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. | Un Leone Marciano per lo Zio Sam
Continuo nel far seguire quanto ripromessomi alla precedente segnalazione relativamente lo studio “Sotto il segno del Leone”. Questa è però una pregevole fatica del nostro Lagunare Furio Lazzarini e non di un suo collaboratore di testata. Eccezionale lavoro, scrupoloso, e per il materiale scovato e per la puntigliosità descrittiva (già a mia volta tempo fa, avevo proposto il tema, qui “ex-novo” e redatto alcune considerazioni e collegate poche foto riguardanti lo strano “Leon”), ma ora il Lazzarini compie un “escursus” ben più ricco e professionistico del mio modesto, diciamo “passatempo”. Ci fornisce poi tutta una serie d'immagini connesse al tema, nonché notizie e cenni storici, direi inediti, il tutto in concessione al Sito in esclusiva dalla Rivista da lui diretta “Armi & Uniformi”. D’altro canto dal nostro Furio Lazzarini non ci si poteva che attendere cose di grande caratura. Non a caso mi pregio inviare al Sito per l’apertura della trattazione storica che di seguito pubblichiamo, un riquadro apparso su “ La Nuova Venezia del 03.03.10”, dove con vivo compiacimento apprendiamo che il nostro consociato è stato nominato Consulente Storico del Comune di Jesolo, luogo dove in località Cortellazzo, verrà finalmente creato un progetto museale attinente alla Grande Guerra. Conoscendo la grande passione che spinge l’Amico Furio, siamo certi che la sua consulenza e diretta partecipazione a questa lungimirante iniziativa della mia Città, non potrà che essere un sicuro successo. Cortellazzo e le zone limitrofe per quanto attiene Jesolo, furono teatro di furiosi combattimenti e non dimentichiamo, gli Austro-Ungarici non riuscirono a stappare… lo Champagne al Caffè Florian di Piazza San Marco, anche per l’immane lavoro profuso da gloriosi reparti che con noi hanno collegamenti di non poco conto. Vedi Genio Zappatori Pontieri “Lagunari” e quel Reparto, poi denominato “Battaglione San Marco”, inquadrato nel quale diede la vita l’Eroe Andrea Bafile: in onore dell’ Ufficiale saranno dedicate alcune caserme assegnate al Rgt. Lagunari Serenissima. Ritornando al nostro Autore, con vivo sentimento d’amicizia e cameratismo, invio da questi tipi le più vive congratulazioni da parte dell’ALTA e dello Staff del Sito, per il conferimento dell’onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana. Un sonoro e convinto “Alla Voce!” San Marco! Lagunare Dino Doveri
Un Leone marciano per lo zio Sam di Furio Lazzarini
L’US-Army era entrato nella Grande guerra già nell’aprile del 1917, ma lo sforzo bellico americano si era concentrato sul fronte francese. Soltanto nella tarda primavera del 1918, nell’incombenza dell’offensiva austroungarica sul Piave, il Congresso decise di sostenere concretamente gli Alleati italiani inviando il 332nd Infantry Regiment dell’Ohio a rappresentare l’aiuto degli Stati Uniti. La loro fu una breve e strana guerra, con più caduti per malattia e incidenti che in battaglia. Rimane l’innegabile vittoria sul fronte propagandistico e la prima operazione americana di peace-keeping nei Balcani, con gli stessi significati di quella che andranno a reiterare ottant’anni dopo.
