31 gennaio - 01 febbraio 2008
Siamo bloccati in questo eremo da ormai due giorni. Non c'è troppa fretta di partire, ma l'inoperosità "terrestre" pesa. Così condivido allegre canzoni marinare, come le posso ricordare, purtroppo monche, come le sentivo cantare da papà quando faceva qualche lavoro che non gli andava troppo a genio. Piccolo esempio.
"Noi vedevam
ogni mattin
poco caffè - poco cacao
nel gamelin".
(segue, ma non ricordo)
"Tripoli, la pastasuta
la magno tuta
per no' darte
gnente a ti".
(Tripoli bel sol d'amore)
Abbiamo dedicato il tempo allo studio ed al lavoro. Direttore Pierangelo nel preparare le puntate da pubblicare, Dino e Alessandro nel riordino della "casa", io mi sono occupato di recuperare in internet alcune mappe - più leggibili della ricognizione - per illustrare alcuni fatti storici e prepararvi a comprendere quello che vedremo.
Cominciamo a parlare della sistemazione interna de "El Doge". Esternamente è grande, con lunghezza totale di 17,5 m, altezza di 5,5 m e larghezza di 5,61 (senza le eliche). Massimo peso al decollo 27,400 Kg, velocità massima di 509 km/h e velocità di crociera (quella reale) di 396 km/h. Possiamo salire fino a circa 8.000 m ed abbiamo un'autonomia di oltre 4.000 km, anche se il raggio utile di combattimento (che non ci riguarda) è di 690 km. Le eliche, che tanto ben figurano nelle riprese esterne, hanno un diametro di 11,6 m. Piloti 2; carico umano 24 armati su sedili oppure fino a 32 uomini "accomodati" anche sul pavimento. Non male per un viaggetto di piacere. Le misure sono indicative, perché persino i documenti ufficiali, rintracciabili sui siti militari U.S.A. differiscono tra loro, anche se di poco.
Quello che più ci interessa sono le dimensioni interne della "casa". In lunghezza sono 7.7 m, togliendo la cabina rimangono comodi quasi 6 m. L'altezza lascia un po' a desiderare, soli 1,83 m. Questo significa che dei Lagunari "antico stile" dovrebbero stare sempre chinati prima di sedersi. Non ci sono problemi per i Marines: li vedo ogni tanto a Trieste, ubriachi nei bar vicino a casa mia e - ghigno - sono alti un metro e un tappo. La larghezza utile è di 1,80 m. Per dormire abbiamo sistemato dei supporti per 4 amache, alla marinara, eliminabili quando non si riposa. I nostri solerti cuochi Dino e Alessandro hanno predisposto una mini cucina e degli armadietti fissati alle paratie per i rifornimenti in caso di lunghe soste lontano da località abitate. Per andare a fare la spesa si sono attrezzati con una moto da cross ogni dove (legata con catena e lucchetto he he he he); la benzina non ci manca. Le piccole cose personali stanno in zaini valigia, per ricordarci il periodo con le stellette. I generatori ausiliari di bordo ci danno energia sufficiente per l'illuminazione e per le macchine (leggi computer) che ci tengono legati a voi e a casa. Approfondiremo l'argomento in altre occasioni.
Oggi è giovedì grasso e vorrei dire che il carnevale impazza, ma l'aeroporto è di una tristezza indicibile. Ci consoliamo con una colazione a base di "fritole" e di "crostoli" prettamente veneziani di origine. Un applauso ai nostri valenti cucinieri.
