Storie di lagunari - Dino Doveri - PARTE 01 | |||||||
. | |||||||
Lagunare Dino Doveri Villa Vicentina 2° contingente 1966 Sezione di Jesolo e-mail: ddoveri@associazionelagunari.it | |||||||
. | Torna all'indice delle Storie di Lagunari | ||||||
****************************************************************************************************
Subject: Puntata 0.
Questa è la puntata ventesima ma siccome parla di C.A.R., del quale non volevo raccontare ma poi ci ho ripensato su, la mettiamo prima della prima e quindi assume il numero 0. Il Maresciallo dei Carabinieri che mi ammolla la famosa “cartolina rosa”, dice che è obbligo presentarsi puntualmente entro il giorno indicato, presso la destinazione prevista. Si parla di un fantomatico “28° Reggimento Fanteria Pavia - C.A.R.” in quel di Pesaro. Dove è ubicato Pesaro? Consultazione sintetica di una carta stradale ed individuazione del posto. Insomma… E’ abbastanza lontano ma discretamente vicino. Dopo realizzerò che queste erano considerazioni del tutto superflue perché per quanto riguarda il C.A.R., un posto valeva l’altro, tanto a casa non ci si tornava prima della fine e forse sarebbe stato importante…si fosse fatto su e giù un paio di volte la settimana tra Pesaro ed il paesello… Lavoro in quel momento. Ed il buon titolare dell’azienda in cui sono occupato, mi appioppa proprio il giorno prima della partenza, un viaggetto mica male per cui arrivo a casa a notte inoltrata e stanco morto; decido di partire con un giorno di ritardo. I ricordi prendono configurazione narrativa alla stazione di Bologna: debbo attendere la coincidenza per Pesaro e ci vorranno ore. Chissà perché, si vede che ci assomigliavamo un po’ tutti con la valigetta di fibra e l’aria imbambolata di coloro che per le prime volte si trovano vaganti per le sconosciute vie del mondo; attacco bottone con un altro simil-marmittone e volere del caso, il tizio va pure lui a Pesaro. Decidiamo di aspettare assieme. Le ore da attendere sono molte e quindi si opta per il pranzare in qualche trattoria. La scelta cade in un locale con tavoli sotto i portici (a Bologna i portici sono onnipresenti), a qualche centinaio di metri dalla famosa stazione che poi come sappiamo, divenne teatro di un’angosciosa pagina del terrorismo nostrano. Fa, sotto il porticato, bella vista un cartello che promette il pranzo completo a prezzo incoraggiante. Le finanze esistenti in saccoccia sono disperatamente povere, quindi…si opta. Naturalmente siamo a Bologna e dopo breve ma convergente consultazione, facciamo scorpacciata di “tourtelen” al sugo e Lambrusco di Sorbara frizzante. Micidiali! Un bruciore di stomaco che mi accompagnerà per due giorni! Manca un’oretta ancora, anzi, quasi due,: bighelloniamo per Bologna e capitiamo davanti alle due torri, emblemi della città: Torri della Garisenda “…qual pare a riguardar la Garisenda ‘sotto ‘l chinato, quando un nuvol vada sovr’essa… - Divina Commedia - Inferno”, e degli Asinelli. Che si fa? Decidiamo di salirne una che poi è la più alta, quella degli Asinelli alta metri 100; l’altra non è accessibile ma sarebbe la più bassa… Mai impresa fu così sofferta. La salita è faticosissima e si va su in “arrampicata” a ripidissimi scalini; arriviamo alla sommità oramai annaspando a quattro zampe e boccheggiando come pesci rossi quando cambiano l’acqua alla boccia, e come forbitamente si dice, “gatton-gattoni”, salendo gli ultimi stretti e ripidi gradini consunti da migliaia di obnobulati arrampicatori come noi; senza fiato, prossimi a rigettare sulla Città di Bologna, detta “La Grassa”, i tortellini al sugo poc’anzi ingurgitati con vorace determinazione. In debito d’ossigeno, lucine che si accendevano e si spegnevano davanti agli occhi, buttiamo una rapida occhiata al panorama di tetti dell’emiliana città, un giro panoramico da dove scorgiamo la famosa “Montagnola” dai leggendari e lussuriosi accrediti, e ci rendiamo conto che è già ora di cavalcare di gran corsa verso la stazione ferroviaria per agguantare il trenino per Pesaro. Arriviamo alla stazione di Pesaro nel primo pomeriggio. Come scendiamo, c’è un gruppetto composto da un sergente (ma in quel momento i gradi manco sapevamo com’erano e poteva essere pure un ammiraglio…), ed altre reclute arrivate da chissà dove. Ci intruppiamo e dopo un’oretta buona saliamo in un camion che ci scarica in una caserma che ci appare, così di prima impressione, infinita. Le caserme in effetti, sono due e solo una strada le separa, e per la verità, occupano uno spazio molto, ma molto ampio. Il tizio con il quale ho fatto il viaggio, andrà chissà in quale compagnia e raramente lo rivedrò ancora. La Seconda Compagnia è la mia. Tenente Magni, mi sembra il Comandante. Branda. Sistemiamo le masserizie, cerchiamo di capire ‘sta branda. Alla fine ne viene fuori qualche cosa simile ad un giaciglio di fortuna; sono al secondo piano e quindi sotto di me c’è uno che manco conosco e che mi crea disagio: considero che le flatulenze salgono verso l’alto (essendo composte di gas)… Mangiamo la sera: un’impatto! Speriamo meglio nei prossimi giorni. La notte è lunga, il numero di persone in camerata è nutrito, urli e russamenti e scorregge a più non posso, caldo insopportabile, puzza di piedi sudati e anche di qualche cosa d’altro. Dai cessi, sito ad oriente dello stabile, s’insinua con arietta supponente e umida, un olezzo di tonnellate di quella cosa li, scaricata negli anni attraverso i sanitari ubicati in loco. Una meraviglia. Le porte dei cessi sono prive di blocco e, sconcertante, sono metà di una porta normale, ovvero manca la mezza parte superiore… ; tu sei li concentrato sull’incombenza, e arriva sempre quello che caccia dentro la testa per vedere se il posto è libero: la deconcentrazione è automatica. S’imparerà ad andare in cesso con un asciugamano che si apporrà sopra la mezza porta, a significare: “guardate che qui ci sta uno in posizione a uovo…” L’acqua di Pesaro ha un gusto di olio di semi e non lava! Non si riesce a far fare al sapone, la pur misera parvenza di schiuma. La prima volta che riusciamo a mettere il naso fuori della caserma, constatiamo che l’acqua a Pesaro è così; misteri dell’allora tecnologia idrica. Il giorno dopo comincia tutta la serie di operazioni che allontanano il mondo civile e ti scaraventano nella vita militare comune: urla, recluta qua, recluta la, “muoversi, muoversi”, “sveglia che è già girono inoltrato…”, non sei più Tizio Caio, ma recluta Caio (esclusivamente prima il cognome e poi il nome…forse), II° Compagnia, 28° Rgt. Pavia Fanteria Car. Cacci dentro la tua valigetta tutta gli indumenti civili e ti raccomandano di non tener nulla che tanto non ti servirà nulla delle tue ex cose per i prossimi tredici quattordici mesi. Incolli un’ etichetta sulla valigia e mentalmente dai un addio alle tue cose ed alla vita “borghese” e lo Stato rispedisce il tutto al paesello d’origine. Vestizione. Dopo un paio di giorni, tutti in un grande ambiente seduti su degli sgabelli marrone ed uno alla volta siamo chiamati a caricarci di tutto il corredo necessario per il prosieguo dell’avventura. Qui si raccontano cose inenarrabili: taglie ed assegnazioni da circo equestre. A me invece capita che a parte il cappotto, mi imbroccano tutto. Qualche sistematina in seguito, al reparto, ma nulla di tragico. Il cappotto invece è lungo assai. Arriva quasi alle caviglie ma nuovo e sembrerebbe anche “caldo”. Ci penseremo al momento opportuno, siamo in Giugno e l’ultimo problema è il cappotto. Gli anfibi sono belli nuovi di pacca, ma “vergini”… Rigidi e durissimi quel tanto che basta a crearti durante le interminabili sedute d’addestramento formale, dei vesciconi giganteschi al tallone ed alla pianta del piede. Vado in infermeria e mi faccio regalare un paio di fasce (in cambio di cinque nazionali esportazione con filtro), con le quali avvolgo le parti sollecitate del piede e così facendo riduco di molto la formazione di vesciche che poi rompendosi trasudano all’interno della calzatura, prima liquido e poi sangue. Non male come primo impatto. Indumento inconcepibile risultava invece la “mutanda tattica”, specie di boxeroni al ginocchio con allacciamento a cordella e fessura sul davanti per le necessità liquide; di una tela ruvida e micidiale, di certo usarli sarebbe costato il danneggiamento perenne dell’apparato genito-urinario. Accantonati subito e definitivamente. Non male anche la scarpa cosiddetta “da ginnastica” che tutto potrà essere stata, fuorché adatta a prestazioni sportive. Zaini e zainetti poi costituiranno in sostanza, l’ “armadio” dove