Diversi nostri lettori sembrano aver apprezzato la figura col completo appartenuto ad un soldato americano sul fronte italiano nell’estate del 1918, pubblicata nel numero 148 di luglio sulla rubrica Uomini & Armi, chiedendoci di approfondire questa curiosa tematica, richiesta cui aderiamo volentieri. La storia del 332° Reggimento di fanteria dell’83^ Divisione, era iniziata il 30 agosto del 1917 a Camp Sherman nell’Ohio dove avevano cominciato ad affluire i volontari reclutati localmente, in buona parte d’origine italiana, provenienti dai distretti di Cleveland, Youngstown e Akron. Dopo esser stato costituito e organizzato, il 18 novembre fu trasferito nel centro d’addestramento di Camp Perry, situato nelle vicinanze del Lago Erie, dove gli uomini presero dimestichezza all’uso delle armi. Dopo tre intense settimane, caratterizzate da un tempo inclemente in tende che offrivano ben poca protezione dal gelido vento sferzante, pioggia, fango e neve che costrinsero a marcar visita gran parte del personale, l’11 dicembre il reparto rientrò a Camp Sherman. Qui trascorse i primi mesi del 1918, fino alla primavera, quando l’addestramento poteva dirsi concluso e il reggimento era pronto per l’imbarco verso il fronte europeo. Il 25 maggio iniziò il trasferimento per ferrovia a Camp Merrit nei pressi di New York e, alle 8.15 dell’8 giugno, il piroscafo Aquitania della compagnia Canard, noleggiato per l’occorrenza, lasciava gli ormeggi alla baia di Hudson iniziando la traversata dell’Atlantico. Dopo sette giorni di navigazione, l’Aquitania giunse a Liverpool in Gran Bretagna. Da lì, nuovamente in treno, il 332° raggiunse Southampton da dove eseguì la perigliosa attraversata del Canale della Manica, infestato dagli U-boot tedeschi, giungendo indenne a Le Havre. Il fronte francese era quello originariamente previsto per l’impiego del reggimento, ma la difficile situazione venutasi a creare su quello italiano dopo Caporetto, e l’offensiva austroungarica in avanzata fase di preparazione sul Piave (Operazione Albrecht), assieme alle pressioni del Congresso che intendeva rispondere alle richieste del Ministero della Guerra, imposero al comandante dell’A.E.F. (American Expeditionary Forces), generale John Pershing, l’invio di un contingente. Pare che la decisione di scegliere il 332° per il fronte italiano sia stata determinata semplicemente dal caso, trattandosi dell’ultima unità appena sbarcata sul suolo francese e per cui Black Jack Pershing non aveva ancora fissato una specifica collocazione. Il 25 luglio il reggimento iniziava il trasferimento verso l’Italia, arrivando alla stazione centrale di Milano alle ore 15 del 28 luglio, dove fu festosamente accolto da una fanfara italiana che provava a suonare The Star Spangled Banner, tra ragazze che donavano mazzetti di fiori e grandi sventolii di bandiere statunitensi e savoiarde. Il festino durò troppo poco, e subito dopo il convoglio già tornava a muovere verso Villafranca (Verona) dove i camion del Regio esercito italiano attendevano gli americani per trasportarli alla vicina base di Sommacampagna. Le condizioni non erano delle migliori, per l’insalubrità dei luoghi e carenze igienico-sanitarie: si verificarono intossicazioni alimentari, epidemie di salmonellosi e diversi casi di dissenteria, anche gravi, che causarono un decesso e parecchi ricoveri. Il col. William Wallace comandante del reggimento, chiese quindi di spostare il campo a Valeggio sul Mincio, dove la situazione ambientale e logistica si presentava senza dubbio migliore.
Nella nuova sede i doughboys (soprannome con cui erano chiamati i soldati americani durante la Grande guerra, dalla controversa origine etimologica) meglio s’acclimatarono, iniziando una specifica preparazione alle tecniche d’assalto e difesa. Wallace fece realizzare un realistico campo di battaglia, con tanto di trincee contrapposte, disposte su più ordini, lasciandovi gli uomini per turni di settantadue ore continuative, per poterli preparare alle vere condizioni della guerra di trincea. Per migliorarne il realismo, il dinamico colonnello richiese ed ottenne la collaborazione di Arditi italiani, veterani del fronte, che addestrarono gli americani agli assalti anche con spettacolari dimostrazioni pratiche a fuoco. L’eccessivo entusiasmo, l’inesperienza e la scarsa familiarità con armi e ordigni, anche di produzione italiana o di preda bellica austriaca, furono causa di diversi incidenti, tra cui uno di una certa gravità: esplose un lanciagranate Stokes uccidendo ben sette soldati e ferendone seriamente altri quaranta. Questa disgrazia, come vedremo oltre, al 332° costerà più perdite che non l’unico vero combattimento sostenuto durante l’offensiva