Qualche piccolo corroborante innesca il buon umore e si comincia di nuovo a cantare, spolverando aluni canti triestini della prima guerra, presa poco sul seriamente dai miei concittadini. I triestini e in genere tutti gli italiani - se non imbarcati - venivano inquadrati nell'Imperial Regio Infanterieregiment Nr. 97, di stanza in Galizia. La Galizia (molte regioni hanno questo nome - non solo in Spagna) era una parte dell'impero austroungarico, di pertinenza all'Ungheria, situata nella zona della Polonia con città principale Cracovia e si prolungava all'interno dell'attuale Ucraina, con capitale Leopoli. [Leopoli è conosciuta dagli italiani perché era il centro logistico dell'Armir durante la seconda guerra ed era punto di transito di tutti i convogli per l'Ucraina. Come retrovia ospitava un ospedale militare italiano e magazzini. L'8 settembre 1943 colse molti italiani ancora in servizio in queste strutture.] Di molti si persero le tracce. Le beghe erano con i russi, anche se non si trattava di una guerra. Così isolati, i nostri conterranei non avevano speranza di diserzione. Va detto - anche - che non erano costretti a combattere contro altri italiani. Non sembra soffrissero molto, anche se si sa che le canzoni e l'auto ironia sono fatte per mascherare i sentimenti. Il canto principale era il "demoghéla" ovvero "ghe la demo", noto anche come "sacro inno della diserzione dalle file austriache". "Ghe la demo" significa infatti "fuggiamo". Inizia con un promettente "qua se magna, qua se bevi, qual se lava la gamela - zigaremo demoghela fin che l'ultimo sarà. Se no basta demoghéla, zigaremo ghe la demo...". Un altro, titolato "La vita del soldà" recita "La vita del soldato, la xe una vita santa, se bevi, magna e canta, pensieri no se gà".
Memori che ci troviamo a Fiume - in realtà sull'isola di Veglia - ci ricordiamo che Fiume era una libera città, soggetta al Regno di Croazia, ma dipendente direttamente dalla corona ungherese. Ci riprende il desiderio di vedere Budapest (che entrerà - come nome - nelle nostre storie di guerra sotto forma di corazzata), il Danubio, sentire i violi tzigani, mangiare il goulash e bere Tokaj, fare un carnevale ungherese e, perché no, spingerci fino in Galizia. Alessandro racconta che i vecchi del paese narravano delle loro esperienze contro i russi (non le amarezze della seconda guerra). Così allestiamo il velivolo, già pronto per il battesimo dell'aria con il nome ben leggibile sull'ala destra. Eppoi, il tricolore è simile ai colori ungheresi. Previsioni decenti, anche se non buonissime; vale la pena rischiare. Domani si va.
Per i non addetti: rischiare è la parola esatta. L'uccellaccio su cui voliamo è assolutamente pericoloso. Un articolo del Time del 26 settembre 2007 definisce l'aereo "A Flying Shame" (una vergogna volante). Per otto pagine l'articolista distrugge il progetto, che Reagan aveva più volte cercato di cancellare senza riuscirci, e che vede l'ostinazione dei generali dei Marines a tenerlo vivo. Oggi alcuni esemplari sono in Iraq ed attendono la prova del fuoco - non tutti quelli partiti sono arrivati in loco. Le accuse più pesanti sono di essere inaffidabili e di mettere a repentaglio la vita dell'equipaggio in caso di guasto ad uno dei rotori. Figuriamoci in caso di combattimento, ove - per un buon "in più" - si presentano con potenza difensiva di fuoco assolutamente ridicola o inesistente. Sarà per questo che ce ne hanno dato uno senza tante storie? siamo cavie volanti per conto di zio Sam? Molte altre specificate carenze sono elencate, ma tralascio. Comunque ci sono stati già troppi morti in addestramento ed in condizioni operative. È un mezzo per piloti super, ed anche gli americani stentano ad avere riserve adeguate se uno si ammala. Un coso che vien giù per guasto può costare la vita a circa 30 persone. Che fosse difficile da pilotare, specie in atterraggio, ce ne siamo già accorti, ma la lettura del Time ha rafforzato le convinzioni. Come si dice? "...chi se ne frega, non se ne parla più".
Diario di bordo, 1 febbraio 2008.
Da secondo pilota siede Pierangelo; Dino e Alessandro si armano di macchine da ripresa e poi si rifugiano dietro un "dobbiamo organizzarci..." che induce a qualche tremore e timore di scherzi da nonni. Rotta su Buccari, sorvolo di Zagabria, capitale croata, prua sul lago Balaton e giù a Budapest. Riferimenti visivi non errabili, e la visibilità è buona. Forniamo solo qualche pic, snap, shot, insomma foto. Il volo è stato ripreso, quasi un'opera d'arte vista la bellezza di Budapest, dal valente equipaggio. Disponibile come sempre, quando Pierangelo troverà tempo e banda per trasferire sul sito. Atterriamo incolumi pur con qualche scossone alla solita ora di pranzo. Carnevale sta smaltendo il giovedì e prepara per sabato e domenica; per noi comincia e non sappiamo quando terminerà.
Alla prossima e un caldo San Marco!
La baia di Buccari
Di fronte a noi il Lago Balaton