riporrò le mie cose per tutto il resto della durata della naja. Un attimino antipaticucci erano anche gli scarponcini da libera uscita; un po’ troppo tondi ed un po’ troppo “recluta dannata”. L’universo umano componente la comunità del CAR è un campione di tutte le regioni d’Italia; i dialetti comprensibili, pochi, e poi bisogna convertirsi giocoforza alla lingua nazionale. Colui che proviene dal Veneto, di solito è convinto che il dialetto della sua regione sia comprensibile quanto dai Maori della Nuova Zelanda, tanto dagli Innuit dell’Artide, e quando il meridionale di turno pronuncia l’inevitabile frase “ ma cercassi di parlare in italiano… che non si capisce una minchia!”, si sfiora quasi sistematicamente lo scontro diretto. Poi visto che pure il Ligure ed il Lombardo, il Toscano ed il Piemontese insistono e reiterano la richiesta di parlare comprensibilmente, allora scatta nel cervello del Veneto che, forse, forse si…sarà FORSE possibile che gli altri non capiscano. Strano però: il dialetto veneto è così comprensibile… I Veneti lo capiscono tutti… In attesa della cosiddetta “vestizione”, a proposito di “lingue”, capita che chiamano un tizio il cui cognome finisce in “uddu”: alto, biondo, fisicaccio potente e massiccio, che delle caratteristiche somatiche del sardo ha proprio nulla: la zazzera non ancora “regolata” dal barbiere reggimentale appare in una inusitata ed antica foggia medioevale “a scodella”, veste un completo doppiopetto nero gessato di foggia fine conflitto mondiale, il secondo conflitto…naturalmente, e camicia bianca senza colletto come s’usava nei tempi della “belle epoque”. Calza due scarponacci che quelli da rocciatori non c’hanno nulla a che fare; suda come un dannato perché la giacca non se la leva ed anzi la tiene strettamente abbotonata. Si presenta al bancone della distribuzione indumenti e l’addetto gli chiede mi sembra, qualche cosa che ha a che fare con la taglia e le sue misure: questo pronuncia due o tre parole incomprensibili e tutti e due si guardano negli occhi in attesa di qualche cosa che sblocchi la situazione. L’addetto ritenta parlando in un italiano lento lento, ma l’altro mezzo imbarazzato e mezzo sull’incazzato, mitraglia una serie di frasi di cui non si capì una, dico una, parola. Si chiama un Maresciallo, il Maresciallo perviene, valuta e manda a chiamare un altro tizio in forza stabile al CAR. Naturalmente Sardo. Ne esce un colloquio irreale e per certi versi improbabile ma vero: il Maresciallo chiede al responsabile, il responsabile dice al Maresciallo, il Maresciallo all’interprete, questo traduce dall’italiano al sardo e ripropone la domanda all’ “uddu”, questo riassicurato della familiarità dei termini, risponde baldanzoso, quindi l’interprete ritraduce dal sardo all’italiano e comunica i dati al Maresciallo ed il Maresciallo al responsabile vestiario. La giacca perennemente chiusa, nascondeva una cinta di corda. In pochi minuti riescono a conferire il corredo al nostro amico del Gennargentu. Infatti il nostro, si viene a sapere, espleta la professione del pastore tra le pendici del predetto massiccio montuoso. Sarà poi benvoluto da tutti e tutti o una sigaretta o un bicchiere glielo offrivano con simpatia e , si riuscì anche a fare qualche chiacchierata. Seppure con difficoltà… In camerata intanto si prende a fare tra gli occupanti; due parole con Oliva il calabrese, Nardi di Argenta, Zannantonio di Catania, Talon mio compaesano ma mai frequentato, Cirò di un paesino della Basilicata… Il Zannantonio a livello branda a piano terra ed alla mia destra; è un universitario, facoltà di medicina, e nessuno si spiega cosa faccia li con noi; ma lui da buon siciliano, non esplica l’arcano; tutti però chiedono il suo intervento quando sono in difficoltà epistolari: “a Zannanto’, inquadrati si scrive con la c o con la q…?” Con l’Oliva calabro, rischio “ ’na cortellata “ a seguito di un’esclamazione in puro stile veneto-venetico: “ ma va’ in m..a de to sorea, va la!” detta senza cattiveria e malizia. Invece l’Oliva nell’udire indirizzi alla sorella, tosto repentinamente estrae dallo zaino, un coltellone da “cavalleria rusticana” e mi insegue giù per le scale e meno male che troviamo ufficiali, sennò se mi agguanta… Poi, pian pianino a spiegargli, supportato da altri veneziani, che il mio era un modo di dire gergale in forma dialettale e senza destinazione specifica…ma solo un, diciamo così, un parlare figurato. Gli passò dopo un paio di giorni, tant’è che quando arriva il “pacco di conforto” da casa, distribì me compreso, pecorino e salame al peperoncino; ma quelle due notti le passai abbastanza sul chi va la, con un occhio chiuso ed uno aperto… Il principio lo schioppo fu la carabinetta cosiddetta “Winchester”; i primi due o tre giorni, li a scarellare tutti come assatanati visto che un attrezzo così, quasi nessuno lo aveva non dico preso in mano, ma manco veduto. La carabinetta tenuta a “bilanc-arm” e cioè portata durante l’addestramento con il palmo della mano, diventa con il passar delle ore, pesante assai. Ma poi arriva il Garand, che durante le soste terremo sulle rastrelliere nel corridoio centrale della camerata, nell’addestramento formale diventa un peso micidiale e la gente comincia a manifestare la patologia del “polso del tennista”. La commediola del “reclutata, presentati!”: “recluta Tal dei Tali (anzi, prima il cognome e poi il nome e quindi: dei Tali Tal…), II° Plotone II Compagnia, ecc. ecc. “Non sento! Vai più lontano e urla!” E si che l’esame dell’udito lo facevano anche ai graduati, Sottufficiali ed Ufficiali; che ci fosse in corso un’epidemia di otiti purulente? Un Caporal Maggiore “motivato” prende in mano il plotone al posto di un sergente buonanima oramai somatizzato: ci fa girare senza sosta per tutto il giorno. La gente ulula e mugugna, il caldo opprimente, il sole a picco di un giugno bollente e caldissimo. Un pomeriggio, il termometro è sui 32/34, nasce l’insubordinazione: ci sediamo per terra e non ci muoviamo più; questo sbraita, urla e minaccia ma la gente sta seduta. Il Caporal Maggiore fa l’errore di chiamare il Comandante di Compagnia. Questo ci fa muovere (e chi resiste a due stelle d’oro sulle spalline?), ma poi si chiama ‘sto Caporal Maggiore a parte e li ne vengono fuori di tutti i colori: il Caporal Maggiore andrà ad altra Compagnia. Il caldo era allucinante: c’era una specie di locale dove gli antesignani dei distributori automatici di bibite, venivano presi d’assalto ad ogni intervallo. La mia bibita era un bicchierotto da 330 cl. dove veniva mescolata dell’acqua gasata ghiacciata ed una dose di sciroppo al gusto di gazzosa (di “Sprite” si dice oggi); me ne ingolavo una decina al giorno perché avevamo con quelle marce, sempre una terribile sete. Il locale era una specie di zona franca, si chiacchierava, si fumava l’ennesima sigaretta, si facevano programmi per uscire in libera uscita. Un giorno capitò che ci si incontrasse con il già celebre cantautore Pino Donaggio che a quanto sembrava, la popolarità non aveva risparmiato la naja. Il Donaggio già aveva partecipato ad alcuni Festival di San Remo e in effetti era un apprezzato autore e ottimo cantante e le sue “Io che non vivo senza te” e “Come sinfonia” a mio avviso e gusto, erano (e sono), delle bellissime cose. Giovanotto affabile e debbo dire per niente sopra le righe; si comportava come uno di noi e poi era veneto e si parlò in dialetto… Poi non lo si vide più: è probabile che la fama in qualche modo gli abbia dato delle chance maggiori delle nostre. La libera uscita, la prima in assoluto, mi vede a fare la recluta per antonomasia: penso di aver salutato militarmente, pure l’appuntato dei carabinieri ed il portiere dell’albergo in divisa... La destinazione era la trattoria dove la pizza ed il sangiovese locale andavano giù con una certa fluidità. Qualche “attacco” lungo la passeggiata sul lungomare, alle ragazze del posto, giocherellone, civettine ma al di la di un braccio attorno alle spalle, non si andava. A Pesaro c’erano le prostitute che com’è noto dove ci sono militari attecchiscono meglio, almeno ai tempi… ma con molta sincerità ammetto che non era cosa sulle mie corde. Per altro, le prime libere uscite, qualche reclutaccia autodefinitosi “in fregola”, per far vedere che aveva avuto un rapporto a pagamento, rientrando andava nella cosiddetta “sala celtica” per la spiacevolissima funzione di disinfezione: la cosa era così “bruciante” che poi se ne videro pochissimi effettuare tale operazione di profilassi alle malattie veneree. Si va a sparare nel comprensorio deputato