di Vittorio Veneto! Incidenti a parte, il 332° aveva positivamente concluso l’addestramento e gli uomini erano frementi d’entrare in azione, animati da spirito nazionalistico e dalla voglia di far ben figurare la potenza della loro giovane nazione. Nella mattinata del 1 agosto, l’intero 332° si concentrò al campo d’aviazione di Ganfardine a nord est di Villafranca dove, nel corso di una solenne cerimonia, il reggimento fu passato in rivista da Vittorio Emanuele III che porse agli americani il saluto della nazione e dei combattenti italiani. Il 2 ottobre giunse finalmente l’agognato ordine di partenza verso il fronte del Piave, effettuato con marce notturne d’avvicinamento. Il 1° e 2° battaglione attraversarono Treviso (4 ottobre) spostandosi nelle campagne circostanti lungo il corso del Sile, dove si esercitarono nel superamento dei fiumi, in preparazione del previsto vero assalto sul Piave. A distanza di qualche giorno, giunse anche l’ultimo battaglione e il 332° al gran completo era pronto ad iniziare la sua …strana guerra! Dopo esser stato inquadrato col contingente britannico nella X Armata, dal mese d’ottobre fu posto alle dipendenze della III Armata del Regio esercito italiano, dispiegata da Treviso fino alla costa adriatica. Di buon mattino, ciascuna compagnia del 332nd Infantry Regiment veniva preparata in ordine di marcia allungato, badando di far procedere i soldati in fila doppia, dando così l’impressione d’esser composta da molti di più uomini di quanti in effetti fossero. Le strade percorse erano le più vicine e visibili dalle prime linee italiane e nello stesso tempo a quelle austriache, poste sulla sponda sinistra del Piave. La finalità di queste manovre aveva la duplice funzione di rincuorare i combattenti italiani, che ritenevano di poter contare sul vicino appoggio di massicce forze statunitensi, ma nello stesso tempo confondere i comandi austroungarici sulla consistenza numerica dell’avversario. Si giunse anche a curare al massimo i più piccoli dettagli, modificando buffetterie, equipaggiamento personale, armamento… per più volte nel corso della stessa giornata: gli uomini marciavano calzando ora l’elmetto M1917, ora la bustina (Overseas Cap M1918), ora il caratteristico Montana Peak o Campaign Hat M1911. Ma anche le ghette in canapa venivano avvicendate dalle fasce mollettiere, gli zaini erano tolti e lasciati sul ciglio dei fossati, si scambiavano le bandiere del Reggimento, dei battaglioni, compagnie e dei singoli plotoni, sempre badando di effettuare tutte queste operazioni al riparo da sguardi indiscreti. Col continuo cambio d’equipaggiamenti veniva contestualmente variato anche il senso di marcia dei reparti, da sud a nord e viceversa. In buona sostanza, tutte le stradine del trevigiano affacciate verso il Piave erano percorse da un continuo andirivieni di militari in uniforme cachi, che per giunta dimostravano una disinvolta sicurezza e tranquillità, marciando in pieno giorno ad insegne spiegate, anche in zone esposte ai tiri dell’artiglieria nemica. E che gli austriaci risultassero sorpresi e preoccupati di questo via vai, lo si comprese dai loro palloni d’osservazione che, sempre più spesso, s’innalzavano per controllare quell’inconsueto movimento di soldati. Ed arrivavano tanto vicini che i mitraglieri del 332° riuscirono anche a colpirne ed abbatterne due. Così, gli austriaci si andarono sempre più convincendo di aver di fronte almeno metà dell’esercito degli …Stati Uniti d’America!
Ma gli uomini erano stremati da queste marce, apparentemente inutili e stancanti, e solo la rigida disciplina impostata dagli ufficiali riuscì a contenere i mugugni e ad ammansire i soldati, con l’immancabile promessa di poter presto andare a …menar le mani contro gli unni! Solo col favore delle tenebre, e dopo intere giornate trascorse marciando, gli spossati doughboys tornavano finalmente nelle loro brande. Nella notte del 21 ottobre, una squadriglia di aerei austriaci compì un’incursione sugli accampamenti del 332° sorprendendo profondamente addormentati gli esausti soldati: l’impreciso raid austriaco, durato appena undici minuti, non aveva fortunatamente causato vittime, ma gli americani dovettero subito rivedere le loro idee sui turni di guardia e sulla difesa antiaerea. Nel frattempo fervevano i preparativi per l’offensiva finale contro gli austroungarici e il 332° fu assegnato alla 31^ Divisione del Regio esercito italiano raggiungendo, il 28 ottobre, il settore del fronte affidatogli che si estendeva per un paio di chilometri lungo le sponde del Piave, a fianco della Brigata Veneto, vicino al paese di Varago (Treviso). Il 31 ottobre, il 332° fu posto in avanguardia della 31^ Divisione e alle