3) Escursioni marinare
14 gennaio 2008
Dicembre è passato; le feste sono finite; noi siamo qui, in aeroporto a Bergamo a decidere cosa fare. NOI significa Pierangelo Zanotti, il "direttore", Alessandro Kravanja, l'alpino "KRA", Dino Doveri, da oggi "nostromo" e Luciano Tedeschi, "lagunare". Sono le 10 del mattino e continuiamo a corree a turno al servizio meteo per capire cosa fare. La meta è Vienna, per volere di "lagunare", ovvero per volere mio, il comandante della missione. Ci sono troppe storie che legano Trieste e Vienna. Dalla secolare presenza austriaca in città alla nostalgia per un "Paese ordinato", per la civiltà e la legalità perdute, per le tradizioni del quotidiano (cibo, canti, parlata) e varie. Altrettanto forte il legame all'Italia, concretato con lunghissimi anni di collaborazione forzata con la Serenissima, ricordo che si concretizza con la fortezza quattrocentesca, il Castello di San Giusto, che reca sul bastione un leone di dimensioni enormi. Anche la prima guerra, che in realtà ha diviso in due i cittadini tra il partito irredentista ed i nostalgici, ha creato miti ed eroi locali, cha appartengono ad una cultura mista, che non rinuncia ad alcuna delle due parti. Tutti comunque volevano una città sotto il tricolore, ma che conservasse uno stile da mitteleuropa, come si dice usualmente. Insomma, siamo ancora nostalgici della "gallina con due teste". Per un volatore del sogno, come io sono, significa fare il tifo per Baracca ed il suo cavallino rampante ed il Barone Gotfried de Banfield, l'aquila di Trieste, Der Adler von Triest, cacciatore che prendeva il volo dallo specchio di mare dove poi sorgerà la stazione degli idrovolanti, l'idroscalo triestino, il primo civile in Italia. Due eroi diversi, che si sono scontrati ed hanno fatto patta perché Baracca, con le mitragliatrici inceppate è stato graziato da de Banfield - civiltà di una volta. Quindici giorni orsono è morto l'ultimo de Banfield, il figlio di Gotfried, che ancora viveva in città. Tornerò sull'argomento quando esploreremo assieme le parole dell'Inno ufficiale del Battaglione San Marco. Comunque, nostalgie a parte, siamo bloccati qui dal maltempo. Niente di straordinario: nuvolaglia bassa e diffusa, con qualche buco sopra i 3.000, da qua fino a Vienna. È una tappa di trasferimento, per preparare il terreno per le prossime avventure, ma rischiare di non vedere assolutamente le cime alpine (Bernina, Stelvio, la zona del Kitzbüel) o i grandi laghi e, peggio ancora, dovere cercare qualche altro scalo per l'atterraggio non ci gusta. Alle 12.00 rinunciamo. Sarà per... chi lo sa? Siamo qui, accampati nel nostro uccellaccio da rapina da sabato. Siamo arrivati assieme, dopo alcuni giorni di addestramento alla conduzione di natanti, con lezioni tenute dal nostro Dino Doveri, il marinaio esperto. Sul campo ha guadagnato il grado di "nostromo", "el nostro omo", come dicevano le genti della costa istro-dalmata. Abbiamo passato dei giorni divertentissimi, sfruttando alcuni lunghi momenti di bel tempo. Con la certezza che per molte tappe il mare sarà molto vicino a noi e sapendo che il vasto mare è anche una buona dispensa di cibo, abbiamo deciso che saper portare un natante e saper qualcosa della pesca d'altura non guasterebbe. Il chioggiotto è stato identificato come l'uomo del destino. E poi, ad esempio in Grecia, forse è meglio una barca per destreggiarci tra le isolette, che dall'alto non si vedono nemmeno. Inoltre voglio passare il Canale di Corinto per via acqua. Ho troppo vive le descrizioni di mio papà, che lo ha percorso più volte durante la guerra: raccontava sempre che si scambiavano i turni con gli Inglesi, quasi non volessero scontrarsi. Abbiamo fatto due puntate su Venezia, partendo da Jesolo, con mezzi diversi, entrambi lussuosi: Non so dove Dino li abbia recuperati. Una giornata invece l'abbiamo spesa nel golfo di Trieste, su un peschereccio, a "panolar", ovvero trascinando lunghe cime ricche di ami, tenute fuori bordo da eleganti canne. Di Venezia ricordo con terrore il mio turno al timone, con una retro per staccarmi dal molo di piazza San Marco. Evitati danni a persone e cose per un miracolo. E Dino a sbraitare come un vero lupo di mare. Mi trovo meglio ai comandi di un aereo. In Golfo invece è stato proprio il Dino nazionale a rischiare grosso. Vista in rada la portaerei USA George Washington (CVN 73), ha deciso di fare una passata moooolto sottobordo, per salutare. Così, mentre ci avvicinavamo seguiti da un codazzo svolazzante di gabbiani, attirati dallo "sbrumo", la pastura buttata in mare per attirare i pesci, la radio di bordo ha cominciato a gracchiare qualcosa di incomprensibile (a noi), ma chiaramente in arrivo dalla grigia unità alla fonda. E lui, il Dino, ha bellamente proseguito per la la rotta decisa, tra gli applausi generali, per godere la panoramica delle fiancate aperte, che esponevano il contenuto dei ponti inferiori. Lagunari 1 - Americani 0. Degli avvenimenti descritti ci sono dei filmati, che stiamo elaborando nella zona "tecnica" allestita a bordo, nell'attesa di bel tempo. Per fortuna, quando scenderemo lungo l'Adriatico, di questi problemi di nebbie non ne avremo. Comunque, io insistevo che la nebbia non mi preoccupava. Una volta in quota, sopra i 3.000, di solito c'è il sole; per l'atterraggio ci sono gli strumenti. Basta che l'aeroporto sia aperto. Piuttosto mi fa paura il vento. L'Osprey è una brutta bestia in quanto a stabilità (e poi devo ancora migliorare il "manico" per portarla). Non avessi mai aperto bocca sul vento. Il "nostromo", mai termine più appropriato, si è scatenato in una lunghissima serie di distinzioni su nebbie e venti e proverbi popolari dei pescatori. Ve la risparmio per il momento, ma va sentita, perché non si sa mai. E poi, sempre di laguna si tratta. A prestissimo, con film allegati, e forse anche il resoconto di viaggio. Non mancheranno nebbie e venti. Da bordo è tutto. San Marco!
Medi 180
Skagen
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