alla funzione: trattasi di porzione di spiaggia dove è installato un poligono all’aperto. Bersagli che vanno su e giù, postazioni su una bassa dunetta a cento metri dall’obbiettivo, un muro protettivo per il lancio della bomba a mano, il tutto in un ‘area recintata di pertinenza militare. Dopo una bella marcia sotto il sole ci si inquadra sugli appositi terrapieni di fronte ai bersagli. La prima esperienza e con il ’91: un fucilaccio sgangherato e vecchio che pigliare i bersaglio era già un problema. Il rinculo è per certi versi, una sorpresa: una scalciata alla spalla che mai avresti creduto; ma d’altro canto chi mai ti aveva detto che per mitigare il rinculo devo premere il calcio alla spalla? L’istruttore? Giammai! La seconda volta è con il Garand: nessuno ti dice dell’assetto di mira, nessuno ti dice dell’alzo, il brandeggio della diottra di mira, nessuno ti dice dove mirare; l’importante è non ammazzare qualche collega vicino. La presa per il deretano, (ma quando mai in Italia ci si comporterà come in un paese normale), è che poi ti danno anche i punteggi e quelli poi vengono segnati in una graduatoria. Graduatoria ufficiale e come fosse una cosa seria. Ora capisco (ma allora non lo capii), perché è difficile che si vinca qualche guerra. E temo che così è stato e così sarà. Sempre. La bomba SRCM diventa la macchietta del momento: ci dicono che l’ordigno ha effetto psicologico! Boh… Sarà anche giusto così, ma bravi chi ci capisce. La famosa “puntura”: iniezione di una miscela di vaccini. Si inietta nei muscoli pettorali. Tutti in fila a petto nudo. Passa un infermiere (?) con un barattolo di tintura di jodio e ti spennella con un pennello da vernice la porzione di cute da perforare. Passa un altro medico (?), forse infermiere (?) e ti fa l’iniezione. Uno su venti, di media, sviene. Poi ti danno un giorno di riposo perché potresti anche sentirti male. In effetti pure a me, una certa sensazione di febbre si manifesta, ma non si può misurare perché dove lo trovi un termometro: vai a caso e dormi in branda sperando che l’indomani sia passato tutto. Grande la naja! Ad un veneziano, certo Fuin, viene il mancamento sul pianerottolo antistante la camerata e si fa tutte le marmoree scale con il cranio: viene portato via che gronda sangue. Un altro dopo un paio d’ore da via di testa e vuole buttarsi dal balcone della camerata, primo piano: vengono a prenderselo in quattro ma invece dell’infermeria, lo indirizzano in cella, ovvero gattabuia. Ogni tanto c’è il servizio nelle cucine. Odio ‘sta roba. Ci sono delle marmitte alte quasi sino al petto e larghe un metro buono. Le devi pulire. Te le schiaffano in una bolgia da girone da inferno dantesco, un locale tipo lavanderia; il pavimento è coperto da uno strato di alcuni centimetri di residui alimentari. Calpesti rigatoni e patate, sugo di ragù, e rimasugli di insalata; ti danno una scopa (avete capito bene, una scopa!), e con quella devi pulire internamente la gigantesca marmitta. Detersivo niente. Di nessun tipo. Detersivo non esiste! Ti avvisano pure che dopo, quando riporti le marmitte, c’è l’addetto che passa il dito sulla parete interna della marmitta e se il dito riporta dell’unto, te ne torni fuori a rilavare e rigrattare fin che l’unto sparisce. Ora, arrivare a questi risultati senza detersivo, è pressoché impossibile. Ma la necessità aguzza l’ingegno. Siamo in tre per marmitta; la portiamo fuori in mezzo al campetto antistante la bolgia dantesca, io ci monto dentro, naturalmente con gli anfibi ai piedi, gratto via con un coltello tattico, i rigatoni al ragù incollati sui bordi, faccio raccogliere due palate di terra e sabbia e le butto dentro la pentolona. Poi con la scopa e ‘sta terra e sabbia comincio a strofinare le pareti; quando non ce la faccio più, subentra il collega e poi il collega ancora. Dopo ‘sta cura la marmitta è lucida e splendente e passa l’esame dito. L’onore è salvo, l’igiene naturalmente meno. Furono periodi in cui le epatiti virali imperversavano nelle caserme e nessuno riusciva a spiegarsene il motivo… Naturalmente se qualcuno avesse controllato la effettiva distribuzione del detersivo, si sarebbero trovati registri e documentazione in “regolissima”, come si conviene per tutti gli apparati statali dell’italico paese. Il vitto, che in un primo momento mi era apparso obbrobrioso, giorno per giorno invece, diveniva sempre più gradito; con quelle scarpinate e le lunghe ore di addestramento su è giù per la ciclopica caserma e non dimentichiamolo, l’appetito dei vent’anni, quando ci si parava davanti il rancio, tutto veniva spazzolato con voracità La colazione alla mattina, ci fa scoprire la “gamella” ovvero il gavettino, oggetto che mai in vita nostra avevamo toccato o veduto: in alluminio con un manichetto metallico pieghevole. La “gamella” ci serviva per il caffellatte alla mattina, e come bicchiere per il rancio. Si andava nelle vicinanze della cucina e li una banda di bisunti cucinieri ci schiaffavano una mestolata di caffellatte dal gusto all’olio di semi (di qui la convinzione che la famosa acqua di Pesaro fosse l’ingrediente più presente in tale indefinito liquido), un formella di marmellata incelofanata della premiata ditta Zuegg e le diaboliche gallette che proprio non andavno giù a nessuno. La fame del mattino era tale che, gallette o non gallette, facevo sempre un secondo giro. La salvezza degli appetiti era però costituita dagli ambulanti che si piazzavano tra le carraie sulla strada che separava le due caserme contigue; cinque o sei carretti sui piani di carico dei quali erano costruite delle vere opere d’arte a piramide i cui “mattoni” erano quelle paste, ciambelle, come volete chiamarle, che molti storpiando il vocabolo tedesco, chiamano “craft” ma che li si chiamavano “bomboloni”: fritti e ripieni di una crema pasticcera d’infima qualità, costavano un’inezia ed in genere l’acquisto prima di arrivare al percorso di guerra, era di cinque pezzi. Gli stomaci erano tipo betoniera e neanche l’esausto e stravecchio olio di cottura poteva crearci problemi digestivi: dopo un paio d’ore, l’appetito si destava lancinante. Arriva il “Giuramento”. Lustra e spazzola, stira ed ammira, lava e cuci, la divisa per l’avvenimento viene preparata con grande cura. Belli, tirati lindi e stirati alla perfezione, Garand lucenti e lucenti gli anfibi. Una piazza d’armi imponente e le reclutine inquadrate alla perfezione. Un boato alla domanda “Lo giurate voi?” Un “Lo giuro!” che fa venire i brividi; i parenti applaudono, le fidanzate gongolano e le mamme piangono. Usciamo dalla caserma e facciamo una sfilata per le vie di Pesaro; siamo “imbacchettati”, rigidi e marziali che sembriamo dei burattini a molla; non una baionetta fuori squadra, non un anfibio che tocchi terra prima o dopo la cadenza data, non una mano che si alzi o si abbassi fuori tempo. La gente ci applaude. Non come ora che qualche “arcobalenante pacifinto” fischia i militari anche alla sfilata del 2 Giugno. Le Autorità si compiacciono, apprezzano, gradiscono e a loro volta applaudono. Non come ora che presenziano a muso duro per dovere d’incarico, alle sfilate militari con la pulce da giacca riproducente bandiere variopinte in cui fa bella mostra la parola “pace”. Addirittura arriva il dolce. Cose incomparabili e superbe avvengono a volte. Cose dell’altro mondo. Nel periodo, consolido due grandi amicizie: il Bari ed il De Prà, ambedue di Mestre. Loro poi saranno destinati a Villa Triste ed invece io a Malcontenta. Però il futuro ci avrebbe riservato di ricomporre il trio entro breve termine; ma chi allora poteva immaginare tali strabilianti eventi? Si configura la destinazione ai reparti che ci vedranno ospiti, si fa per dire, per tutto il resto della naja.. Si vocifera che coloro che pigliano quel treno verso Venezia, hanno buonissime probabilità di finire nei Lagunari. Che qualcuno sapesse poi, dove stavano di preciso ‘sti Lagunari, non era dato. Si favoleggiava di ubicazioni quanto mai varie e nebulose; qualcuno di Mestre era sicuro che dei militari che potrebbero essere stati anche Lagunari, si vedevano delle volte vicino ai “Quattro Cantoni” e dintorni; altri parlavano di qualche cosa attorno a Marghera, ma di idee precise non ne esistevano. La sera prima della partenza avviene il finimondo. Brande giù dalle scale, materassi nei cessi e fuori della finestra, gavettoni come se ci fosse il temporale, di quelle ciucche che c’era gente che dormì tutta la notte sul percorso di guerra. “E’ finita!” ed ancora, “è finita!” E non era nemmeno cominciata. Arriviamo alla stazione ferroviaria