ore 9 attraversò il Piave, incalzando le retroguardie nemiche che rapidamente già ripiegavano, procedendo verso il Tagliamento che fu raggiunto nel tardo pomeriggio del 3 novembre. In vista della linea di difesa impostata dagli austriaci al di là del fiume, gli americani stabilirono di ritardare l’attacco, guadando il fiume all’alba del mattino seguente. Per la notte, il col. Wallace dispiegò il reggimento su un fronte largo circa cinque chilometri, ponendo il 2° battaglione sull’ala destra, il 3° a quella sinistra e il 1° al centro, quest’ultimo in posizione arretrata come riserva. Dalla sponda opposta, ancora saldamente presidiata da un battaglione austriaco in armi e ben appostato, il silenzio della notte fu rotto dalla voce di un tenente asburgico che invitava gli americani a non attaccare, poiché un armistizio era ormai imminente. Il capitano Austin Story, comandante del 3° battaglione, non avendo ricevuto alcuna notizia in tal senso, replicò agli austriaci che avrebbero piuttosto fatto meglio a tener basse le loro teste (we're going to blow you up, get your heads down)! Alle 5.40 del 4 novembre, il 2° battaglione comandato dal maggiore Scanland, mosse col favore delle tenebre attraversando il letto del fiume, in corrispondenza delle rovine del Ponte della Delizia fatto brillare dai genieri austriaci. Appena raccoltisi sull’altra sponda, i fischietti dei sottufficiali lanciarono all’assalto le Compagnie K e H (quest’ultima in retroguardia) portato con fucili, bombe a mano e fucili-mitragliatori, cogliendo di sorpresa i difensori. Invero, le mitragliatrici e i cannoni austriaci risposero, reagendo con un vivace fuoco d’artiglieria e con le mitragliatrici Schwarzlose, tuttavia i tiri si concentravano sulla sponda opposta del fiume, sulle posizioni di partenza da poco abbandonate dagli americani. In meno di venti minuti, al minimo costo di un caduto (il caporale Charles S. Kell, colpito da un proiettile in piena fronte) e sei feriti, gli assaltatori di Scanland ebbero la meglio e il 332° fu il primo reparto Alleato ad oltrepassare il Tagliamento. Consolidata in profondità la testa di ponte, con la cattura di diversi nidi di mitragliatrice e di qualche cannone, il 332° si spinse verso Codroipo dove catturò intatto un enorme deposito di armi, munizioni e materiali. Alle ore 15 del 4 novembre entrava in vigore l’armistizio e cessavano le ostilità, ma per gran parte della notte gli americani rimasero impegnati a rastrellare e concentrare i prigionieri, che ormai affluivano a decine di migliaia. Tra questi vi erano alcuni generali e ufficiali di Stato Maggiore che, quando interrogati dal col. Wallace, si dichiararono increduli sull’esiguità delle forze statunitensi che avevano creduto di fronteggiare: secondo il loro controspionaggio, sul fronte italiano dovevano operare almeno sei divisioni per un complesso di circa 300.000 uomini! Lo stratagemma di Treviso, pareva quindi aver funzionato oltre le più rosee aspettative, tanto che i generali austriaci si sentirono canzonati da Wallace, rifiutando sdegnosamente di credergli. Secondo degli storici d’oltreoceano, questa incruenta operazione di camuffamento e propaganda si dimostrò invece di grande efficacia, poiché contribuì a demotivare ancor più i già scoraggiati soldati di Cecco Beppe, ma di riflesso concorse anche a far risparmiare un certo numero di vite umane. Nei giorni immediatamente successivi, agli uomini del 332° furono distribuite medaglie e riconoscimenti, e il colonnello Wallace ricevette la Distinguished Service Order britannica mentre il maggiore Scanland la Medaglia d’argento al valor militare dagli italiani, per l’azione sulle rive del Tagliamento.
I termini dell’armistizio consentivano adesso il libero movimento degli eserciti Alleati sul suolo austriaco e la strada per Berlino si era quindi aperta da meridione, così il 332° ricevette l’ordine di muovere verso l’Austria inferiore. Attraversati Rivolto, La Santissima, Pozzuolo, Buttrio, Orsaria, Ipplis e Cormons, fu raggiunta Tolmino, dove pervenne anche la conferma della resa tedesca senza condizioni (11 novembre). Mentre gli uomini apprendevano del secondo armistizio, la loro felicità ebbe vita breve poiché, almeno per il momento, non si ritornava ancora a casa: il col. Wallace già riceveva istruzioni per dividere il reggimento e procedere all’occupazione di difficili territori appartenuti all’Impero asburgico e ora rimasti in balia di se stessi. Dopo alcuni giorni spesi in attività d’ordine pubblico nell’alto Friuli e in Austria, un plotone del 2° battaglione ricevette l’ordine di raggiungere Mestre, dove congiungersi con l’intero 3° battaglione che lo seguiva appresso. Raggiunto il porto di