| 7) mai come oggi: san marco! La giornata è splendida. Abbiamo trovato un aereo vecchiotto, ma di alta qualità e con colori molto "veneziani". Per gli amanti del genere, gemelli di questo si possono ancora comperare per soli 4-500.000 euro. Non è proprio una Ferrari dei cieli però garantisce un lusso ed una comodità unica. Richiede un solo pilota, con posto per co-pilota e porta fino a 4 passeggeri accomodati in un elegante salottino dotato di frigo bar. Insomma, stavolta voliamo comodi. Pazienza se non si tratta della versione turbo. Ci rendiamo anche conto che l'aereo, il falco, non ha ancora un nome. Gravissima lacuna, che dà inizio ad un brain storming per vedere se si riesce a "battezzarlo" prima della ripartenza.
Dopo aver stoppato malamente il Dino durante l'ultimo volo, sembra delicato - obbligatorio - ridargli la parola perché ci illustri la sua teoria secondo cui è stata Chioggia a dare l'avvio alla potenza di Venezia. Ecco come ci ha presentato il dilemma.
«Voi, dell'ingrato equipaggio, dite che sono sempre a "smenare" con le mie fisime chioggiotte...» "Ma se no' te parli de altro", fa una voce dal fondo, «...ma io replico che: "sta di fatto", dice il Dino, "tanto per dirne una che mi farà guadagnare un nutrita schiera di nemici" che la Serenissima Repubblica di Venezia di cui i Fanti da Mar (i Lagunari di allora), erano il reparto armato più rappresentativo, deve a Chioggia, la sua attuale esistenza...». L’Alpino e Luciano si guardano e ne esce un: "ma va' a farti un brodo" va'!". Pierangelo sembra il più interessato - si vede che Bergamo è entrato nella zona di influenza di Venezia molto tardi. Il Dino imperterrito e convinto e inaspettatamente ferrato storicamente, insiste: «...e che quindi l’infimo chioggiotto, quello che "buta le sime per tirar a riva i vaporeti", "el pescador" ed "el napoletan del nord-est", haimè personaggio quanto mai "esilarante" e che disturba ai più della Città di San Marco, in realtà storicamente comprovata e documentata, ha contribuito NON POCO alla sopravvivenza della Città dei Dogi». I dubbi affiorano e chiediamo: ma dove vai a parare? «Alla "Guerra di Chioggia"». «In breve, le cronache storiche la buttano giù così: le continue diatribe tra le due repubbliche marinare più potenti, Venezia e Genova, videro proprio presso Chioggia il terreno dell’epilogo dei contrasti. Succede che nel 1378, il contrasto tra le due signorie marinare per il dominio dell’isoletta di Tenedo, luogo strategico che permetteva il controllo delle vie nautiche al Mar Nero, trascende gravemente e viene diplomaticamente incaricato dal Dogado, il chioggiotto notaio Nicoletto al fine di una composizione pacifica». Continua il Dino: «e già questa combinazione fa presagire qualche cosa di fatale!» E continua con fare professorale: «a metterci la coda è quel diavolaccio di Pietro II che a Cipro, nel cerimoniale della propria incoronazione, va ad escludere alcuni nobili genovesi; si arriverà addirittura allo scontro fisico. Ma questa era una scusa. [ndr. i veneziani letteralmente buttarono i genovesi fuori dalle finestre del palazzo] Le corde tra veneziani e genovesi erano tesissime e ciò bastò a spezzarle. Si incominciarono le ostilità con l’assedio della fortezza di Famagosta e poi si proseguì con una serie di cruente battaglie navali in vari siti del Mediterraneo». Qui ci perdiamo in alcune considerazioni sulle gesta dei Fanti da Mar, ma non ne esce un gran che perché dei tre trasvolatori non ce n’è uno che abbia di quell’assedio nozioni attendibili. Unica certezza è che Marcantonio Bragadin, difensore di Famagosta contro i Turchi, ma molto dopo (1570-71), fu ufficialmente un Fante da Mar. Tornando alla imminente contesa chioggiotta, il Dino riprende: «Le cose sembrava andassero favorevolmente per i veneziani grazie alle grandi capacità strategiche e marinare di due insigni e capaci ammiragli veneziani: Carlo Zeno e Vettor Pisani. Se non che, i genovesi, vista la cruda realtà, creano un’alleanza con niente meno che Ungheri, Furlani, e Padovani (ndr. Friuli e Padova sottostavano allo stessoo giogo dei triestini, ma anche Belluno e Treviso - ovvero il controllo tra