5) vienna

 

18 gennaio 2008

 

Finalmente si parte. Questa l'idea gioiosa della mattina. Cielo coperto a Bergamo, ma previsioni rosee per l'arrivo. Attorno alle 11.00 ci alziamo nella foschia, che diventa subito visibilità zero. Nessun problema, come stabilito viriamo per effettuare un grande cerchio, che ci riporterà sull'aeroporto a quota di sicurezza prima di puntare sulle Alpi. Con gli strumenti, vediamo Linate, poi in un improvviso squarcio di luce Piacenza e per un attimo, ma proprio un attimo anche Orio al Serio.

Dirigiamo a Nord, verso il Bernina. Tutto secondo il piano di volo. Saliamo ai 5.000, per avere un certo margine di sicurezza, e sbuchiamo in uno splendido sole, con panorama mozzafiato. Ai comandi, sono affiancato da "direttore" Pierangelo. Il nostromo Dino accudisce  l'alpino Alessandro, che porta ancora i  postumi dell'eroica impresa di ieri. Tra piloti, si chiacchiera del tempo e del vento, che  a dire la verità disturba non poco. La contentezza del cielo sereno ci porta forse a parlare un po' troppo forte, tanto da far emergere il nostromo dalla "casa". E qui comincia una lunga disquisizione su nebbie e vento, e su come i naviganti amino e temano entrambi nello stesso tempo. Discorso già iniziato in altri momenti, ma poi accantonato. La navigazione è buona, quindi ascoltiamo volentieri. Intanto puntiamo verso l'ospedale di Cuneo, riferimento elettronico, perché in valle non si vede un accidenti di niente. Il Pizzo Bernina dovrebbe  essere a tiro, ma l'assenza di KRA ci mette in difficoltà nel riconoscere le cime. In ogni caso, ciò che appare è a dir poco stupendo. Scavalcando il Bernina  si entra in Engadina (Svizzera) e potremmo scoprire il lago di Sankt Moritz, dove nasce  l'Inn, ma preferiamo rinunciare a tirare avanti sul lato Est, in favore di  luce. Chiedo scusa sull'errore geografico della puntata precedente, ove affermavo che l'Inn nasce dal Piz Buin - da quel punto è solamente molto più visibile. Sicché tanto per ammazzare il tempo, si va poi alla "ciacola" più pura; oramai quando si deve ingannare il tempo e perdersi per i meandri dello scibile umano, il cantore è sempre lui: Il Dino.

Di leggende marinare già ce ne ha già raccontate un paio nel precedente viaggio (Antartide 2004) e per altro non è che il suo "archivio" sia così ampio da riempire anche le ore ed ore di lunghe  trasvolate di questo. Egli nicchia e cerca di procrastinare il momento: la materia di  racconto, su quelle basi, langue. Il nostro però, sollecitato a più non  posso dai trasvolatori, alla fine scuce altre perle di saggezza popolare chioggiotta.

Visto il contributo di Eolo, dio dei venti che instabile ed invisibile frusta l’ala del nostro Osprey V22, l’argomento scivola pian piano sui  misteri della meteorologia. Argomento delicato, perché tutti sanno che andare a chiedere "che tempo farà?" ad un chioggiotto, al pescatore nella fattispecie, equivale a stappare il Vaso di Pandora. Non per le nefandezze che ne potrebbero uscire, ma per la massa irrefrenabile di opinioni. Tutto potrebbe essere previsto e tutto lo sarà in base all’antica  saggezza acquisita a bordo del "bragozzo"; termini salati ed intrisi di "freschin", comici e popolari, ma quasi mai errati, viste le sicurezze dettate da infiniti tempi passati a scrutare cieli, osservare nubi, annusare venti. Il nostro per quanto può ricordare dopo tanti lustri, richiama un autore, il Razza, che ai tempi, diamola per buona, scriveva: «Il pescatore chioggiotto è meteorologo per eccellenza. Egli ci sa dare le relazioni delle fasi lunari con le maree, con la pioggia, con il vento; sa inoltrarsi sulla frequenza delle piogge nelle varie stagioni e sugli influssi che esse esercitano. Dall’apparire di certi uccelli nelle vicinanze delle coste essi traggono le previsioni di tempeste».