Venezia, il 15 novembre questo primo contingente americano si imbarcò alla volta di Fiume sul cacciatorpediniere Audace, la stessa unità che pochi giorni prima aveva sbarcato il Re d’Italia Vittorio Emanuele III a Trieste liberata, in quello che oggi appunto si chiama Molo Audace. Giunsero nel porto di Fiume nella mattina del 17, freddamente accolti dalla sospettosa popolazione in una città che pareva italiana, imbandierata in ogni dove del tricolore. Poco dopo, partiva da Venezia anche il resto del 2° battaglione, imbarcato sulla nave ospedale austriaca Argentine di preda bellica, ormeggiatasi il 28 novembre nella baia di Cattaro in Dalmazia. Fu così avviata, ante-litteram, quella che oggigiorno si definisce missione di peace-keeping, ponendo dei presidi a Cetinje e in altri centri del Montenegro, tra cui Cattaro, Zelenika e Teodo. Nella turbolenta area dei Balcani, infatti, si moltiplicavano i moti autonomisti e gli scontri tra etnie, bande e fazioni, quando faticosamente nasceva l’artificiosa unione jugoslava e mentre altri ancora rivendicavano l’italianità delle regioni Istria e Dalmazia. Nei più tranquilli presidi di Fiume e del Quarnaro la presenza americana si limitò al controllo e mantenimento dell’ordine pubblico, col 3° battaglione e il plotone del 2°, mentre nell’area montenegrina la situazione era assai problematica e turbolenta, e il grosso del 2° battaglione si ritrovò più volte a frapporsi negli scontri a fuoco tra parti rivali. Conclusa con successo la propria missione nel febbraio del 1919, il 332° si predispose al rientro in patria. I contingenti del 2° e 3° battaglione impegnati oltre Adriatico, si riunirono a Genova, presto raggiunti dal 1° che era invece rimasto a presidiare l’Austria inferiore e da altri reparti provenienti dalla Francia. Il primo marzo fu effettuata la distribuzione generalizzata del nuovo patch reggimentale, già autonomamente adottato dagli ufficiali che se l’erano fatto confezionare quando a Venezia. Il 29 marzo, il piroscafo Canopic e il transatlantico Duca D’Aosta partivano alla volta di Marsiglia e Gibilterra prima, New York poi. Dopo la grande sfilata nella Fifth Avenue, presenti oltre 350.000 spettatori festanti, il 332° cominciò il proprio viaggio a ritroso, passando per Camp Merritt e poi a Camp Sherman nell’Ohio. Il 26 aprile il reggimento sfilò per l’ultima parata, attraversando le strade di Cleveland, con in testa il comandante Wallace seguito dai 350 soldati originari di quella città, che anticipavano lo sfilamento dell’intero reparto. In un tripudio di bandiere, coriandoli e stelle filanti, si concludeva così la breve storia dei doughboys che esibivano orgogliosamente al braccio la loro bella insegna rosso-oro, costituita dal leone alato di San Marco a ricordo del fronte d’operazioni adriatico. Tra il 2 e il 5 maggio del 1919 fu completata l’intera smobilitazione dei tre battaglioni che avevano composto il reggimento. E’ difficile dire quanto significò la presenza statunitense nell’Italia del 1918, senz’altro troppo tardiva per incidere sul conflitto. Tuttavia, per il morale di militari e civili la presenza dei figli di quella lontana superpotenza emergente, fu importantissima, convincendoli della sicura vittoria! Non troppi anni fa, un anziano agricoltore veneto ci raccontava con affetto di quei soldati vestiti di cachi che quando ragazzino aveva incontrato, intenti ad abbeverarsi alla fontanella del viottolo antistante al suo podere. Ne aveva osservato con curiosità gli zaini lasciati accuratamente allineati sulla sponda del fosso, pensando fossero rimasti lì per alleggerire la fatica delle marce. Di loro, ancora ricordava i ritornelli delle canzoni che ne ritmavano le marce, ma anche la loro determinazione, l’impegno e sicurezza in ogni cosa facevano. Con questi… mica possiamo più perdere – sosteneva convinto Bepi – e non si sbagliava!
Attorniato da baffuti generali ed ufficiali dello Stato Maggiore della I Armata del Regio esercito italiano, è qui ritratto il col. William Wallace comandante del 332nd Infantry Regiment. (foto tratta da: www.uniformisgaggero.altervista.org)
Il settimanale illustrato La Domenica del Corriere dell’11-18 agosto 1918 enfatizzava l’arrivo dei rinforzi americani in Italia e la copertina era stata dedicata alla rivista effettuata il primo agosto da Vittorio Emanuele III ai doughboys del 332nd Infantry Regiment. (collezione privata)
L’imponente stazza del maggiore Scanland, comandante del 2° battaglione e futuro protagonista dell’assalto a Ponte della Delizia (PN) mentre posa con un collega italiano, tenente di Stato maggiore, durante la cerimonia al campo d’aviazione di Ganfardine (VR) del 1 agosto 1918. Il caratteristico cappellaccio (Campaign Hat M1911) sarà poi sostituito al fronte dalla più pratica bustina (Overseas Cap M1918) introdotta nel 1918, e ispirata a quella francese (Bonnet de Police). (foto tratta da: www.uniformisgaggero.altervista.org)