il Vescovo di Aquileia e la casa d'Austria); Venezia riesce ancora a portare dalla sua parte i Visconti di Milano. Ma la fortuna militare arride alla coalizione genovese: la flotta ligure risale l’Adriatico e registra una serie cospicua di vittorie lungo le coste istriano-dalmate - che ci apprestiamo a sorvolare, dice Dino -, e pur perdendo il proprio grande ammiraglio Luciano Doria, si presenta con un imponente gruppo di naviglio più o meno all’altezza del delta padano. Il nuovo ammiraglio genovese, un tipetto molto "anfibio", decide di inoltrarsi nella laguna e visto che la cosa non era poi molto difficile, in un battibaleno si devasta tutta la serie di isolette lagunari allora abitate in vicinanza del litorale di Pellestrina. L’ undici agosto del 1379, i genovesi sbarcano a Clodia Minor l’attuale spiaggia di Sottomarina, e la contrada viene letteralmente rasa al suolo. Gli abitanti, i "marinanti", riuscirono a salvarsi in parte perché rifugiatisi entro Chioggia che, sottolineo, allora era circondata e fortificata da alte mura e notevoli bastioni. «C’è mancato poco che ci perdessimo il "Radicchio di Chioggia", che come tutti sanno è coltivato a Sottomarina», dice KRA.. Continua Dino: «Sottomarina (Clodia Minor) per disposizione del Senato Veneto, per ragioni di sicurezza, non potette essere più ricostruita sino al 1600. Il 16 agosto i genovesi numericamente superiori, incalzando i già mal messi chioggiotti costretti ad arretrare all’interno della Fortezza di Buoncastello, obbligarono questi ad una disperata quanto inutile resistenza. La battaglia permise quindi ai genovesi, che, combattendo all’arma bianca per ogni calle ed ogni riva, di perpetrare una carneficina terrificante; quindi la resa ed il saccheggio. La città di Chioggia fu trasformata in una vera e propria fortezza genovese. La reazione dei veneziani non si fa attendere e tra le altre cose, notevoli due fatti: il primo da dirsi e che le cronache danno per certa la prima (in territorio europeo), sperimentazione di combattimento con inusitati pezzi d’artiglieria, due "bombarde" capaci di lanciare ben 160/170 libbre di pietre; l’ammiraglio Pietro Doria, che ha appunto sostituito Luciano Doria, passerà al mondo dei più colpito da un masso lanciato da queste antesignane bocche da fuoco. Il secondo fatto da rimarcare è come la strategia veneziana inventasse di affondare delle navi piene di pietrisco alla bocca di porto e nella seguente maniera obbligò la flotta genovese al totale blocco. I genovesi che non potevano ricevere così nessun aiuto, si trovarono da vincitori ad assediati. Essi furono costretti a cibarsi di cuoio bollito e di topi, che per la verità a quei tempi abbondavano entro le mura della Citta di Chioggia...ed anche adesso non è che siano tutti emigrati... Tuttavia anche se li immagino belli e grassottelli, i topi non risolsero il problema alimentare - ridacchia mefistofelicamente il Dino; il racconto riprende: - Tuttavia il 22 giungo del 1380 i genovesi issarono bandiera bianca. Chioggia però subì l’ulteriore sacco, il secondo in poco tempo, e haimè guarda caso, ad opera dell’esercito liberatore; una tragedia nella tragedia. Nel 1381 a Torino fu firmata la pace definitiva tra Genova e Venezia. Venezia vinse, ma Chioggia s’inoltrò in secoli di nera miseria e indicibile decadenza. Le condizioni economiche provocate da limitazioni indotte per sicurezza da veti del Senato Veneziano, causarono danni disastrosi. Infatti la "Guerra di Chioggia" è il punto temporale da cui inizierà per Essa, un secolo orribile tra il 1400 ed il 1500 ed è a imputarsi al grave disfacimento della realtà strutturale cittadina; quindi uno stato di forte precarietà sociale complessiva; in aggiunta la peste con ben diciotto epidemie. Ribadisco: ben diciotto epidemie di colera e, per combatterla, i locali al massimo potevano raccomnadarsi l'anima a qualche santo che però risulterà millantare il credito perchè la moria fu di prorporzioni direi quasi "bibliche"! Poi, tanto per non farsi mancare nulla, si verificano inondazioni gravissime e conseguenti carestie. Ciò appesantì talmente la situazione che divenne irrinuciabile da parte