«Mentre invece per lo scienziato, il meteorologo, questi studi saranno frutto di lunghe e penose fatiche». Tra il Tiozzo e lo Zennaro, autori letti in tempi morti sui banchi di scuola e proposti da orgogliosi insegnanti fieri delle proprie radici,  il Dino snocciola una serie proverbi nell’armonioso se pur rude dialetto chioggiotto; alcuni, perché ricordarli tutti è impossibile, specialmente per uno che il pescatore non lo ha mai  fatto. E neppure il meteorologo. Sulle fasi lunari: "Luna sentà, marinero in piè; Luna in piè, marinero sentà". Se la luna appare in senso orizzontale in cielo, ci sarà probabilità di cattivo tempo; di contro, se la  luna sarà visibile in senso verticale vorrà dire che il tempo sarà stabile (da qui il "marinero sentà" e cioè calmo e non indaffarato al governo del natante). "Luna rossa fa bugìre il mondo". Con l’astro notturno velato di questa sfumatura, sicuramente si avranno notti e giorni di rara calura ed afa, come se l’atmosfera volesse bollire.

"Co la luna se lieve, l’acqua cresse, co la luna cale l’acqua va in morto". Si avrà il flusso di marea verso l’interno della laguna quando la luna cresce, ma la luna in calo causerà una stasi del flusso e del riflusso.

"El morto de acqua" in sostanza! "La Luna magna le galezane". La luna fa scomparire le nubi.

Il Dino ci rende edotti che il salto dalla luna al cielo è obbligato; le due cose sono contigue, e quindi il nostro Nane "pescaore de Ciosa", sentenzierà:

"Rosso de sera, bon tempo se spera; rosso de mattina, tempesta vixina". Non serve commento. Entrata in uso comune con il "cielo a pecorelle", in chioggiotto antico invece è più abituale un pur sempre  figurato "Cielo a lana, piova piova par ‘nasettimana".

Elemento importante per la pesca - i bragozzi ancora filavano per l’Adriatico spinti da una o due immense e coloratissime vele latine - è il vento. Anzi, i Venti. Il Pescatore trae dall’osservazione di questi, le indicazioni se egli de ba o no partire o se sia meglio rientrare precipitosamente in porto; oppure se sia foriero e beneaugurante di una ricca pesca. Quindi:

"El siroco de matina, imbrate la marina". Se ci sarà lo scirocco a far spumeggiare la spiaggia di mattina, senz’altro  continuerà per molto il maltempo. Proverbio ancora conosciuto tra i pescatori moderni dice il Dino, che ancora lo da in uso tra il Brenta ed il Tagliamento:

"El garbin xe vento a do fasse; quelo ca a trove, a lasse". Il Libeccio è un vento di cui dubitare, ambiguo; se nasce con il sereno, anche se si intorbida, ritornerà il sereno e purtroppo se nasce con il brutto, anche se dovesse schiarirsi , ritornerà invariabilmente il maltempo.

"Vento dal mare, bon tempo vuò fare". Se il vento proviene da Est, da levante, il tempo sarà buono. Il vento. Il vento ci dice il Dino, è visto come una donna soggetta ai proverbiali sbalzid’umore. Sarà "tufo, sentimento, agiara, agiarin", quindi arietta o aria; poi sarà "supio" che sta per soffio, venticello. "Ventasso" dicasi di ventaccio, vento ingordo; "refolo" raffica. Bello ed estremamente dialettale è

"rabiaura" nell’intuibile interpretazione di vento rabbioso; "Sionera o Sion", non poteva che essere il ciclone.