La Grande guerra riunisce i fratelli Costa, che nel 1918 tornano ad incontrarsi dopo anni: mentre Isidoro serviva come graduato nella fanteria nel Regio esercito italiano, Calogero era emigrato negli Stati Uniti e poté rientrare in Italia approfittando di un passaggio dell’US-Army, pur dovendo vestire l’uniforme cachi del 332nd Infantry Regiment. (foto tratta da: www.cimeetrincee.it)
Pochi ricordano che proprio i doughboys del 332° furono i primi a adottare in maniera organica il leone marciano come insegna reggimentale, ancor prima della diffusione di tale emblema nelle stesse Forze armate italiane. L’adozione del fregio reggimentale risale al 1918, quando i primi esemplari furono prodotti localmente e prioritariamente distribuiti agli ufficiali, mentre la truppa lo ottenne il 1 marzo 1919 a Genova. L’esempio illustrato è cucito alla manica della giubba mod. 1903/17 appartenuta al soldato James V. Romeo. (collezione privata)
Un’altra versione del patch reggimentale in cui si verificano i medesimi filati di canutiglia e l’accuratezza del ricamo riscontrata in molti degli esempi analizzati. Un identico esemplare segnalatoci da un noto collezionista americano, sulla fodera bianca in raso di seta applicata posteriormente (versione per ufficiali?!) reca un timbro ad inchiostro nero, con la dicitura Bragadin–Venezia, senz’altro riconducibile al fornitore. Ciò parrebbe indicare un produttore di fiducia degli americani, forse proprio quel Bragadin di Venezia citato da talune fonti, ma di cui non abbiamo trovato traccia. Secondo i collezionisti d’oltreoceano, quello del 332nd è tra gli esemplari più affascinanti per design e per il contrastante effetto cromatico della canutiglia dorata sul fondo rosso scarlatto. Della sterminata serie di patch militari dell’US-Army, è ritenuto in assoluto il più raro e ricercato, come confermano esemplari venduti in recenti aste per oltre 600 dollari, cifra davvero ragguardevole per tali insegne! Per questa ragione già circolano degli ottimi falsi finemente ricamati a mano in Pakistan, che fortunatamente presentano filati di canutiglia piuttosto difformi dagli originali, almeno per il momento! (collezione privata)
Il pugnale sturm-messer austriaco tolto dai resti di un militare ungherese caduto il 4 novembre 1918 a Ponte della Delizia (PN) e usato poi dal soldato James V. Romeo, che sul manico vi volle incidere le proprie iniziali (VJR). La taschetta di sospensione in cuoio grigioverde è invece quella per la baionetta italiana mod. 1891, debitamente modificata al retro. (collezione privata)
Il primo pugnale da assaltatore, di produzione artigianale, adottato dal soldato Romeo dopo il suo arrivo sul Piave. Ricavato da uno sturm-messer mod. 1917 modificato, fu realizzato da lui stesso o da un commilitone, essendo evidente la fattura americana. Le guancette in ottone sono ricavate dal fondello d’un bossolo d’artiglieria, le cuciture sul fodero in pelle marrone-rossiccio sono realizzate con del sottile filo di ferro. (collezione privata)
L’autorizzazione a fregiarsi della Medaglia istituita a ricordo della guerra ’15-’18 conferita al Pvt. Inf. (Private Infantry, soldato di fanteria) James V. Romeo, rilasciata a Roma il 30 ottobre 1925. In basso reca il facsimile della firma dell’allora ministro, Benito Mussolini. (collezione privata)
Particolare del nastrino tricolore della Medaglia istituita a ricordo della guerra MCMXV-MCMXVIII cucito al petto di una giubba appartenuta ad un soldato della Compagnia K del 332°, distribuito il primo dicembre 1918 ed orgogliosamente portato da tutti i veterani che immediatamente la battezzarono come …Maccaroni Bar! Nei diversi esempi da noi osservati, tale nastrino presenta la costante del sottopanno nero. (collezione privata)
Il distintivo dell’83^ Divisione, cui faceva parte il 332°, mostra il caratteristico stile tutto americano che si incontra in molti altri fregi, ricavato dalla sovrapposizione di lettere, in questo caso O, H, I e O realizzate in filo bianco ed inscritte in un triangolo nero, a raffigurare l’Ohio. L’83^ Divisione comprendeva anche il 331° Ospedale da Campo, mentre le restanti forze militari statunitensi impegnate in Italia nella Grande guerra si limitarono a 54 aviatori ed ai volontari del servizio ambulanze in cui militava lo scrittore Ernest Hemingway. (collezione privata)