di Pesaro verso metà pomeriggio. Ci caricarono stipati in pochi vagoni di terza classe, come “sardee in saor” verso le 22:00. A me toccò un anfratto vicino al locale-cesso. Mi accoccolai seduto sopra lo zaino-valigia e attesi. Mica si sapeva dove si sarebbe arrivati: Venezia era un speranza ma certezza, nessuna. La linea era quella ma poi chi ti assicurava che non si sarebbe potuti proseguire oltre Venezia, magari Udine o Trieste? Da Pesaro a Mestre non sono poi molti chilometri: partimmo alle 23:00 ed arrivammo a Mestre a alle 09:00 del giorno dopo: tradotta militare ovvero, sono giovani e forti. Che soffrano! Passai una notte ad alzarmi e sedermi sullo zaino per via del cesso che era, giustamente e regolarmente, preso d’assalto. All’alba, fermi in qualche binario attorno a Padova, ci scopriamo distrutti ed anchilosati, semi addormentati e rincoglioniti dal viaggio drammaticamente lungo. Quando ci sbarcarono sulla banchina della Stazione di Mestre, e vedemmo quei militari che ci stavano attendendo e che portavano uno sconosciuto basco nero con uno strano fregio sul quale faceva bella mostra un’ àncora, ed alla spalla sinistra un cordone multicolore ed un distintivo che effigiava un leone alato appuntato sul taschino della camicia, scattò l’intuizione della certezza: eravamo stati assegnati ai Lagunari. Porca la peppa! Nei Lagunari! Nei famosi Lagunari! Nei mitici Lagunari… Pacche sulle spalle e compiacimento, senso di successo e realizzazione. Saluto con una vena di commozione il Gianni ed il Dario che se andranno in un CM che non è il mio; dicono che va in Friuli. Mi dispiace assai perché eravamo congeniali gli uni agli altri. Chissà, ma me lo sentivo che li riavrei rivisti… I Camion ci portarono verso un canale dove attraccato alla banchina c’era quella strana imbarcazione la cui prua era costituita da un portellone che si apriva. Si..si,si! Il sergente dal cordone multicolore incalza “ tutti a bordo dell’ MTP e cercare poi di non vomitare dentro…” La strana imbarcazione venivo a saper in quel momento, veniva chiamata MTP; non è quella che abbiamo ora in dotazione, che sembra “Luna Rossa” da tanto e “sintetica” filante, bassa di murata, ed idrodinamica. Era un “barcone” metallico con una “plancia” scoperta dove trovavano posto il pilota e gli inservienti: il resto era tutta “vasca da bagno” per Baffi Lagunari. Erano quei mezzi che avevo visto tante volte nei film dello sbarco in Normandia, e da dove sbucavano impavidi ed avidi di vittoria i Marines dei film della Universal Pictures. A ri-porca la peppa: eravamo diventati “baffi”dei Lagunari. Chiedo al Tizio che smadonna con una cima attorno ad una “bricola”: “dove si va?” e lui “al Lido!” “Quale lido?” chiedo io; quell’altro seccato mi risponde “al Lido! Al Lido! Quanti Lidi ghe xe baffo ignorante?” In verità ci sono una miriade di Lidi: Lido di Jesolo, Lido di Cavallino ecc. ecc. Ma per non aggravare la posizione di “baffo”, non replico e poi comprendo che per un Lagunare, di Lido, ce n’è uno solo: quello di Venezia. Ciao, San Marco! Ed alla prossima ed ultima puntata. Lagunare Dino Doveri.
Subject: 1ª Puntata.
Ciao Presidente, sono il Lagunare in congedo Dino Doveri, 2° 66 (quindi nato nel 1946), C.A.R. a Pesaro iniziato il 06-06-66, dopo, spedito al cosiddetto reggimento in Luglio 66, breve tappa al Comando di Reggimento alla "Pepe" del Lido, apertura del portellone dell'MTP che ci portava dal Tronchetto o Marittima che sia, al Lido, con effetto scenografico di grande impatto: ci aspettava sulla riva a gambe divaricate e battendo pigramente ma deciso, all'uso degli inglesi, una specie di frustino o tale io lo immaginai, un ufficiale con una toppa nera ad un occhio a guisa dei pirati dei film d'avventura! Per noi super baffi, una visione terrificante. Già il fatto che i Lagunari che ci erano venuti a prendere con i mezzi a Mestre, calzavano il "mitico" basco nero, per noi che indossavamo la maledetta "tecia" canoa color caki, era già leggenda di appartenenza a chissà che anda di esaltati di corpi speciali.....ci metteva in una situazione di attesa e panico indicibile, vedere 'sto tizio che sembrava trasudare voglia di consumarci lì, vivi e ancora caldi, accellerò la necessità di alcuni di noi di espletare urgentemente le funzioni corporali che ci trascinavamo sin da Pesaro. Breve sosta per venire primariamente innaffiati dai "vecchi" del Lido con tutto quello che c'era di liquido a portata di mano, quindi assunzione di un ributtante rancio condito con l'ingestione del fregio in plastica nera del Rgt. Pavia C.A.R., attesa snervante sotto il sole, per darci la definitiva destinazione. A me toccò di andare al Btg. Anf. Marghera a Malcontenta. Ricondotti a Mestre e caricati a mo di bestiame sui camion per Malcontenta, venimmo sbarcati davanti allo spaccio. Quando aprirono tendone e sponda, ci si presentò la visione più apocalittica della nostra storia di baffi. Sopratutto ci fecero una impressione boia i vecchi: appena rientrati da chissà quale durissimo addestramento, con le mimetiche bisunte e lacerate in più parti, sporchi sudati,a lcuni con il fazzoletto nero, altri con il fazzoletto tradizionale,i l basco nero sulle ventitre, noi che eravamo tutti belli lindi e azzimati da CAR,non volevamo neanche scendere dai camion. I degenerati ci aspettavano con le posate in mano al fine di mangiarci lì, prestamente. Abituati al CAR dove non andavi neanche al cesso se non inquadrati, vedere questi che se ne andavano in giro per la caserma frammischiati a Caporali Maggiori ed ai Sergenti alla bighellona, senza ordine, senza inquadramento ci fece temere il peggio: non un ufficiale od al limite un sottufficiale che ci difendesse dagli assalti di quei allupati da bolgia dantesca. Quindi si presenta un Maresciallo e ci da incarico e destinazione di Compagnia. Sempre "fortunello" io; mi dice che sono assegnato all'incarico 110, Compagnia Mortai! Chiedo in giro, mi dicono che incarico 110 vuol dire farsi un c..o niente male anzi,il massimo. Scopro che il 110 equivale a Mortaista da 120 mm. Mi favoleggiano di addestramenti con dure e lunghe marce il tutto corredato di questo infame pezzo del Mortaio da 120 che uno dice pesa 30, l'altro 40, un altro ancora 50 Kili. Qualcuno parla del comandante di Compagnia,c erto Capitano Maddalena che per passatempo mangia i bambini,altri mi raccontano del Sergente Elisei mortaista, descritto come un distruttore di baffi e maledetto militare firmaiolo. Cominciano a venirmi i peli dritti. A remengo quella volta che mi hanno mandato presso 'sta banda di impazziti, maledetta sfortuna persistente, a remengo i Lagunari e tutte le storie che mi avevano raccontato su di essi e che mi avevano entusiasmato nella consapevolezza di andare a far parte di uno dei più pregiati ed "atipici" corpi dell'Esercito. Nel mio intimo stabilisco che quì si fa la fine del sorcio, anzi del castoro che è un animale anfibio. Andiamo in camerata alla Bafile, non dopo aver salutato il Leoncino posto su di una colonnetta a sinistra entrando, almeno una ventina di volte: i vecchi dal balcone sopra l'entrata dirigon con grande passione tutte 'ste manovre, alla fine arrivo all'agognata branda con il recondito convincimento che avrei dormito. Un Sergente, certo Osvaldo Berto, mi ordina di fare da piantone fuori della porta della camerata per le prime tre ore di riposo e se qualche vecchio tenta di entrare, mi ordina di andare a chiamare l'ufficiale di picchetto. Rientrano i "nonni" dalla libera uscita, mi vedono più rincoglionito dal sonno che mai,s anno che il momento e molto delicato, cincischiano, qualche parola per minacciare ritorsioni o altro, ridono,rompono le p...e ma poi se ne vanno in branda. All'una vado a chiamare un altro che mi dia il cambio; mi viene da vomitare da quanto stanco sono, mi appisolo,sento urla,grida, tonfi su per il muro, poi il sonno ha la meglio e mi addormento non prima di aver raccomandato l'anima a qualche santo. Se fossi stato più pratico della faccenda mi sarei raccomandato l'anima a San Marco che come tutti i Lagunari imparano dopo, ha fatto parte come cappellano militare di un non meglio identificato Comado che stà molto in alto, anzi, altissimo. Adesso mi fermo perché faccio fatica a coordinare i ricordi ma al più presto vi do appuntamento per il seguito: tutta la naja. Se qualche lagunare in congedo od in servizio si ricorda esperienze simili o vuol intervenire, io rispondo a tutti. Ovviamente se qualche fratello di naja si colloca nel contesto sin qui descritto e vuole contattarmi, sono disponibilissimo a colloquiare. San Marco!!!