E poi la nebbia che è il fenomeno atmosferico, un dei più odiati dal pescatore chioggiotto ma più in generale dal marinaio. E con i detti sulla sulla nebbia siamo intanto verso il Piz Buin, altrettanto non identificato, ma a questo punto è ben visto invece l'Inn e la sua valle; strettissima e tortuosa all'inizio ed aprentesi a ventaglio su Innsbruk, spettacolo nello spettacolo. Proseguiamo lungo la valle fino alla pianura, per beccare il lago di Chem e sperando di intravedere lo Shloss Herrenchemsee (il castello del lago di Chem). Anticipo dicendo che l'isolotto su cui dovrebbe sorgere - e ci sarà evidentemente - si vede di molto bene, ma del castello nemmeno l'ombra. Dino è lanciatissimo e continua con la nebbia. Felici lo ascoltiamo perché di nebbia, che tanta paura fa, neanche 'ombra. Nebbia che, almeno ai tempi de Nane "buora" Gambaro, che raccontava al Dino le leggende archiviate mentalmente dal "Sior Nono" era "caligo". "Caligo" è cioè secondo Dino - caligo pure a Trieste "nebbia o foschia sporca" - LA NEBBIA vera e propria, detta anche "el sesto de bombaso", l cesto di cotone, di ovatta. Poi rinveniamo la "fumarea o anche fumada", il cielo è appena offuscato da un leggero velo che assomiglia al fumo rado. "La Galaverna", sontuoso e barocco termine che prospetta la nebbia fittissima, quella dove non sai dove sei, dove il cuore si stringe perché "soto l’acqua podarìa anca finire o sinò un muro alto alsarse".

Altro termine oramai in disuso è la "sizzara", ma per esempio nel marchigiano ed intorno a Cervia s’usa ancora e significa una nebbia fredda e umida come una minuta pioggerella invernale. Prettamente locale il detto "tre calighi fa ’na piova, tre piove fa ‘na brentana", tradotto significa che dopo tre giorni di nebbia si avrà una pioggia e dopo tre giorni di piogge continue e dirotte, ci sarà una piena dei fiumi: "Brentana" deriva dal Fiume Brenta, il Medoacus Maior, di preromanica individuazione e che sbocca a quattro chilometri da Chioggia.

Il Dino interrompe il flusso dei ricordi; vuole farci penetrare ’atmosfera dei tempi eroici dove il popolino incominciava ad affrancarsi dalla miseria più nera proprio mediante la pesca.

E io interrompo il Dino e gli altri perché passati agevolmente sopra Salzburg, ho sbagliato clamorosamente la virata - ma dov'era il secondo pilota? - e mi sono riportato sui monti a quota troppo bassa ed improvvisamente mi trovo nella nebbia, e "meno a spasso l'aroplan" solo con gli strumenti. "Savevo mi che a parlar de nebia mena sfiga" insinuo al nostromo. Comunque con un leggero batticuore - nessun bisogno fisiologico evaso, ma una serie di vecchie parole dialettali da trivio esce da ogni bocca - ritroviamo la strada verso Linz, in pianura. Appare il Danubio, e con il fiume la via per Vienna è sicura e... in discesa. Cala il rumore dei motori, cala la tensione; siamo pronti alla festa di arrivo di questa prima vera tappa. Lasciamo il nostromo riprendere le sue storie. I mercanti dell’entroterra, ma in primis quelli di Rialto, avevano trovato la strada di approvvigionamento di un pescato fresco, bello, invitante, da esporre sui loro banchi sul Canal Grande. "El sarìa par el isnar de So’ Exelencia, ciò!" Il povero pescatore, "pescaore" in dialetto, sfidava l’onda per pochi denari, ma con  quelli dopo secoli di spaventosa arretratezza, cominciava a fornire ai propri figli, qualche buon pasto regolare e qualche micidiale, ma indistruttibile paio di "socoli", zoccoli, invece del piede nudo la cui pianta diveniva sin dalla più tenera età, suola vera e propria. E gli saltava fuori con la mercè, pure una "branca de tabaco moro" nero come il carbone, da gustarsi lentamente a mezzo di quella incredibile invenzione che è la Pipa Chioggiotta in terracotta, dal lungo "cannello" ed il fornello riproducente il ghigno baffuto del Turco; seduto sull’uscio di casa, con i piedi nudi infilati nelle maglie delle reti, rivolto a Ponente tra una boccata e l’altra guardando meditabondo il mondo che gli sfilava davanti in Riva dove il suo legno per poco ancora avrebbe riposato. Ma bando agli indugi e qualche cosa c’è ancora da spremere dai "files" del nostro, che invece, abbioccato, si dice a Roma, vola con la fantasia ed i ricordi, ai tempi che mai più. "Si lampe in ponente, no lampe per gnente", se lampeggia da Ovest è segno che il temporale sarà prossimo e violento; ma però "Si lampe in levante, dormi dormi tartanante", e quindi se il lampeggio è da Est, il "tartanante", il marinaio delle "Tartana" antica barca locale da carico, può dormire sonni tranquilli. Bello e promettente pure il "Co’ lampe in tramontana, la xe tuta na caldana" che può essere interpretato asserendo che se  il lampeggio è a Nord, il giorno successivo farà moto caldo. Oltre che naturalmente per il pescatore d’altura che opera a miglia e miglia dalla costa, pure per il più inferiore nella scala gerarchica della pesca ; il "caparossolante" che  orbita dentro la laguna, il temporale diviene un grave evento quasi divino. Il temporale assume il nome di "caligà" ed altre volte di  "desordene" quando però sia accompagnato da forte vento. Rimarchevoli il temporale a "meze sentine" quando la pioggia riempirà per metà le sentine dei battelli, e "screvasso" che tradurremo in scroscio ovvero quando la  pioggia è abbondante e continua. Un detto che forse conoscono tutti sarebbe "Se piove da l’Asensa, per quaranta dì non  stemo sensa" e dove tutti annuiamo e confermiamo al Dino che però ci riserva, per non uscire dal clima dell’epopea eroica, subito un inusitato "Se  piove da Santa Bibiana, piove quaranta dì, e ‘na settimana", per cuila va per addirittura cinquanta giorni e non per quaranta come per l’Ascensione.