Un eccezionale cimelio dal notevole valore storico, come molto probabilmente sosterrebbero i relatori della legge 78/01 sulla tutela e valorizzazione di cimeli e vestigia del Primo conflitto mondiale: questo elmo austriaco mod. 1917 fu raccolto sul campo di battaglia alla testa di ponte di Zenson-Fossalta di Piave (VE) dal militare di sanità Miller del 331st Field Hospital, operante col 332nd Infantry Regiment. Secondo un diffuso costume americano, ancora oggigiorno assai praticato, i soldati erano autorizzati ad inviare ogni sorta di souvenir di guerra (soldiers gift) a propri familiari e amici, utilizzando il servizio postale. Nel nostro caso, sulla calotta e replicato anche all’interno, vi è fissato un cerotto recante gli indirizzi di destinatario (Charles Miller, route n. 1, Stone-Creek, Ohio) e mittente (Pvt. Harvey L. Miller, 331 Field Hospital, American Ex. Forces - Italy ). Regolarizzano la spedizione il timbro della dogana militare, quello delle Poste americane e il francobollo da 2 cents applicato sulla falda interna. Nel suo diario della campagna d’Italia, il sergente Lettau ricorda che, nel dicembre del 1918, gli uffici postali giunsero a rifiutare la spedizione di tali ingombranti souvenir, essendo già strapieni di elmetti da sembrare magazzini austroungarici! (collezione privata)
Una “A” bianca inscritta all’interno di un cerchio rosso, su un tondino blu chiaro, costituiva l’insegna della III^ Armata statunitense. Secondo una plausibile ipotesi, sebbene non sia accertata, la lettera “A” stava per Austria, a ricordo dell’occupazione della Carinzia. (collezione privata)
Un simpatico pin propagandistico distribuito nel maggio del ‘18 a civili e militari, ricamato in seta policroma e munito al retro di spillone. A rafforzare la fratellanza italo-americana, riproduce le bandiere delle due nazioni nella ricorrenza dell’entrata in guerra dell’Italia. (collezione Bianca Urbini)
Particolare del collar disk in bronzo brunito, per militari di truppa e sottufficiali, portato sul colletto sinistro della giubba. Oltre ai fucili incrociati, simbolo della Fanteria, e al numero (332) del Reggimento, vi è posta la lettera (K) corrispondente alla Compagnia. (collezione privata)
Un altro straordinario cimelio del 332nd: il bellissimo fregio finemente dipinto dal Pvt. Inf. James Romeo sul suo elmetto, riproduce quello reggimentale da manica presentando medesimi design e colori. In questo caso si tratta di un elmetto MKI Brodie Pattern di produzione britannica, dagli americani rinominato come M1917, e fornito agli Alleati d’oltreoceano in 400.000 esemplari. (collezione privata)
Copertina del diario del 332nd steso dal sergente maggiore di battaglione Joseph L. Lettau e pubblicato nel 1921. Sul frontespizio riporta anche il fregio reggimentale. (collezione Nicola Pavan)
Insieme con alcuni cimeli appartenuti a John W. Ryan, ritratto nella foto, veterano dell’American Expeditionary Forces in Italy (A.E.F.-Italy). Il soldato di prima classe Ryan di Willoughby, Ohio, in servizio nella Company K del 332nd si arruolò nell’ottobre del 1917, a ventitre anni d’età, e concluse la Grande guerra il 3 maggio del 1919. Si osservano le due piastrine di riconoscimento (dogtag) coi dati del militare e le tre decorazioni conferitegli per la campagna d’Italia, dove servì come lanciatore di bombe a mano nella compagnia d’assalto. (collezione Nicola Pavan)
Splendida foto d’epoca risalente all’estate del 1918 e ripresa presso la stazione ferroviaria di Villafranca (VR) dove un doughboy del 332°, appena giunto in Italia, posa tra due arditi delle fiamme cremisi al rientro dalle prime linee. (collezione Nicola Pavan)
Giovane graduato in servizio nel 332°, in un bel ritratto realizzato da uno studio fotografico di Belluno. Si osservano anche il cappotto e il cappello M1911. (collezione Nicola Pavan)
Pressoché identico a quello del 332° Fanteria dell’US- National Army, questo ancor più raro patch si differenza per la presenza delle lettere A.A.S. (American Ambulance Service) poste sul Vangelo aperto del leone marciano. Pur non essendo ancora esattamente classificato, si ritiene trattarsi della versione adottata dai volontari del servizio ambulanze, ma forse anche dai colleghi del 331st Field Hospital in servizio con l’American Expeditionary Forces-Italy. In questo caso è applicato all’uniforme estiva di un sottufficiale di sanità. (collezione Nicola Pavan)
29 luglio 1918: i soldati del 332° appena arrivati a Villafranca, gavette alla mano, attendono pazientemente in fila di potersi rifocillare. (foto U.S.-Army)
9 novembre 1918: le avanguardie del 332° in marcia, mentre attraversano l’alto Friuli dirigendo verso la Carinzia. La resa della Germania dell’11 novembre fermò la manovra dei ragazzi dello Zio Sam, mentre oltrepassavano Cormons e Ipplis raggiungendo Tolmino. (foto U.S.-Army)