*****************************************************************************************
Subject: 2ª Puntata.
Ciao Pierangelo, Presidente della Sezione ALTA di Bergamo. Sono il Lagunare Dino Doveri e per quelli che non mi conoscono,sono quello che ha scritto la puntata precedente del 10 Giugno u.s.e che aveva come argomento il primo giorno d'arrivo al Reggimento, nel 1966. A dirla qui, in parole povere,contrariamente a quello che speravo, nessun contatto è scaturito, ne per ricordare i tempi passati, ne per eventualmente disquisire su quanto era tra le righe, raccontato. É anche vero,come Tu mi dicevi, che non tutti i Lagunari usano Internet e se anche vi fosse un uso da parte dei nostri, nella media, è proverbiale la scarsa propensione nel dialogo per una "forma mentis" ,che li vede in tutt'altre faccende,affaccendati. Per cui insisto! ...."É passata la prima notte per noi "baffetti" al Marghera.Tutto è nuovo, tutto è diverso dal CAR;si teme di non sentire gli ordini a mezzo tromba, si teme di non capire gli usi che qui vigono, ci si guarda attorno per assorbire il più istantaneamente possibile, i nomi,i luoghi, le manie, le particolarità:..ma qui com'è la disciplina?...e con le libere uscite?...e con le licenze?...ma 'sti "nonni" sono poi così terribili?...ed i superiori in grado (cioè tutti) come sono? Così via per interminabili momenti ma tanto non serve a niente perchè ad ogni impatto è una nuova esperienza, una sorpresa. Senza tante cerimonie,come ho saputo si usava in altri Battaglioni, ci danno il "basco nero",a nzi due, accompagnati da due fregi da basco in filo giallo "Corona-Ancora-Fucili" che dobbiamo cucirci sopra nel tempo massimo non oltre il dopo rancio; ci consegnano invece,come fossero reliquie, sei coppie di MAO da polsino, un MAO da camicia estiva, uno strano paio di calzature in tela, ibrido manufatto con alcune somiglianze a stivali da acqua alta e da scarpe da pallacanestro (siamo nel 1966); quattro fori rivettati fanno bella mostra sulla suola! Noi, a domandarci a cosa caspiterina potessero servire: ci soccorre come sempre, l'onnipotente, l'onisciente "nonno" che ci degna di racconti di "sbarchi" descritti con una ferocia tale che quello visto sul film "Salvate il Soldato Ryan" diventa una cosa da "canoe". A proposito di "canoe", il temine proprio, ci era totalmente nuovo, riuscivamo a mala pena ad interpretare quella gergale parola dandogli un significato che andava dal "diverso" al "sottoprodotto dell'Esercito", dall "inutile"all'"infimo" ma una cosa ci entrò subito in testa: anche noi eravamo stati "canoe", ma da quel giorno, quel Leone di San Marco sfavillante sul MAO che dovevamo portare come unica mostrina, (anche quì il Lagunare era differente dalla "canoa" che ne portava due e sul colletto), ci consentiva di chiamarci e farci chiamare "Lagunare"! Un ultimo oggetto ci consegnano prima di farci scattare di nuovo alle camerate:il foulard da collo del Reggimento Lagunari "Serenissima"! Ci sentiamo il cuore gonfio di emozione, orgoglio e ammirazione ed una malcelata commozione nel divenire assegnatari di quel incomparabile distintivo:ancor oggi mi sembra di sentire l'emozione nel rigirarmi tra le mani il serico tessuto rosso-oro con quel bellissimo simbolo che ricordava la potenza della Serenissima Repubblica di Venezia e la commozione che mi assaliva leggendo quel motto stampato sopra e che poi mi accompagnerà per tutta la vita:"...come lo scoglio infrango,come l'onda travolgo...". Via di corsa in camerata a fare le sartine. Mi accorgo che il basco nero non è un basco, ma un copricapo che ha tutte le caratteristiche dei berretti che si vedevano nei documentari di guerra, portati da marinai tedeschi, con le cuciture esterne che tenevano insieme la parte superiore e le tre fasce laterali, il tutto corredato da due, io le ho sempre chiamate "cordelle", lunghissime che arrivavano oltre il collo della camicia, quasi sulle spalle. Ci dissero che il regolamento prevedeva di portare il basco in oggetto, calcato orrizzontalmente sopra le sopraciglia e quindi energica virata sulla destra sino a coprire l'orecchio: cosa impossibile perchè la fattura e la foggia erano tali che il basco bisognava portarlo, e qui scopro un termine nuovo, alla "Marò". Bèh, solo per raccontarvi un'altra mezza giornata, vi ho annoiato per altre ulteriori molteplici righe, ma quando mi metto a ripensare a quei tempi e al vissuto relativo, mi faccio prendere la mano dal voler descrivere i pensieri ed i particolari. Ciao, tra un altro breve periodo, vi do il seguito; resta ovviamente valevole sempre l'invito a commentare e ad agganciarsi al racconto sino ad adesso esteso, con il racconto delle proprie esperienze, naturalmente indirizzate al Sito ufficiale della Sezione ALTA di Bergamo, che come avrete constatato di persona,è la più completa e interessante. San Marco!!! *****************************************************************************************
Subject: 3ª Puntata.