chioggiotta il nascere di un rapporto di sudditanza e subalterno legame economico con Venezia che, guardacaso alla faccia degli alleati, invece in quel periodo raggiungeva la massima espansione sia nell’Adriatico che nella terraferma dove ricordiamo il suo dominio arrivò con la città di Bergamo, sino in terra lombarda. Venezia in seguito, ma molto parcamente, riconobbe il grande sacrificio della città di Chioggia, ma al di la di sgravi fiscali ed alcuni privilegi di carattere giuridico-amministrativo, poco munificamente non andò oltre». Dino serio ora, conclude ed inisite: «Morale: se Chioggia non avesse subito tale distruzione, forse ora potrebbe essere Lei la "Perla dell’Adriatico" e forse Venezia sarebbe decaduta in una mediocre serie di insalubri sprofondanti isolette». Boh? Sarà o non sarà così? Certo il nostro co-trasvolatore ne è convinto e ne noi vediamo il perché contestare le conclusioni di un chioggiotto. Dopo un momento di riflessione "lagunare" interviene: «Ecco perché nel 1382 - 9 agosto - i Venexiani traditori ci hanno lasciato in mano agli Austriaci. Avevano già subito sconfitte da parte di Aquileia (il potere della chiesa legato all'Austria). I veneziani contuavano a sabotare le saline, cercare di bloccare i traffici del Comune di Trieste e questo costava a tutte e due le parti. Così, dal 1368, Venezia si accontentava di un tributo, costituito da buon vino Refosco. Ma nell'anno citato i lagunari "vendono" il libero Comune - tale era - agli austriaci. Il responsabile locale (il boiardo) tentava a tutti i costi di annettere la zona alla Carniola. Non ci riesce perché Trieste si rivolge al nuovo imperatore Federico III, non come imperatore, ma come Signore di Napoli, dandò la fedeltà a queste condizioni, e resta libero Comune. Ecco perché è Trieste e non Chioggia a potersi fregiare del titolo di Napoli del Nord. Venezia, con questa sconsiderata cessione rinunciava a liti locali, ma si trovava addosso le navi e le truppe triestine sotto la guida dell'austriaco, che non aveva alcune intenzione di rispettare l'italianità di entrambe. Trieste resterà austriaca fino al 1918. Per por fine allo spargimento di sangue fraterno intervenne il Papa triestino Piccolomini - Pio II - al grido "Basta sangue fra gli italiani, per Dio!". Così, mentre Trieste prosperava, pur nello splendore, Venezia perdeva sempre più spazi e potenza. Se non fosse cattiveria si potrebbe dire "ben le sta"; non si abbandonano altri italiani. Resta comunque in questa città l'amore per la laguna e per la Serenissima.
In realtà l'intervento di "lagunare" è stato più complesso, sparato in dialetto, senza prendere fiato. Lo riportiamo come allegato per i lettori di lingua veneta. «Ecco perché nel 1382 - 9 agosto - i Venexiani traditori ne gà molà in man ai Austriaci, dopo el paco che i gaveva za ciapà de quei de Aquileia (Vescovo xe Vescovo, el pol). Va ben che i Triestini tirava storie , ma i pagava una bona tassa in refosco (per i non adetti, ottimo vino - era questa la gabella che il Comune di Trieste versava a Venezia, dal 1368, per evitare scontri militari, che avrebbero indebolito entrambi i Comuni. Ma nell'anno citato Venezia, anziché lasciare libera Trieste, la "vende" alla casa d'Austria. Fino alla prima guerra il Comune resta sotto la corona austriaca, covando sempre l'italianità e guardando alla sorella italica, Venezia, con affetto, ma anche con animosità)». «E po' - continua Luciano - xe Trieste la Napoli del nord, perchè, per no diventar parte dela Carniola, i Triestini se gà rivolto a Ferdinando d'Austra, Signor de Napoli (Ferdinando III era l'Imperatore d'Austria, ma a Napoli era solo Signore; in tal modo la città sottostava solo al Signore e non all'Imperatore, conservando l'autonomia), più alto de grado dell'incaricato regio (e papale) per evitar che el Comun sparissi. Però i Venexiani la gà pagà cara, perché l'austriaco doprava navi e equipagi nostri per far guera a'la Serenissima. Solo un Papa triestin, el Piccolomini - Pio II - gà zigà "Basta sangue fra gli italiani, per Dio!". Cussì, Trieste - soto Napoli - cresseva a Venezia calava. Se no fossi cativeria se diria "ben ghe sta"».