Questa fotoricostruzione mostra l’uniforme e i cimeli appartenuti ad un militare della Compagnia H del 332° Reggimento di Fanteria, tenuta proposta nella configurazione d’assalto. L’armamento dei doughboys era generalmente basato sul fucile Springfield M1903, ma nelle squadre d’assalto furono egualmente utilizzate altre armi lunghe quali il B.A.R. (Browning Automatic Rifle) M1918, i fucili Pattern 1914 e P-17 Eddystone, sempre nel calibro 30-06 d’ordinanza. Meno frequente fu l’impiego dello Shotgun Winchester mod. 1897 in calibro 12 a pompa, a canna liscia, derivato dal modello per la caccia, il cui uso avrebbe dovuto esser vietato dalle convenzioni internazionali, impiegando munizioni spezzate in piombo non rivestito (pallettoni). Pur essendo un’arma ritenuta adatta al combattimento ravvicinato e per l’assalto alle trincee nemiche, in virtù delle contenute dimensioni, dell’ampia rosata e per gli otto colpi che poteva contenere nel serbatoio, la ridotta gittata e lo scarso potere d’arresto ne limitarono l’effettiva diffusione ad un solo esemplare per ciascuna squadra d’assalto. L’armamento individuale di questo assaltatore prevede inoltre la sacca pettorale con undici taschette per altrettante bombe a mano, mentre sul fianco del cinturone Mills Patent mod. 1905 è sistemato il pugnale per la lotta corpo a corpo, accanto al fodero in cuoio verde oliva (di primo tipo) della baionetta. Completa l’equipaggiamento la maschera antigas C.E. box respirator riposta nel proprio fodero in canapa, qui portato a tracolla, e l’elmetto M1917. Le fasce mollettiere in lana elasticizzata cachi, continuarono a convivere per tutta la Grande guerra assieme alle più pratiche ghette in canapa, di cui esistevano diversi modelli anche d’acquisizione privata. Come calzature sono portati i Russet marching shoes, qui nella tipologia di fornitura britannica. (collezione privata)
L‘uniforme della ricostruzione presenta la tenuta da campo privata dell’equipaggiamento, come informalmente indossata in libera uscita e in retrovia, mentre il nostro militare sta osservando l’elmetto austriaco che ha recuperato sul campo di battaglia e che presto spedirà a casa come souvenir della sua guerra in Italia. La blusa mod. 1903(17) è quella per un soldato semplice della Company K del 332nd Inf. Rgt. degna d’attenzione trattandosi di una fornitura britannica, subito distinguibile dalle produzioni statunitensi per la tonalità più scura del colore cachi, oltre che per i marchi (WD e punta di freccia) stampigliati sulle fodere interne. Man mano che le uniformi e gli equipaggiamenti in dotazione agli americani in servizio d’oltremare si deterioravano per l’uso, erano integrati da rifornimenti provenienti dalle intendenze britanniche o francesi, come si riscontra dai marchi governativi spesso presenti. Al braccio reca il distintivo reggimentale, quello divisionale e d’Armata, adottati a partire dall’ottobre del 1918, mentre il gallone invertito applicato al centro della sola manica sinistra non costituiva un’insegna di grado bensì l’honorable discharge stripe che veniva conferito all’atto del congedo, ed era rosso scarlatto nel caso della Fanteria. I due piccoli galloni applicati al paramano sinistro, denominati overseas service stripes, indicano invece due periodi di servizio (sei mesi ciascuno) svolti oltreoceano. Il primo dei due fu distribuito mentre ancora in Italia, l’8 dicembre 1918. La più pratica bustina Overseas Cap M1918 andò a sostituire il pittoresco Campaign Hat M1911 che rimase comunque in uso negli accantonamenti e nelle cerimonie. (collezione privata)
Bibliografia essenziale Joseph B. Doyle, History of Company K, 332nd United States Infantry in the Great War, Steubenville Ohio USA , 1920. Joseph L. Lettau, In Italy with the 332nd Infantry, Evangelic Press, Cleveland USA , 1921.
E per chi vuol saperne di più su Internet Per la preparazione di questo studio l’autore ha anche consultato i seguenti siti, assai interessanti per il materiale documentale e/o fotografico sul tema presentato, e che suggerisce per eventuali approfondimenti: www.uniformisgaggero-altervista.org
Ringraziamenti L’autore ringrazia per l’assistenza e collaborazione gli amici Nicola Pavan, Robert Curci, Mario Zanella, Laura Vania Lazzarini, Bianca Urbini e Pamela Marangon, ed inoltre i fotografi professionisti Neva Terreo e Gianni Fontebasso per le immagini a corredo, i siti citati per tre delle foto d’epoca, e il figurante Davide Enzo che ha indossato le uniformi originali presentate nelle fotoricostruzioni.
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. | Estratto da Uniformi & Armi, marzo 2010. | ||||||
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