Caro Pierangelo, Ho chiuso il precedente scritto praticamente a "vestizione lagunare" compiuta ed è appena il secondo giorno che mi trovo presso il Btg. Anf. Marghera,sarà circa la fine del Luglio '66. Veniamo a sapere che il Comandante della compagnia Mortai da 120 è un certo Capitano Maddalena, figura piuttosto evanescente, perchè non lo vediamo mai; c'è o non c'è? Praticamente il facente funzione di comandante di compagnia era il Tenente Turchi, persona,mi sembrava amodino, non sbraitava mai, molto misurato, signorile, molto compreso nella sua veste di insegnante di "tecnica mortaistica"; evidentemente il suo regno era l'aula di insegnamento dove cercava di immettere nelle nostre testacce dure, come funzionava e agiva il mortaio; parabola, bomba P.E.P.A., parallellismo, azimuth, cariche aggiuntive, falso scopo.....tutti termini che ci venivano con pazienza estrema, ripetuti decine di volte, ma era dura, ce ne fregava assai a noi di queste cose. Ma Dio vede e provvede.... Intanto notiamo che l'atmosfera cambia: i "nonni" (pochi per la verità, infatti scopriamo che il grosso è a fare la guardia ai cosiddetti "forti o polveriere", quei due o tre gatti che sono rimasti in compagnia attendono vigliaccamente di essere sostenuti nelle loro future scorribande ,dagli altri il cui ritorno ci viene illustrato come una delle sette piaghe d'Egitto), cominciano a reclamare ciò che gli spetta: il nostro sudore ed il nostro sangue di miti "baffetti" freschi di CAR. Si cominicia la bagarre con un paio di "girate" per notte, (ribaltamento totale del materasso, con il legittimo occupante disteso nel sonno, cosicchè ti trovavi a pancia in giù, tra il telo della branda ed il materasso che ti stava dopo, sopra), poi era in uso, appena finito di mangiare, lavare le stoviglie tue e quelle del "vecchio"; altra rottura di palle era costituita del lucidare le scarpe e gli anfibi del nostro amico, ma tutto si manteneva statico in attesa che arrivassero gli altri vecchi dalla polveriera: eravamo in attesa di un qualche cosa che cominciavamo a temere più della morte. Un buon diavolaccio di Sottotenete di complemento, certo Bordon,c he Dio vegli sempre su di Lui, per quanto bravo ragazzo si è dimostrato quando poteva romperci le ossa ed invece non fece, ci introdusse assieme al quel figlio di buona donna e che poi si rivelò quasi come un fratello maggiore, l'allora Sergente Stefano Elisei, alla conoscenza in diretta del leggendario "Mortaio Pesante da 120 mm". La "Bestia" era, lucido d'olio, in tutta la sua fulgida pesantezza, anzi erano mi sembra, sei pezzi, montati in armeria e corredati di zaini portapezzo, congeno di puntamento, paline ed accessori varii, in un'ordine e pulizia sconvolgenti, non un capello, non un granello di polvere, tutto allineato, tutto perfettamente collocato con cura maniacale: e la "Bestia" era lì che ci spettava, composto dai suoi tre pezzi: piastra, bipiede e che Dio lo maledica, il cosiddeto "tubo" o bocca da fuoco! Cominciamo a smontarlo e a spupazzarcelo per capire come sarebbe dovuto essere da noi, poveri diavoli, trasportato; durante questa operazione capiamo subito che il "bimbo" ha una inusitata caratteristica:è strà di là di pesante. Da quel giorno, ogni giorno che Dio mandava sulla terra, ce lo siamo caricato sulle spalle e via in "comprensorio" ad imparare a cosa serviva e come avrebbe dovuto funzionare 'sto affare; incominciai ad avere con 'sto attrezzo, un rapporto d'amore e odio: odio perchè 'sto maledetto,quando marciavi, pesava sempre di più, amore perchè il Sergente Elisei ci aveva convinti che con quell'affare noi mortaisti saremmo stati gli angeli custodi, in un'azione di guerra,dei nostri fratelli di naja assaltatori durante uno sbarco, per cui avremmo dovute divenire così bravi che di noi si doveva dire che "spaccavamo il culo ai passeri", metafora per metterci in testa che la precisione di tiro, da allora, doveva rimanere il nostro unico scopo di vita. Poi vi era la componente della velocità con cui dovevamo assemblare in batteria la "Bestia": quindi ininterrotte serie di arrivi sul posto e assemblaggio del pezzo con tanto di presa di tempo; siamo riusciti,dopo questa portentosa cura di Elisei, a montare il pezzo pronto per il fuoco, in "bolla" e quindi in perfetto essetto, in pochissimi secondi! Cominiciava in noi a formarsi l'idea di cosa si voleva da uno che si fregiava con la qualifica di "Lagunare": non si voleva il meglio...si voleva di più! Quindi, sbudellati da una mattinata di "monta e smonta",q uando qualcuno riteneva che eravamo prossimi all'ammutinamento, ci caricavamo in spalla, (maledetto il "tubo" che ti faceva ondeggiare durante la marcia, maledetto per la postura curva che ti trinciava i muscoli della schiena, maledetto per i suoi 30 Kg che a ogni passo aumentavano non si è mai ben capito perchè) e rientravamo in caserma, non prima di aver ricevuto, passando davanti alla palazzina del Comando di Battaglione, il fatidico e inesorabile ordine "diii....corsa!". Ecco, lì, in quella situazione, stanchi,sudati, provati da una mattinata di "cura Elisei", in pieno Luglio-Agosto,con 'sto pindolo sulle spalle che ti faceva ondeggiare con il pericolo di perdere l'equilibrio da un momento all'altro, io penso che molti di noi saranno stati vicino all'infrangere con un atto inconsulto, quello che è il confine tra il bene ed il male: la soppressione fisica di un essere umano, se esseri umani si potevano considerare i varii Elisei, Berto, Sergenti maledetti, ecc. ecc. Eppure è durante quelle esperienze che ho capito cosa voleva significare (e quì non me se ne voglia se dico che ormai a tutt'oggi è scomparso),lo "Spirito Lagunare". Altro personaggio di triste ricordo, nell'ottica di allora, certo Sottotente Morosini,si diceva che fosse discendente dei Morosini anche Dogi di Venezia, per cui ti voleva far veder lui chi erano 'sti Morosini e questo si concretizzava nel farci metter in tuta da combattimento, quindi ci portava a passo di marcia cosidetto "alla Lagunare", (che poi era un mezzo andamento da "marcia" olimpionica), sino all'entrata della polveriera di Malcontenta, poi ci faceva deviare a sinistra verso Fusina e da lì un bel "diii..corsa", in tuta da combattimento, anfibi di cuoio, e naturalmente basco e fazzoletto,finchè tra vomiti, bestemmie, e promesse di aspettarlo fuori della caserma per regolarizzare il tutto alle vie di fatto, semprechè Lui non avesse voluti avvalersi dei gradi superiori,( cosa che poi, non avvenne mai), la corsa terminava per poi rientrare in caserma sempre con passo alla Lagunare. Morosini..Morosini... Dopo la cura descritta, magari andavi a vedere i cosiddetti "servizi" e come era ovvio nella tua condizione di "stramaledetto baffo", ti scoprivi che quella notte eri stato designato per la tua prima guardia! La mia prima, ma proprio prima prima, vista la mia condizione di evidente e spaventosa stanchezza, qualcuno stabilì di farmi fare il primo turno, alla guardia della cassaforte del Battaglione, nel corridoio degli uffici del Comando: quella fu la prima ed unica volta in cui provai e,porca la peppa.....ci riuscii,a dormire in piedi. Con il mento appoggiato ad un fazzoletto da naso più volte ripiegato perchè facesse da tampone, posto sulla punta della baionetta del Garand appoggiato a terra, rivolto come "il dormitore angolare di fantozziana memoria" verso l'angolo tra due lati del suddetto corridoio, in questa posizione, io sono tutt'ora convinto di essere riuscito, magari per pochi secondi alla volta, di dormire in piedi. Cari e numerosi lettori delle mie avventure militari,anche per questa volta un presentimento mi spinge a pensare che vi ho già portato sull'orlo dell'autosoppressione fisica, per cui stabilisco di risparmiarvi, PER ORA, ulteriori racconti di questa storia vissuta da tutti i Lagunari e vi rimando al prossimo,diciamo così, capitolo, che vorrei titolare:"la calata dei barbari ovvero arrivano i vecchi....". Ciao a tutti i Lagunari e al Presidente della Sez. di Bargamo, vecchia pellaccia, Pierangelo Zanotti, con un sincero San Marco! *****************************************************************************************
Subject: 4ª Puntata.
