenzialmente pericolose, in sinergia con organismi alleati sia militari che civili. Solo attraverso questo approccio innovativo è possibile anticipare, prevenire e contenere le future minacce. La ristrutturazione della componente aereo-navale nazionale si ispira a criteri di prontezza, flessibilità e proiettabilità, nonché di interoperabilità, in quanto necessariamente destinata a confrontarsi con Nazioni e Corpi diversi.
La capacità di generare forze immediatamente integrabili in operazioni multinazionali richiede di rimanere competitivi in ambito europeo e di non perdere il contatto con gli Stati Uniti, almeno in alcuni settori prioritari. Ciò impone scelte di lungo termine, essenziali per acquisire le caratteristiche necessarie a continuare a fare parte a pieno titolo ed in condizioni paritarie della struttura militare alleata. L’interoperabilità investe aspetti strategici, operativi e tattici che impongono di individuare, proprio in virtù della crescente divergenza nelle capacità tra i partners, un livello di ambizione perseguibile. Per questo è necessario il costante riferimento agli standard NATO che definiscono i requisiti minimi obbligatori unici e comuni, peraltro validi in ambito UE e ONU. Comunque, in relazione alle notevoli incertezze che contraddistinguono il panorama della sicurezza, la risposta più corretta non può che risiedere in uno strumento bilanciato nelle sue componenti e finanziariamente sostenibile.
Le capacità - per loro stessa natura “abilitanti” - delle forze marittime (prontezza, mobilità, gestione dell’informazione, proiezione, sopravvivenza, precisione d’ingaggio e sostenibilità logistica) sono premianti per uno strumento militare di moderna concezione. La Marina, proprio grazie alle connaturate peculiarità operative, manifesta una naturale attitudine a svolgere attività che siano improntate sugli “effetti” da conseguire nell’ambito di tutte le fasi di un’operazione (pre-crisi, impiego in teatro e post-conflittuale).
L’espansione ed il potenziamento qualitativo degli strumenti di comando, controllo e comunicazione, attraverso la rapida e capillare diffusione delle reti informatiche operative ed il pieno utilizzo delle potenzialità satellitari, hanno enormemente agevolato l’interoperabilità e la gestione delle operazioni interforze e multinazionali. La valorizzazione di tale predisposizione permette allo strumento militare di incrementare la propria operatività grazie ad una chiara e condivisa conoscenza del teatro, ad una superiore velocità del processo decisionale e ad una migliorata capacità di sincronizzazione degli eventi. In questa ottica, si sta implementando una configurazione “net-centrica”, tramite un sistema di reti aperte che consenta scambi informativi in tempo quasi reale.
Il robusto sistema di C4ISR (Comando, Controllo, Comunicazioni, Computer, Intelligence, Sorveglianza, Ricognizione) sviluppato dalla componente marittima ben si presta, data la sua innata configurazione net-centrica, a raccogliere, gestire e condividere le informazioni. La conoscenza della situazione operativa, potenzialmente disponibile in maniera capillare fino al singolo distaccamento dell’organizzazione d’impiego, permette il tempestivo aggiornamento della minaccia e dei punti di vulnerabilità dell’avversario, rendendo possibili reazioni adeguate e tempestive anche in situazioni mutevoli e non facilmente prevedibili.
Coerentemente con le esigenze evidenziate dal quadro strategico, la Marina porta avanti i programmi relativi a quello che è il suo “core business”: tutto ciò che produce operatività, ossia le navi, gli aeromobili, che integrano i sistemi d’arma navali, il Reggimento San Marco e, non ultimi, gli Incursori. Naturalmente questa impostazione nulla toglie all’importanza di tutto ciò che serve per il supporto di tale strumento, semmai la accresce in quanto questo non sarebbe in grado di operare senza gli elementi di organizzazione che lo sostengono.
In termini più generali, stiamo perseguendo il miglioramento qualitativo dello strumento, in coerenza con i tempi di realizzazione di mezzi tecnologicamente molto sofisticati, l’adeguamento delle grandi strutture, la preparazione del personale, nel quadro di una sempre più spinta razionalizzazione e ottimizzazione della spesa. L’obbiettivo è uno strumento marittimo moderno, snello nelle strutture non direttamente operative, capace di azioni aderenti alla mutevole natura delle minacce da contrastare, sostenuto da un apparato tecnico-amministrativo all’altezza delle esigenze.
Si tratta di corrispondere, non solo per quantità e tipologia dei vari mezzi occorrenti, ma anche per qualità, a precisi livelli operativi, in particolare in termini di interoperabilità con le forze alleate e di contributo allo strumento interforze con le proprie capacità intrinseche, un complesso comunque autonomo ed autosufficiente, che dispone delle componenti necessarie a una forza flessibile e dinamica in grado di affrontare situazioni di crisi, sebbene di limitate dimensioni, con la logistica ed il supporto sempre al fianco delle componenti operative, capace di posizionarsi rapidamente là dove la presenza militare è necessaria.
Funzionale a tali obiettivi è il piano di ammodernamento del naviglio d’altura, in particolare la Portaerei CAVOUR , le due unità per la difesa aerea (Classe DORIA), le fregate del programma Rinascimento, in collaborazione con la Marina francese.
In merito al controllo delle aree più prossime al territorio nazionale, la cooperazione esistente tra unità della Marina Militare e della Guardia Costiera è oggetto di un progressivo ampliamento che, senza incidere sui compiti di istituto, proietta le Capitanerie di Porto verso un più ampio disegno organizzativo per la sicurezza interna (porti, avamporti ed acque interne) e per la difesa del territorio (acque territoriali e zone contigue).
In tale ottica, le unità della Guardia Costiera, in un quadro di sostanziale condivisione di dottrina e logistica, potrebbero essere inserite in attività navali che prevedono l’organizzazione e l’impiego congiunto delle forze secondo moduli predefiniti e dimensionati all’esigenza specifica. L’impiego del 28° Gruppo Navale in Albania è paradigmatico di una proficua possibilità di operazioni congiunte. Non va peraltro sottaciuto l’insostituibile e prezioso ruolo di rappresentatività della Marina sul territorio svolto dalle Capitanerie di Porto.
Una considerazione conclusiva, se vogliamo riepilogativa. In un momento storico nel quale il popolo italiano sta riscoprendo il ruolo preminente e la preziosa azione che i militari sono in grado di svolgere in supporto alla pace ed alla sicurezza dei propri cittadini e di quelli dei Paesi amici in tutto il mondo, per le proprie capacità intrinseche, le forze aeronavali fanno sì che esse, se adeguatamente valorizzate e supportate, possono costituire per l’Italia, oggi ancor più che in passato, un prezioso strumento per il raggiungimento degli obiettivi di sicurezza e sviluppo che la nostra nazione si prefigge.
Ringrazio tutti i presenti per l’attenzione dimostratami e rimango a disposizione per eventuali approfondimenti.