Esausti da discussioni di tal fatta, sempre più impelle far vedere il golfo di Trieste e la laguna di Venezia, nonché le isole teatro di tante avventure. A partire dal medioevo fino ai giorni nostri. È ora di far vedere "l'ala tricolor ..sciogliere il vol". Diario di bordo del 28 gennaio 2008 - Aeroporto di Fiume
Imbarchiamo rilassati e felici alle 11.27. I compari mi lasciano solo ai comandi e siedono nel salottino ove odo far festa. Pazienza, tra poco dovranno metter mano alle macchine fotografiche. Alla fine della giornata abbiamo ben 122 scatti. Il primo punto è l'insenatura del porto di Fiume, alla cui bocca è stato fermato dalle reti antrintrusione Nazario Sauro col suo sommergibile. le proponiamo subito. Lasciando sfilare a sud Veglia e Cherso, seguiamo la statale verso Pola. Sorvolata del porto, dell'isola di Brioni e della omonima località, casetta di campagna del Maresciallo Tito (mica stava in Serbia), puntata su Portorose e Isola d'Istria per arrivare al Vallone di Muggia, luogo epico in cui Luigi Rizzo dimostrò l'italico valore. Si continua verso, Monfalcone, con prima prua alle foci dell'Isonzo, e via verso Gorizia e circostanti colli, sede di terribili battaglie di trincea. Le linee italiane e austriache sono ancora visibili (anzi sono state messe a nuovo) appena oltre la stazione ferroviaria. Stavano a pochi metri di distanza una dall'altra. Da Gorizia si va sul mare, per esplorare la laguna di Grado. Sorvoliamo di nuovo il golfo verso est, per vedere meglio l'imboccatura e la "sacca" del Vallone di Muggia. Abbassiamo quanto si può, per poi dovere tirare una cabrata improvvisa a raggiungere gli oltre 300 metri di quota della collina. Non ho per le mani un caccia e l'operazione riesce a pelo. Picchiata verso il mare e prua sulla foce dell'Isonzo, per meglio vedere Punta Sdobba. C'è un fastidiosissimo vento a refoli (poteva mancare la bora?) che ci solleva di colpo di decine di metri. Per perdere quota son costretto a togliere gas fino al minimo, tirare fuori il carrello e dare una tacca di flap. Dondolando come gabbiani nel vento sfioriamo l'acqua. Su tutto, motore e via verso il Piave. Il vento cessa e si vola tranquilli. Guardo con apprensione alcune nuvolaglie molto basse; se arriva la nebbia è finita. Nel salottino iniziano i canti - oggi è quasi una gita premio e Dino vola verso casa. Fotografiamo la foce del Livenza, del Piave e la zona di Cortellazzo. L'orologio indica un'ora vicina alla fame. Si decide di buttare l'occhio su Venezia, Sottomarina e Chioggia, per poi far scalo a Tessera per uno spuntino. Passati su Chioggia la gola indica come prossima meta Padova, per vedere Ronchi del Volo (ex San Pelagio), ma dopo meno di un minuto siamo in un banco di nebbia a visibilità zero. Secca virata sul mare e siamo sul punto di partenze, quindi ancora a nord, sulle isolette citate dal nostromo nel suo racconto e prua verso Marghera. Le ciminiere ci dicono che siamo arrivati. Disinvolti come la solito puntiamo la pista est, vedendo un jet che la liberava. Rulliamo verso i parcheggi dovendo attraversare e percorre la pista ovest. Il jet stava solo andando al decollo e ci passa sopra la testa. Siamo ancora qua, ma le prossime volte faremo attenzione a chiamare la torre per istruzioni. Parcheggiamo a ci dirigiamo al bar. L'orologio di bordo segna le 13.24.42.- Mai come oggi SAN MARCO! Buccari, bocca di porto Buccari, rada protetta La costiera per Pola La diga ed il porto di Pola Isola di Brioni Capodistria e il vallone di Muggia Porto e cantieri di Monfalcone Gorizia ed il suo aeroporto Muggia, acque di ancoraggio Trieste, porto industriale e vallone Punta Sdobba Grado Foce del Livenza Piave e Cortellazzo San Nicolò al Lido di Venezia, dietro la coda Sant'Andrea e le Vignole Chioggia Marghera Prudenza ragazzi A Tessera verso il parcheggio Un minuto allo stop | |