Caro Pierangelo, questa sera sono di buzzo buono e con un pò di tempo da dedicare alla letteratura raffinata, quindi........ beccati la quarta puntata della mia maestosa opera e come ti avevo accennato, questa, potremmo titolarla "arrivano i vecchi ovvero la calata dei barbari". Ritorniamo con la mente a quella caldissima estate del '66. Malcontenta arsa. Btg Anf. "Marghera". Stiamo armeggiando con le fasi d'istruzione al mortaio e altre cose similari, che arriva la ferale notizia:i nostri "nonni" sono di ritorno da un periodo di guardia ai cosiddeti "forti o polveriere"! La cosa ci mette in stato di allarme ed infatti a metà della mattinata, cosa mai successa, nel bel mezzo di una applicazione nel comprensorio, rientriamo in Compagnia senza nessuna spiegazione plausibile, in tutta fretta. Dopo la pulizia di rito del Mortaio, ci spediscono sopra, nelle camerate che si trovavano ai tempi, nella casermetta "A. Bafile", al secondo piano sopra la sala mensa: subito notiamo che girano per i corridoi, facce mai viste, sogghigni mefistofelici, occhiate per traverso,d a ambo le parti valutazione delle personalità che avevamo di fronte. Lo stomaco in sobbuglio, sensazione di rogne incombenti. Uno mi fa:"tu da oggi ti chiami Buffalo Bill, poi riceverai istruzioni su quanto, cosa, come e quando dovrai fare a sostegno della serena vita che da oggi comincia per noi "vecchi Lagunari". Siccome ad ogni "vecchio" viene assegnato un "baffo", per te che hai la faccia da bamboccio, ti abbiamo riservato Tizio (giuro,non mi ricordo più come si chiamava quell'essere gigantesco che mi avevano benevolmente affibiato come "nonno". Sicuramente dalla parlata, della zona di Portogruaro, più sull'uno e novanta che sull'uno e ottantacinque, voce tonante, pronto alla risata e molto scherzoso, infatti non sono mai riuscito a prenderlo sul serio), che ti farà un c..o così; adesso tu ed altri sei maledetti baffi, andate in cortile dietro la Bafile ed a braccia portate su il "vecchio" che è molto stanco dopo l'affaticante periodo ai "forti". Così, mi ricordo come fosse adesso, andammo giù in cortile dove il soggetto era disteso sugli zaini degli altri vecchi,e ce lo portammo sù,d opo prove e riprove,in camerata per distenderlo delicatamente sulla sua branda. Un particolare mi resterà sempre impresso: gli altri lo portavano a mò di ferito in battaglia, mentre io, su sua specifica richiesta, dovevo: "tenergli sollevata la testa perchè la vecchiaia poteva influire sul suo stato di salute (poteva andargli il sangue alla sua delicatissima testa) e quindi complicargli la vita al fine di raggiungere il sospirato congedo"! Ho una foto impressa da trentacinque anni, nella mente: noi sette coglioni che trasportavamo a braccia su per le scale 'sto energumero come se la sua incolumità e comodità fosse la cosa che più ci importava della vita. Da quel giorno, con buona pace di ufficiali e sottufficiali, non vi fu un attimo di tregua: fare il cubo alla mattina, il tuo ed il suo (il cubo andava fatto nella maniera in cui quando passava ad ispezionarli il sergente d'ispezione o qualche altro disgraziato sadico, e gli lasciava cadere una moneta da cento lire sulla coperta: se questa era ben tesa, la moneta rimbalzava almeno una volta in su, mentre se la coperta ed il cubo erano flosci, la moneta floppava tragicamente, ti disfacevano il cubo e dovevi rifarlo per l'ennesima volta sinchè la moneta saltava), preparare la branda la sera di entrambe, lavare le stoviglie tue e sue dopo tutti i pasti, pulire le sue scarpe ed anfibi (uno spasso....dopo una giornata estiva di marcia gli anfibi erano intrisi di sudore "santo" del Vecchio, per cui l'operazione ci diede modo anche di conoscere in anteprima l'uso della maschera anti-gas), stirare camicie e pantaloni prima che il Vecchio uscisse in libera uscita e poi tutti i servizi che appunto gli anziani non avrebbero più fatto, come scopare, lavare pavimenti (con la segatura, che se ne restava qualche scaglietta magari dietro una gamba della branda, ti ritrovavi in tabella per il prossimo PAO-picchetto armato ordinario, che in sostanza non era altro che nettar cessi, lavar marmitte, scopare il vialetto centrale dalle prime foglie autunnali che ostinatamente si erano messe in mente di cominciare a cadere come prima o dopo fanno tutte le normali foglie di questo mondo a parte quelle dei sempreverdi di cui sembrava che la caserma ne fosse "giustamente" sprovvista. Il momento tragico però arrivava alla notte: e non era uno scherzo perchè e mi ripeto, dopo una giornata di esercitazione con il mortaio, marciare, correre e quant'altro, si sentiva la neccessità di schiacciare un pisolino come Dio lo comanda.....ma i Vecchi imperversavano la notte perchè loro avevano dormito tutto il giorno imboscati di quà e di la.........quindi, gavettoni di vari e sconosciuti liquidi, girate di branda continue,d entifrici ed amenità del genere che alla fine sfocciavano nella rapprsentazione della quale ogni uno di noi si era dovuto specializzare: che faceva il Juke Box,c hi Tarzan, chi la dolce danzatrice del ventre;a me, come prima raccontavo,avevano affibbiato la "parte" di Buffalo Bill..... Vado a spiegare: i Vecchi tutti comodamente sdraiati sulle proprie brande, entravo io dentro la camerata spalancando la porta come fosse quella di un saloon texano, quindi recitavi la filastrocca "...io son Buffalo Bill, i congedi per i nonnini son vicini! Se qulacuno oserà mettere in pericolo i congedi, dovrà passare sotto il tiro delle mie pistole. Buona notte nonnini, i congedi son vicini". Finito di recitare 'sta cretinata dovevo alternativamente saltare sopra una branda,s trisciare sotto un'altra, così via sino ad avere impegnato tutte e dico tutte le brande della camerata, naturalmente sparando di quà e di la con le mani a guisa di revolver, agli immaginari pellerossa che avrebbero potuto danneggiare i congedi dei nonnini, urlando come un forsennato "muori brutto Apache (e quì di solito veniva nominato un ufficiale od un sottuff. in grande auge), schiatta muso rosso (altro nome, magari il ministro della Difesa), bang, bang, fiiii, bang, sfissssc, ecc. ecc., sinchè arrivavo all'ultima branda quindi con un balzo e ci riuscivo sempre, mi arrampicavo sulla mensola metallica sopra la branda dove erano sistemati gli zaini quadrati, e da li soffiavo sulle punte dei due indici, pardon, sulle canne delle Colt, per espellerne il fumo di tanti colpi, come si vede in tutti i film western che si rispettino e terminavo finalmente 'sta indegnità recitando: a morte tutte le schifose firme! Generalmente la schiera dei nonni era soddisfatta della mia prestazione sicchè riuscivo a cavarmela con una sola esibizione. Per notte. Tutte le notti. Io mi son sempre chiesto perchè riuscivo a sopportare sempre bene questo tipo di cretinate senza nessuna reazione? E chi mi conosce sa che ho un caratterino mica male; comunque mi sono anche risposto: perchè mi ci divertivo anch'io! Al culmine della sarabanda, era venuta in uso un altro tipo di cerimonia: appena suonato il silenzio dovevamo agghindarci nelle seguenti condizioni, cose che a raccontarle adesso c'è da vergognarsi seriamente: dunque, calzettoni lunghi ed anfibi di tela, mutende della naja, le cosiddette mutande tattiche, guanti di lana, torso nudo, elmetto con candela accesa fissata in cima, vanghetto tattico; così conciati in quattro baffi per volta andavamo a passo di marcia a presentare i vanghetti, pardon, le armi, a tutti i nonni, quindi prelevare un nonno che portavamo, con tutta la branda, non racconto mai bugie, sino agli orinatoi, dove il nostro, mollemente sdraiato sempre i branda sollevava con fare affaticato il lenzuolo e da li orinava in direzione del cesso del quale lo avevamo messo vicino e di fronte. Quindi ritornavamo in processione nella camerata dove con estrema delicatezza deponevamo il soggetto e ce ne andavamo finalmente, ma non prima di aver recitato la solita filastrocca "buona notte nonnini,i congedi son vicini.......ecc. ecc.". Quando 'sta rappresentazione veniva richiesta verso le due o le tre della notte....bhè...lo ammetto, pure a me passava la voglia di riderci su. Non ci rise su una notte il mio confinante di branda, certo baffo che di cognome faceva Secco e da civile era nelle ferrovie di Mestre mi sembra come apprendista macchinista, quando alla seconda richiesta da parte di un nonno di una seconda rappresentazione, con estrema calma prelevò il vanghetto che era infilato nello zaino appeso dietro la branda e glielo scagliò in direzione della porta sulla quale questo era affacciato,con tanta rabbia ed energia che mezza porta di legno e compensato andò in frantumi: fortunatamente la sua era una cattiva mira ed il vecchio è tuttora vivo. Il Secco fu prelevato tosto e spedito in CPR per qulche giorno,c omunque notammo le incursioni notturne diminuirono sensibilmente e dopo la tragica messinscena della cosiddetta "comunione", (i nostri,forse rattristati e frastornati dalla faccenda del vanghetto scagliato ad altezza testa, ridimensionarono la faccenda della fetta di patata lasciata a maturare per giorni nelle orine dei vecchi, in sostanza la cara e vecchia "comunione" di militar memoria, portando una variazione alla preparazione, usando poi dell'aceto e del buon vecchio pepe e peperoncino messicano. Ha! Cosa non si sarebbe poi fatto, per un venghetto volante! Il mio periodo al Btg. Anf. "Marghera" riserva ancora qualche fatto eclatante e pure un'inopinato ed inprevedibile trasferimento al Btg Anf. "Isonzo" in quel di Villa Vicentina, il nome è una garanzia, chiamata anche da i più estroversi, VILLA TRISTE! Ciao a tutti e non temete, ci sarà un seguito. So che in fondo in fondo, ma tanto in fondo, mi amate. *****************************************************************************************
Subject: 5ª Puntata.