Dice anche che è vero e lo stimiamo ancor oggi che siamo in odore di catastrofi ecologiche e dove un nostro Ministro ambientalista ci caccia là che siamo sull’orlo del baratro e "addio Venezia", un bel "Se piove el primo d’aprile, ghe ne caze un barile". In effetti parla e riparla  del tempo, il labirinto auricolare che presiede al senso dell’equilibrio, ci si attiva con più sollecitazione ed a ogni sobbalzo del velivolo, guardiamo fuori che qualche nuvoletta non si profili all’orizzonte. Il nostro ha la meninge stremata e non affiora (per ora), alcunché. I  motori rombano ipnotici e dovrebbe tra poco apparire l'ansa del Danubio che ci porta verso la meta finale. E siamo tanto ipnotici anche noi, in attesa  dell'evento, che la nebbia ed il vento ci colgono all'improvviso. L'aereo prende  quota e sobbalza come impazzito, gli strumenti sono sono stress e gli indicatori sono impossibili da leggere. Siamo già belli bassi, pronti a tirare fuori le gomme (abbassare il carrello) e invece Pierangelo ed io siamo costretti a lavorare in due sui comandi per fare forza. Motori e di nuovo in alto. Tornare agli strumenti e chiamare la torre di Vienna Schwechat per una guida all'approccio. La risposta ci coglie  impreparati: "niente da comunicare". Con l'adrenalina alle stelle puntiamo verso una luce promettente, ma sono le ciminiere della raffineria; comunque vicino all'aeroporto. Superiamo una mezza collina e finalmente le luci della pista. Siamo ancora alti, ma faremo fare al "falco" il suo mestiere: tuffarsi sulla preda. Siamo tanto alti che, poco prima della testa della pista - che noi miriamo verso la metà - un aereo di linea ci sfreccia sotto e va  all'atterraggio. Meno male che la torre non aveva segnalazioni. Tocchiamo dopo il velivolo precedente, un aereo da carico e, visto che ci mancano istruzioni, lo seguiamo lungo la via del parcheggio. Abbiamo un omino che ci indica il parcheggio tutto per noi. Spegniamo i motori con la "rapida", giù la rampa e aria pura, fredda, stupenda aria ricca di puzza di benzina e varie porcherie. Ma i piedi sono sulla terra austriaca e ci va bene così.

Dal diario del comandante 18 gennaio 2008, ore 14.10.

 

Ritardo di volo causa amenità ambientali: circa 1 ora.

 

 

Bergamo - Orio al Serio

 

Le Alpi

 

Il Falco sulle montagne

 

Innsbruck

 

L'aeroporto di Linz ed il Danubio

 

La raffineria di Vienna

 

Beccati sul tempo durante l'avvicinamento

 

La guida al parcheggio

 

Giù la rampa, pronti a scendere!

 

 

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