Ciao Presidente, oggi, giorno di Natale, sono solo a casa, mia moglie è partita per un giro di visite parentali, mia figlia, per andarsene in giro con il ragazzo. Quindi, come era prevedibile, dopo avremi visto una cassetta video, visti i programmi che immancabilmente ogni Natale le varie TV ti ammanniscono, non ho resistito e mi sono attaccato al computer e ho pensato di dar seguito ai miei racconti di naja a puntate. Quindi, ammazza alla perseveranza, siamo arrivati alla quinta puntata: mi schiaffo dentro un CD dei Dik Dik (lo so, non è il massimo della modernità, ma queste furono le mie musiche; anzi, mi aiutano a ricordare proprio quei tempi...), e mi concentro nel ricordare i fatti di quei momenti. Siamo ancora nell'estate del 1966 ed io mi trovo in servizio alla Cp. Mortai da 120mm del Btg Anf: "Marghera" in quel di Malcontenta. Tra pochi giorni si verificherà il fatto che mi vedrà migrare al "mitico" Btg Anf. "Isonzo". Intanto la vita di caserma si svolge tra alti e bassi. Alla sera, quando i servizi me lo permettono (non dimenticate, sono un "baffo", per cui tutti i picchetti armati ordinari, PAO, nome militarizzato che approssimativamente inquadra coloro che per quella sera andranno a pulire i cessi truppa, i marmittoni della cucina, il viale centrale, le stoviglie del circolo ufficiali e sottufficiali, spaccio ed altre mirabolanti sorprese sempre in agguato), me ne fuggo a Mestre a vedermi un bel film o a strangolarmi un pizza pluristratificata, per cui risco anche a diluire la micidiale vita di caserma. Faccio amicizia con un Sergente bresciano, mi dice che da civile lavora presso una fabbrica d'armi a Gardone Valtrompia, piccolino, capelli biondo-rossicci, adetto all'armeria di Compagnia, che in occasione di un controllo mi chiama con un altro baffo a dargli una mano a riordinare l'armeria: com'è mia abitudine, ci tengo a far sempre le cose fatte per bene e quindi con l'altro, ci diamo da fare come matti ma alla fine l'armeria della Mortai è uno specchio: arriva l'ispezione ed il sergentino viene complimentato per lo stato dell'Armeria. Da quella volta, quando il nostro è caporonda, ci convoca per essere assegnati a questa: la ronda a Marghera era fantastica, ci vedevamo due film (l'accesso ai cinema era abbligatorio e gratuito), qualche bar dove scappava sempre che ti offrissero qualche cosa (più da bere che da mangiare per la verità), per cui più di qualche volta rientravamo alquanto fatti di ombre. Quando mi viene alla mente il Sergentino bresciano, la memoria è offuscata da una grande malinconia per un fatto che successe tra noi e che purtroppo non fu mai chiarito: c'era in aria la possibilità che si verificasse un controllo analitico del materiale d'armeria, così ci mettemmo con registri, calcolatrici e quant'altro a fare un bell'inventario di tutto il materiale in dotazione; una battuta tira l'altra ed io chiedo al sergente: "quanti mesi di arresti ti becchi se manca, magari, un cinturone od una fondina?". Il Sergentino mi sgrana tanto d'occhi e non vuole neanche considerare una tale evenienza ,per cui ci raccomanda di non fargli scherzi, anche perchè il furto, era diventato il passatempo preferito da gran parte dei commilitoni, quindi ci scherza su asserendo che non saremmo riusciti a portargli via neanche un'ago infilato in quel posto. Una sfida, insomma! Noi, di contro, che lo scherzo glielo volevamo fare, pensammo bene di imboscarci nelle tascone della tuta mimetica, proprio una fondina della Beretta '34, in canapa, per poi, una volta finito il lavoro e usciti dall'armeria, fargli vedere che eravamo riusciti a far scappare fuori qualche cosa sotto il suo naso. Così non fu, porca miseria. Il nostro, più furbo di quel che dava a vedere, all'uscita ci blocca e ci perquisisce sicchè saltano fuori le fondine: lui si incazza e ci assicura che con l'armeria e con la ronda abbiamo finito; noi a spiegargli che volevamo solo fargli uno scherzo e che una volta fuori dell'armeria gli avremmo reso le fondine...discussione acerba, quasi scontro, noi come due coglioni presi in flagranza di reato, lui indignato che quasi ci piangeva sopra per la fiducia impropriamente accordataci, noi, aria da "riflettiamoci su con calma", volevamo sprofondare dalla vergona di quell'atto all'apparenza, goliardico, che poi capimmo, programmato male e peggio finito, sicchè quella che era una bella amicizia si ruppe per un quì pro quò e tutt'ora dopo tanti anni nel ripensare a quella storia, mi fa male il cuore, prima di tutto per aver dato addito alla certezza d'essere gente di poca onestà e poi perchè stò sergentino bresciano di cui non mi ricordo più il cognome, era veramente un bravo ragazzo e il fatto di avergli indirizzato un torto anche se inopinato, mi è restato per tutta la vita come una spina sul cuore e sulla mia coscienza di lagunare: Amico mio, se mai Tu dovessi leggere queste righe, sappi che proprio perchè scritte dopo tanti anni, dovresti cercare di capire che esse sono vere e che mai Ti avremmo messo in una situazione negativa per colpa nostra, quindi se potrai, non dico perdonaci perchè il nostro voleva essere solo uno scherzo, ma almeno cerca di capire il nostro fare con trentacinque anni di saggezza in più,da quei tempi: Ti assicuro, se Ti riconoscerai nel racconto, contattami, perchè per me sarebbe una grande cosa rivederTi e finalmente chiudere una partita che mi ha rattristato, quando affioravano i ricordi, per Lungo tempo. Bando alle tristezze e ritorniamo a quelle sere calde dove finito di pulire marmittoni della pasta con il solo ausilio di terra e sabbia raccolta sul posto per mancanza di detersivo, dopo aver raccolto foglia per foglia dal vialetto centrale della caserma, dopo avere scrostato la cacca di una giornata, nei cessi che c'erano dietro la vecchia "Bafile", impiegando come strumenti specializzati, dei rami strappati agli alberi della caserma, ....il giusto riposo. C'era, guardando lo spaccio odierno, a destra, subito a fianco, una specie di giardinetto con fontanella-piscinetta ed annesso una specie di gazzebo-capannina dove trovavasi un distributore di Coca-Cola, un calcetto ed un gigantesco Juke-Box; ebbene, quello era divenuto il nostro punto di aggregazione, di riposo, di sogni ad occhi aperti. E giù, a raffica, senza intervalli, a metter monete da 100 lire con una delle quali si potevano ascoltare tre pezzi musicali: ed ecco, come accennavo all'inizio, uscire da Juke-Box le voci dei Dik Dik con la magnifica " "Sognando la California", le menti andavano alla famiglia, alla ragazza, alla casa, la nostalgia invadeva i cuori, qualche lacrima anche ci scappava..."cielo grigio sù, foglie gialle giù, cerco un pò di blu dove il blu non c'è....". Ma domani sera non siamo di servizio e via tutti al cinema, poi passeremo dalla Stazione di Mestre, alla Casa Rossa (Caserma della Finanza di Marghera), attraverso i binari dove ci faremo quattro risate nel vedere la fila di Canoe Terruncielle (allora alla caserema Matter, ecco perchè oggi non mi è simpatica quella impersonale caserma) che attendevano il turno per farsi una "sveltina" con le prostitute che allora vivevano con gli sfoghi giovanili dei militari per la maggior parte meridionali, perchè come diceva il mio futuro Capitano Canfora dell'Isonzo: "Noi meridionali fottiamo perchè in mente abbiamo sempre quella... voi polentoni avete in mente solo di fadigà, perciò fottete poco". Ogni uno aveva le sue idee, immaginiamoci se si potevano mettere in dubbio le idee del Capitano Canfora, comandate della Compagnia Mortai a Villa Vicentina....per cui siamo arrivati che mentre eravamo in comprensorio ad esercitarsi con il mortaio da 120 mm (pessimo soggetto), arriva il Tenente Turchi e spedisce un certo Salvagno, chioggiotto e per di più pescatore, con una scusa, da qualche altra parte e poi attacca la brutta notizia:"Quì qualcuno deve fare armi e bagagli e andarsene a Villa Vicentina". Ma dato che anche questa volta mi sono dilungato in particolari che giungono improvvisi alla mente, un pò di "suspance"...il seguito ve lo racconto la prossima puntata. Ciao, vecchiacci maledetti, abbiate fiducia, prima o poi concluderò. San Marco!!! | |||||||
. | Tutti coloro che volessero contribuire con aneddoti e storie lagunari, sono pregati di contattarmi all'indirizzo alta_bg@yahoo.com | ||||||
. | |||||||
Torna all'indice delle Storie di Lagunari | |||||||
.. |
Copyright © 2001-2018 - A.L.T.A. Associazione Lagunari Truppe Anfibie - Sezione di Bergamo